T4 - Didone innamorata

T4

Didone innamorata

  • Tratto da Eneide, libro IV, vv. 1-89

Nel libro III Enea prosegue il suo racconto: fuggiti dalla patria, i Troiani salpano alla volta della Tracia, che abbandonano presto a causa di un prodigio avverso, e poi si dirigono a Delo, dove l’oracolo di Apollo li esorta a cercare l’“antica madre”. Convinto si tratti di Creta, Enea si dirige sull’isola, dove inizia la costruzione della nuova Troia, ma una pestilenza decima uomini e animali. Gli dèi Penati, apparsi in sogno all’eroe, lo avvertono allora che l’“antica madre” cui allude l’oracolo è la Esperia, nome dato dai Greci all’Italia, la terra originaria di Dardano, mitico capostipite della stirpe di Priamo. Nel viaggio verso occidente sono costretti da una tempesta ad approdare alle isole Strofadi, dove le Arpie imbrattano le loro mense. Di lì si dirigono ad Azio e in Epiro, nella Grecia settentrionale, dove incontrano il figlio di Priamo, Eleno, che ha sposato Andromaca, la vedova di Ettore. Accolti in maniera ospitale, ricevono da Eleno, abile indovino, utili indicazioni per il loro viaggio. Ripreso il viaggio, fanno tappa a Drepano, in Sicilia, dove Anchise muore. Lasciata l’isola, sono scaraventati da un fortunale sulle coste libiche, dove sono accolti da Didone. La narrazione di Enea ha così termine.

Nel frattempo la regina sente nascere una passione sempre crescente per l’eroe, del quale ha ascoltato rapita i racconti. All’inizio del libro IV, ormai innamorata di Enea, confida pertanto alla sorella Anna i suoi dubbi e i suoi sentimenti.

Ma la regina, da tempo ferita da grave tormento,

dentro le vene alimenta la piaga e arde d’un cieco fuoco.

Torna la molta virtù dell’eroe nell’animo, il molto

pregio di stirpe, confitti nel petto stan volto e parole,

5      né il tormento concede alle membra il riposo che placa.

Con il seguente fulgore di Febo irradiava le terre

e scostava, l’Aurora, l’umida ombra dal cielo,

quando così, male in sé, alla concorde sorella si volge:

«Anna, sorella, che sogni mi tengono in ansia e terrore!

10    Questo ospite giunto da noi com’è straordinario,

come si porge nel volto, che forza nel petto e negli omeri!

Credo davvero, e non sbaglio, che sia di una stirpe divina.

Animi ignobili accusa il timore. E lui, ah, da quali

fati è stato vessato! Che guerre affrontate cantava!

15    Se non avessi nell’animo salda e incrollabile scelta

di non congiungermi più con patto di nozze ad alcuno,

dopo che il mio primo amore, morendo, mi illuse e deluse;

se non avessi ormai in odio le stanze e le torce nuziali

forse a quest’unica colpa avrei potuto soccombere.

20    Lo confesso, Anna, infatti, dal fato del misero sposo

mio Sichèo, e dalla strage fraterna che asperse i Penàti,

lui solo i sensi ha piegato, e ha colpito, sì che ora vacilla,

l’animo. Riconosco l’antica fiamma e i suoi segni.

Ma preferisco mi si apra profonda, piuttosto, la terra

25    o il padre onnipotente mi scagli col fulmine alle ombre,

pallide ombre nell’Èrebo, e ad una notte d’abisso,

prima che te, Pudore, io vìoli, o i tuoi vincoli sciolga.

Quello, colui che per primo a sé mi congiunse, i miei amori

si è rapito: lui li abbia con sé, e nel sepolcro li serbi!»

30    Detto che ebbe, affiorate le lacrime, ne riempì il seno.

Anna risponde: «O alla tua sorella più cara del sole,

sola e dolente ti logorerai, tutta la giovinezza,

senza conoscere né dolci figli né i premi di Venere?

Credi che importi di questo alle ceneri o ai Mani sepolti?

35    E sia: nessun pretendente, affranta, ti ha mai piegato,

né in Libia, né prima a Tiro; Iarba hai respinto, e anche gli altri

condottieri che l’Africa, terra di molti trionfi,

nutre: ma muoverai guerra perfino a un amore gradito?

Né ti ritorna alla mente nei campi di chi hai posato sede?

40    Qui le città dei Getúli, una stirpe invincibile in guerra,

e la Sirte selvaggia, e, sfrenati, i Númidi incombono;

qui una regione per sete deserta, e i Barcèi che infieriscono

a distesa. E a che ricordare le guerre che sorgono

da Tiro, e le minacce del fratello?

