La scultura pergamena e la sua tradizione

7.2 La scultura pergamena e la sua tradizione

Il Grande Donario di Attalo I

Lo stesso linguaggio usato dagli artisti dell’Altare di Pergamo si ritrova in un’altra celebre opera proveniente da questa città, il cosiddetto Grande Donario (8) commissionato intorno al 230 a.C. da Attalo I dopo aver sconfitto i Galati.
Il Grande Donario era posto su una base circolare che si trovava sulla stessa terrazza dell’acropoli su cui sorgeva il santuario di Atena. Il  gruppo scultoreo in bronzo, dall’evidente intento celebrativo, era al contempo un’opera dal forte impatto emotivo, in grado di destare commozione nell’osservatore: le statue dei Galati sconfitti erano collocate secondo una disposizione piramidale che culminava nel Galata suicida. Nella composizione non compaiono i vincitori, ma solo gli sconfitti, rappresentati con grande rispetto per il loro dolore.

Galata morente

Al bordo della base del donario, insieme ad altre sculture andate perdute, doveva trovarsi invece il cosiddetto Galata morente, anch’esso noto da una copia romana in marmo (9): la statua, secondo lo scrittore latino Plinio il Vecchio, era opera dell’artista pergameno Epigono. Accasciato a terra, il guerriero preme la mano sinistra su una delle ferite, ma con la destra, in un ultimo sussulto, cerca ancora di alzarsi. La testa è piegata verso il basso, le spalle squadrate sono rese con grande realismo. I capelli scomposti, le forti sopracciglia, i baffi lasciati incolti e la caratteristica torques (un girocollo usato dalle popolazioni celtiche e scite) ne indicano la provenienza etnica.

Galata suicida

Al centro del donario era posta, secondo la ricostruzione più attendibile, la scultura detta del Galata suicida, nota grazie a una copia romana marmorea (10). Il corpo del guerriero, in piedi, è teso verso l’alto per sollevare la spada e conficcarla nel proprio corpo, in un gesto ricco di pathos e teatralità. La torsione del busto, con la muscolatura sotto sforzo, rimanda allo stesso stile del Grande fregio dell’Altare di Pergamo. In contrasto con la spinta verticale data dalla posizione eretta dell’uomo è invece il corpo della donna, probabilmente la sposa, che il Galata sorregge con la mano sinistra: il braccio è abbandonato verso il basso, la testa piegata senza vita; anche le pieghe dell’abito ricadono senza forza. Elementi come le capigliature o l’abito sfrangiato della donna riproducono realisticamente la provenienza straniera dei due personaggi.
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L'influsso del "Barocco pergameno"

Il linguaggio così originale ed espressivo che caratterizza il Donario di Attalo I e l’Altare di Pergamo influenzò in maniera decisiva la produzione artistica coeva. Oggi, per le opere d’arte pergamene e per quelle che vi si ispiravano, si parla di "Barocco pergameno", in analogia con il Barocco propriamente detto, sviluppatosi nel XVII secolo. Come l’estetica barocca seicentesca rappresenta una presa di distanza dalla precedente arte rinascimentale, improntata al senso della misura e dell’armonia, così il Barocco pergameno si discosta dall’arte greca classica proponendo uno stile pieno di pathos e di effetti drammatici e spettacolari, di forme in torsione e di dinamismo.

Laocoonte

La più nota delle opere del Barocco pergameno è forse il Laocoonte (11), definito da Plinio il Vecchio un insuperabile capolavoro e da lui attribuito a tre scultori di Rodi del I secolo a.C.: Agesandro, Polidoro e Atanadoro. L’opera fu considerata un capolavoro anche nella Roma del Cinquecento, quando venne ritrovata in un sotterraneo sul colle Oppio. Oggi si ritiene che sia stata realizzata da tre eccellenti artisti di Rodi forse per una committenza romana, alla fine del I secolo a.C., che si ispirarono all’arte pergamena, e in particolare all’Alcioneo dell’Altare di Pergamo. Laocoonte, sacerdote troiano stritolato con i due figli da due mostruosi serpenti usciti dal mare, è raffigurato al centro della composizione, seduto sull’altare. Il suo corpo muscoloso disegna una grande diagonale che, iniziando con la possente gamba sinistra tesa, continua con il torso dai muscoli rigonfi. Il braccio destro si protende e all’altezza del gomito bruscamente si piega all’indietro, seguendo il movimento della testa. Le grosse ciocche di capelli, resi con profondi chiaroscuri, avvolgono il volto contratto; lo sguardo è rivolto verso l’alto e la bocca è aperta in una disperata smorfia di dolore. Ai lati i figli, già avvolti dalle spire dei serpenti, che con il loro movimento conferiscono unità a tutto il gruppo, rivolgono lo sguardo atterrito verso il padre, che non può aiutarli; la loro posizione dà grande ritmo e tensione alla composizione.