45    Penso davvero che grazie agli dèi e con Giunone propizia

questa rotta han tenuto sul vento le ilíache carene.

Quale, sorella, vedrai la città, e che regni innalzarsi

per tale unione nuziale! Con le armi dei Tèucri alleate,

a quali imprese si solleverà la gloria dei Púnici!

50    Tu, solo, chiedi indulgenza agli dèi e con offerte propíziali,

prenditi cura dell’ospite e intreccia ragioni d’indugio,

mentre sul mare imperversano Oriòne piovoso e l’inverno,

e infrante sono le loro navi, e intrattabile è il cielo».

Questo dicendo, infiammò d’intenso amore il suo animo,

55    diede speranza alla mente dubbiosa, e dissolse il pudore.

In primo luogo raggiungono i templi, e sulle are la pace

chiedono; immolano scelte bidenti secondo il costume

alla legifera Cèrere, e a Febo e al padre Lièo,

e per prima a Giunone, che ha cura dei patti di nozze.

60    Lei, Didone bellissima, ha nella destra una coppa

e fra le corna a una mucca di bianco candore la versa,

o sotto gli occhi dei numi procede fra il grasso delle are;

itera i sacrifici iniziali del giorno, e alle vittime

scruta e consulta le viscere vive nei petti squarciati.

65    Oh ignare menti degli indovini! A lei, folle, a che giovano

voti e templi? La fiamma divora le molli midolla

nel frattempo, e vive segreta nel petto la piaga.

L’infelice Didone arde, e folle vaga dovunque

per la città, quale cerva che incauta, scoccata una freccia,

70    di lontano fra i boschi di Creta un pastore trafisse

nell’inseguirla coi dardi, lasciandole ignaro l’alato

ferro: lei in fuga percorre le selve e le balze dittèe;

resta la canna confitta nel fianco, foriera di morte.

Ora con sé fra le mura conduce Enea, e sempre mostra

75    le ricchezze sidònie e la sua città quasi pronta;

a parlare incomincia, e a metà del discorso si ferma;

ora al cadere del giorno ricerca un uguale convito

e di nuovo, insensata, richiede di udire le pene

d’Ílio, e pende di nuovo dal labbro di Enea che racconta.

80    Poi, quando han preso congedo, e oscura, a sua volta, la luna

spegne il suo lume, e invitano al sonno le stelle al declino,

sola si strugge nei vuoti di casa e si adagia sui drappi

ora lasciati: lontana, lui sente e lui vede lontano,

o tiene in grembo Ascanio (a rapirla è del padre l’immagine),

85    quasi potesse ingannare così il suo amore indicibile.

Torri intraprese non crescono, più non esercita le armi

la gioventù, né preparano porti, né spalti sicuri

per la guerra: sospese sono e interrotte le opere,

muri d’immense minacce e palchi portati su al cielo.


Publio Virgilio Marone, Eneide, libro IV, vv. 1-89, trad. di A. Fo, Einaudi, Torino 2012

 >> pagina 315 

a TU per TU con il testo

Recenti studi di università britanniche hanno dimostrato che in famiglie ad alto tasso di femminilità, cioè con prevalenza di sorelle, domina più facilmente il buon umore, si osservano una maggiore serenità e una più schietta apertura al dialogo. Benché ogni generalizzazione contenga il rischio dell’errore, la franchezza e l’affetto che legano Anna alla sorella Didone sembrano confermare questa indicazione. A chi confidare le proprie sofferenze d’amore, se non alla sorella maggiore?

Litigi e contrasti spesso non sono che la prova di un legame strettissimo: chi ha un fratello o una sorella conosce il valore prezioso di quei momenti di condivisione o di confessione, soprattutto nell’adolescenza, quando ci si deve misurare insieme con i genitori e con gli adulti. Ma si tratta di un vincolo destinato a durare anche nell’età adulta. Un proverbio calabrese recita: «Mariti mi n’abbrazzu, figghi mi ni fazzu, fati e soru comu fazzu?», che vuol dire «Mariti posso abbracciarne (averne più d’uno), figli, ne posso fare, ma come faccio se perdo fratelli e sorelle?». Come non essere d’accordo?

 >> pagina 316 

Analisi

Il libro IV dell’Eneide è dominato dalla figura di Didone, regina di Cartagine, giunta sulle coste dell’Africa dalla città fenicia di Tiro. Il suo destino è simile a quello di Enea: vedova del marito Sicheo (ucciso a tradimento dal fratello di Didone, Pigmalione), la regina ha affrontato un lungo viaggio prima di stabilirsi in Libia, non diversamente da Enea, con il suo seguito; l’eroe troiano, che non ha ancora raggiunto il luogo destinatogli dal Fato, le invidia il fatto di aver edificato una nuova patria.

La regina comincia a provare attrazione fisica e sentimentale verso lo straniero, scoprendosi in breve tempo innamorata. Virgilio sviscera l’animo in subbuglio di Didone attraverso un vibrante dialogo-confessione con la sorella Anna, detta concorde (v. 8, dal latino cum + cor, cordis, “con [un solo] cuore”), per aver condiviso con lei molte delle sue passate sofferenze: la morte del marito Sicheo, il tradimento del fratello che voleva sottrarle il regno, la fuga. Il legame d’affetto tra le due donne è forte e Virgilio non manca di sottolinearlo: Anna risponde alla regina O alla tua sorella più cara del sole (v. 31).

Una ridda di pensieri opprime Didone: da un lato il ricordo del vecchio marito e la ferma promessa di non risposarsi (vv. 15-19), dall’altro l’attrazione fatale verso l’ospite, ammessa a fatica (Lo confesso, Anna, infatti, dal fato del misero sposo / mio Sichèo, e dalla strage fraterna che asperse i Penàti, / lui solo i sensi ha piegato, e ha colpito, sì che ora vacilla, / l’animo. Riconosco l’antica fiamma e i suoi segni, vv. 20-23). Il suo sfogo vibra di antitesi laceranti, tanto che l’ammissione colpevole e sofferta del sentimento d’amore verso Enea si risolve fatalmente in un ripiegamento sul pudore iniziale (Quello, colui che per primo a sé mi congiunse, i miei amori / si è rapito: lui li abbia con sé, e nel sepolcro li serbi, vv. 28-29). Il primo amore non si scorda mai, recita un adagio: per Didone il primo amore è, ancora a distanza di anni, un ineludibile punto di riferimento, dal quale non sa staccarsi senza porsi un serio problema di coscienza.

La risposta della sorella Anna ha il sapore di un invito a riconciliarsi con la vita dopo anni di sofferta vedovanza: se Didone prima ha rifiutato le offerte di pretendenti sgraditi, come Iarba (vv. 35-37), adesso non ha più ragione di negarsi e di consumare la giovinezza senza i piaceri dell’amore (ma muoverai guerra perfino a un amore gradito?, v. 38). Gli argomenti con i quali Anna cerca di persuadere Didone a lasciarsi trasportare dalla forza del sentimento, al di là degli scrupoli del pudore, sono anche di tipo politico: con Enea al suo fianco può garantire una maggiore sicurezza al suo regno, ancora esposto a gravi pericoli provenienti dai popoli confinanti e dalle trame del fratello, che l’ha già tradita (vv. 39-49).

Convinta dalla sorella a deporre ogni riserva (vv. 54-55) e a trattenere l’ospite presso di sé, Didone ordina sacrifici per propiziare gli dèi (vv. 56-65), ma nulla può contro la forza dirompente del suo sentimento, che la rende simile a una cerva colpita dalla freccia di un pastore, che percorre i boschi con il dardo nel fianco senza trovare pace (vv. 68-73). La notte, dopo aver portato tutto il giorno Enea in visita alle meraviglie della città in costruzione, sola nel letto, non fa che pensare all’uomo di cui è innamorata e struggersi senza fine (lontana, lui sente e lui vede lontano, / o tiene in grembo Ascanio (a rapirla è del padre l’immagine), / quasi potesse ingannare così il suo amore indicibile, vv. 83-85). In Virgilio manca, in effetti, una rappresentazione positiva dell’amore: esso sembra inscindibile dal dolore e dal tormento, anche quando è corrisposto.

 >> pagina 317 

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Fai un riassunto del brano (massimo 10 righe).


2. Che cosa ammira Didone di Enea?


3. Che cosa trattiene Didone dall’esternare la sua passione a Enea?

  •     Un calcolo politico. 
  •     Il rispetto per i suoi sudditi. 
  •     Il pudore. 
  •     Uno scrupolo religioso. 


4. Al v. 23 si legge: Riconosco l’antica fiamma e i suoi segni. A quale fiamma allude Didone?


5. Quale consiglio finale rivolge Anna a Didone?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. In che modo Didone ha serbato fedeltà alla memoria del marito defunto?


7. Nel dialogo con la sorella, Didone manifesta i primi segni di una forte devozione alla memoria del marito, che le fa pronunciare affermazioni che si riveleranno fragili alla prova della realtà e della passione bruciante. Individuale nel brano. Che tipo di figura retorica vi puoi cogliere?


8. Quale consiglio politico rivolge Anna a Didone, vista come regina ancora prima che come donna e sorella?


9. Virgilio descrive la passione sfrenata di Didone attraverso una similitudine. Quale? Che cosa lascia sottinteso relativamente al futuro destino della regina?


10. Nella caratterizzazione di Enea e di Didone emergono differenze interessanti, soprattutto quando la regina si è ormai abbandonata al sentimento. In che modo Enea suscita inavvertitamente l’interesse della donna? Che cosa mostra invece Didone a Enea, per attrarre la sua simpatia e conquistarne il sostegno politico?

COMPETENZE LINGUISTICHE

11. Lessico. Uno dei sentimenti che alimenta il travaglio di Didone è il pudore (vv. 27 e 55), sinonimo di vergogna, discrezione e ritegno. Conosci altre parole che condividono la stessa radice? Fai una ricerca sul vocabolario e scrivi una frase per ciascuna.


12. Lessico. Sinonimi. Al v. 73 la freccia rimasta confitta nella cerva è detta foriera di morte. Individua un sinonimo dell’aggettivo foriero.

  •     Portatore. 
  •     Conseguenza. 
  •     Prodotto. 
  •     Fiero. 


Scrivi tre frasi facendo uso di questa parola.


13. Fraseologia. Al v. 79 si legge che Didone pende di nuovo dal labbro di Enea. L’espressione pendere dalle labbra di qualcuno è attestata nella letteratura italiana a partire dai primi decenni del Novecento; prima si diceva più comunemente pendere dalla bocca o dal viso di qualcuno. Spiegane con parole tue il significato e scrivi tre frasi facendone uso.

PRODURRE

14. Scrivere per persuadere. Immagina di trovarti al posto di Anna e poter dare i tuoi consigli a Didone. Che cosa metteresti maggiormente in risalto? Quale consiglio le daresti: serbare la fedeltà alla memoria del defunto marito o lasciarsi andare a una passione che si annuncia pericolosa? Scrivi un breve testo (massimo 10 righe).


15. Scrivere per raccontare. Se hai una sorella o un fratello, avrai sperimentato una situazione come quella di Anna e Didone più di una volta. In quali occasioni e in quali termini ti confidi con lui/lei? Secondo te, che cosa differenzia il rapporto tra fratelli e sorelle da quello con gli amici e le amiche? Spiegalo in un breve testo di massimo 10 righe.

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Mito E Civiltà

I rapporti parentali nel mondo romano

La famiglia romana prevedeva la distinzione fra tre diverse forme di parentela: l’agnatio, la cognatio e l’adfinitas. Mentre risulta relativamente più chiaro il concetto di adfinitas, la parentela per matrimonio che esclude la consanguineità (quella che lega i suoceri, il genero, la nuora), i primi due termini risultano non immediatamente traducibili in italiano. La agnatio, infatti, rappresenta la parentela che lega persone di sesso maschile: un fratello nato dallo stesso padre, un figlio di un fratello (nipote), un figlio di un fratello del padre (cugino) ecc. Invece, coloro che sono imparentati per via femminile sono detti cognati (zio materno, nipote oppure i cugini dal lato materno) e il rapporto che li accomuna cognatio. Tale distinzione, per noi oggi quasi incomprensibile, aveva forti ricadute sulla vita reale, dal momento che la parentela agnatizia era considerata molto più forte di quella cognatizia e godeva di priorità anche in materia ereditaria.

Nell’ambito degli affetti, invece, c’era una maggiore specificazione dei ruoli nella famiglia romana rispetto alla nostra: per esempio, gli zii consanguinei non erano tutti uguali. La zia materna, sorella della madre, non a caso detta in latino matèrtera, era una sorta di seconda madre e confidente del nipote; lo zio paterno (pàtruus), invece, era una figura severa, associato a un ruolo repressivo, diversamente dallo zio materno (avùnculus). Come ricorda Maurizio Bettini, studioso di Letteratura latina e Antropologia romana, il poeta latino Persio (I secolo d.C.) scrive «quando prendiamo l’aria di zii paterni», per indicare l’atteggiamento serioso che si assume in età matura.

Quanto alla fratellanza, essa rappresentava uno dei rapporti più stretti: i fratelli condividevano nome, genitori, esperienze di vita, medesime tradizioni, il che però li portava talvolta anche a contendersi il patrimonio. La storia romana, in effetti, è segnata sin dall’inizio dall’inevitabile competizione di due fratelli, Romolo e Remo, il secondo dei quali destinato a soccombere.

L’emozione della lettura - volume C
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Epica