Torso del Belvedere

Un’opera ascrivibile allo stesso stile e da sempre molto ammirata a dispetto del suo stato frammentario è il Torso del Belvedere (12), noto dal 1430 e così chiamato perché conservato nel Cortile del Belvedere dei Musei Vaticani. Si tende a interpretare quest’opera come una copia romana di un originale ellenistico del II secolo a.C.: un’iscrizione presente sulla base indica come autore della statua un certo Apollonio, figlio di Nestore, di Atene, ma sembra essere un falso del Seicento. Il torso faceva in origine parte di una possente figura virile, oggi priva della testa, delle braccia e della parte inferiore delle gambe, seduta su una pelle ferina posta su una roccia. Come nel Laocoonte, la posizione della parte inferiore del corpo è caratterizzata dalla turgida muscolatura delle gambe in tensione che, insieme alla resa esagerata dei singoli muscoli del tronco, sottolinea l’estremo sforzo del momento. Diverso è invece il ritmo della parte superiore della figura: il movimento si sviluppa lungo un arco che tende a richiudersi in avanti, concludendosi con il piegamento della testa verso sinistra. L’atteggiamento ricorda quello di Telefo nella lastra del Piccolo fregio dell’Altare di Pergamo, in cui l’eroe tiene sollevato il piccolo Oreste.

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Le sculture della Grotta di Sperlonga

Nel 1957, a Sperlonga, nel Lazio, sono state rinvenute parti di sculture che portano le firme degli stessi tre artisti di Rodi cui era attribuito da Plinio il Laocoonte. I frammenti sono stati trovati all’interno di una grotta naturale aperta sul mare e adattata a ninfeo (spazio rettangolare o circolare arricchito da nicchie, colonne e fontane) di una villa romana appartenuta all’imperatore Tiberio. Facevano parte di una ricca decorazione scultorea dislocata in vari punti della grotta per allietare i banchetti imperiali.
Le statue di Sperlonga, che illustrano episodi della vita di Ulisse e sono note come "l’Odissea di marmo", sono riconducibili ai tratti salienti del Barocco pergameno sia per gli elementi stilistici, sia per la lettura in chiave patetica degli episodi mitici che raffigurano. La minuziosa opera di ricomposizione dei resti ha permesso di identificare solo quattro dei gruppi marmorei che componevano la decorazione: l'Accecamento di Polifemo, l’Assalto di Scilla alla nave di Ulisse, il Ratto del Palladio, Ulisse che solleva il cadavere di Achille. Nell’Accecamento di Polifemo (13), che era situato in fondo alla grotta, spicca il grande corpo del ciclope, addormentato su una roccia per aver bevuto troppo vino. L’essere mitologico è disteso obliquamente, con la testa abbandonata all’indietro e la gamba muscolosa completamente stesa, punto di inizio di una linea diagonale che percorre l’intera composizione. A sinistra, i compagni di Ulisse spingono in direzione dell’unico occhio del ciclope il palo appuntito che lo accecherà, mentre l’eroe, che si trova all’apice della piramide disegnata dall’insieme, dirige il colpo. La testa di Ulisse è coperta dal caratteristico pileo, il copricapo del navigante, e la sua espressione è resa intensa dall’approfondimento delle orbite oculari: l’intensità dello sguardo, l’irrigidirsi di tutti i muscoli del viso e la bocca semiaperta trasmettono la tensione del momento.
GUIDA ALLO STUDIO
Il Barocco pergameno
  • Drastico distacco dallo stile classico
  • Grande pathos, effetti drammatici e impatto emotivo
  • Realismo e grande attenzione alla resa dei dettagli
  • Dinamismo e movimento

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico