T3 - Una fuga sofferta e un addio

T3

Una fuga sofferta e un addio

  • Tratto da Eneide, libro II, vv. 699-794

Avvertito in sogno dall’ombra di Ettore, che lo invita a prendere con sé i Penati e cercare salvezza fuggendo in mare, Enea assiste alla morte violenta di Polite, uno dei figli più giovani di Priamo, e poi di Priamo stesso, barbaramente ucciso da Neottolemo, figlio di Achille. Nell’oscurità della notte scorge persino Elena, causa di tanti lutti, che medita di uccidere per vendetta, quando gli appare la madre Venere che lo esorta a mettere in salvo i suoi cari: la città ormai è caduta in mano nemica. Giunto alla casa del padre Anchise, cerca di convincerlo a partire con lui, ma l’anziano inizialmente si rifiuta, finché un prodigio improvviso non lo spinge a un ripensamento: lingue di fuoco lambiscono il capo del piccolo Iulo senza bruciarne i capelli, una sorta di prefigurazione della corona che avrebbe cinto un giorno. Un tuono e una stella comparsa a indicare la via della fuga inducono infine Anchise a seguire il figlio.

«Allora, vinto, il padre si protende verso il cielo

700 e saluta gli dèi e adora il santo astro.

“Ormai non v’è da indugiare; vi seguo, e per dove guidate,

vado: dèi patrii, salvate la stirpe, salvate il nipote.

Questo è il vostro augurio, Troia sopravvive nel vostro volere.

Cedo, o figlio, e non rifiuto di accompagnarti”.

705 Disse; e già per le mura fuoco più chiaro

si ode, e in volute si approssima l’ardore degli incendi.

“Su dunque, diletto padre, salimi sul collo;

ti sosterrò con le spalle, e il peso non mi sarà grave;

dovunque cadranno le sorti, uno e comune sarà

710 il pericolo, una per ambedue la salvezza. Il piccolo Iulo

mi accompagni, e la sposa segua discreta i miei passi.

Voi, o servi, ascoltate quanto vi dico.

All’uscita della città v’è un colle e un vetusto

tempio di Cerere abbandonato, e accanto un antico cipresso

715 conservato per molti anni dalla devozione dei padri.

Da diverse direzioni verremo a quest’unico luogo.

Tu, o padre, prendi i sacri arredi e i patrii

Penati; io non posso toccarli appena uscito da tale

lotta e strage, finché non mi mondi

720 a una viva sorgente”.

Detto così, distendo sulle larghe spalle

e sul collo reclino una coperta, la pelle d’un fulvo leone,

e mi sottopongo al peso; alla destra mi si stringe il piccolo

Iulo, e segue il padre con passi ineguali;

725 dietro viene la sposa. Muoviamo per oscure contrade;

e mentre poc’anzi non mi turbavano i dardi scagliati

né i Greci raccolti in avversa schiera, adesso

un alito m’atterrisce, un suono mi allarma, inquieto

e timoroso allo stesso modo per il compagno e per il peso.

730 E già mi avvicinavo alle porte, e mi sembrava di essere scampato

a tutto il percorso, quando d’un tratto mi parve

di udire un appressarsi di passi; il padre, scrutando

nell’ombra, “Figlio” esclama, “fuggi, o figlio, s’avvicinano.

Vedo splendenti scudi e bronzi scintillanti”.

735 Ignoro qual nume nemico mi confuse la mente

e me la tolse nello sgomento. Mentre seguo di corsa

sentieri remoti ed esco dalla zona delle vie

note, ahi me misero, strappata dal destino Creusa

si fermò, o uscì di via, o sedette stanca?

740 Lo ignoro; non riapparve più ai nostri occhi.

Non mi avvidi di averla perduta e non le prestai attenzione,

prima che fossimo giunti al colle e al tempio

dell’antica Cerere; qui infine, tutti raccolti,

ella sola mancò, e sfuggì ai compagni e al figlio e al marito.

745 Chi non accusai, dissennato, degli uomini e degli dèi?

O cosa vidi di più crudele nella città distrutta?

Affido ai compagni Ascanio e il padre Anchise e i teucri

Penati, e li celo nella cavità della valle.

Ritorno in città e mi cingo delle fulgide armi. Decido

750 di riaffrontare tutti gli eventi, di ripercorrere l’intera

Troia e di esporre di nuovo la vita ai pericoli.

Da principio raggiungo le mura e le oscure soglie

della porta da cui ero uscito, e seguo a ritroso

nella notte ed esploro con lo sguardo i segni delle orme.

755 Dovunque orrore e silenzio atterriscono l’animo.

Poi ritorno a casa, se mai vi si fosse recata.

I Danai avevano invaso e occupavano tutto l’edificio.

Presto il fuoco vorace s’avvolge per il vento alla cima

dei tetti, le fiamme sovrastano, infuria all’aria la vampa.

760 Procedo e torno a visitare il palazzo e la rocca di Priamo.

E già nei vuoti portici, asilo di Giunone,

scelti come custodi Fenice e il crudele Ulisse

facevano la guardia alla preda. Qui da tutte le parti

si ammucchia il tesoro troiano strappato agli arsi sacrari,

765 e le mense degli dèi, e i crateri d’oro massiccio, e le vesti

predate. Fanciulli e donne atterrite in lunga fila

stanno d’intorno.

Osando persino lanciare grida nell’ombra

riempii di clamore le vie e mesto chiamai

770 invano ripetendo ancora ed ancora Creusa.

Mentre deliravo così e smaniavo senza tregua tra le case

della città, mi apparve davanti agli occhi l’infelice simulacro

e l’ombra di Creusa, immagine maggiore di lei.

Raggelai, e si drizzarono i capelli e la voce s’arrestò nella gola.

775 Allora parlò così confortando i miei affanni:

“Perché abbandonarsi tanto ad un folle dolore

o dolce sposo? Ciò accade per volere divino;

non puoi portare via con te Creusa,

no, non lo permette il sovrano del superno Olimpo.

780 Lunghi esilii per te, e da solcare la vasta

distesa marina; in terra d’Esperia verrai,

dove tra campi ricchi d’uomini fluisce con placida

corrente l’etrusco Tevere; là ti attendono lieti

eventi, e un regno e una sposa regale. Raffrena

785 le lagrime per la diletta Creusa: non vedrò le superbe

case dei Mirmidoni o dei Dolopi, non andrò a servire donne

greche, io, dardana, e nuora della dea Venere;

la grande Madre degli dèi mi trattiene in queste terre.

E ora addio, serba l’amore di nostro figlio”.

790 Com’ebbe parlato così, mi lasciò in lagrime,

desideroso di dirle molto, e svanì nell’aria lieve.

Tre volte tentai di cingerle il collo con le braccia:

tre volte inutilmente avvinta l’immagine dileguò

tra le mani, pari ai venti leggeri, simile a un alato sogno.


Publio Virgilio Marone, Eneide, libro II, vv. 699-794, trad. di L. Canali, Mondadori, Milano 2014

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a TU per TU con il testo

Brucia un’intera città, si levano da ogni parte strida e lamenti, il fumo oscura la vista e rende difficile la fuga… Quando l’incubo della morte e della distruzione si abbatte sulla vita di un uomo, il primo pensiero va alla salvezza, propria e delle persone più care. In queste circostanze ci rendiamo conto di non essere pienamente noi stessi se non abbiamo accanto i familiari o gli amici più stretti, senza i quali non potremmo proseguire la nostra esistenza. La solidarietà allora non è solo una virtù, ma una necessità del cuore.

Eppure la vita impone talvolta il bisogno di un arrivederci, di un congedo che non significa interruzione, che non comporta necessariamente un abbandono. Nonostante il progresso della tecnica ci permetta di rimanere in una comunicazione continua, succede ancora oggi di dover modificare il rapporto con chi amiamo, trasformandolo in qualcosa di diverso, in una complicità più silenziosa, in un legame che non si nutre più della vicinanza fisica ma non per questo viene meno. L’affetto si trasforma e comincia fatalmente ad alimentarsi più con il ricordo che con la presenza quotidiana; e forse, non potendolo più dare per scontato, iniziamo ad apprezzarlo di più: anche apertamente, confessando finalmente parole e sentimenti, che prima non abbiamo magari avuto il tempo e il modo di esprimere.

Analisi

Nella notte della presa di Troia, quando l’unica via di salvezza è la fuga, Enea sente di non poter partire senza l’anziano genitore, che per la sua età e la riconosciuta saggezza è il vero custode della memoria della famiglia: la sua pietas lo induce allora ad anteporre la salvezza del padre alla propria. Tuttavia, il vecchio Anchise è riluttante all’idea: lasciare la propria città alla ricerca di una nuova patria non è facile per un uomo che sa di avvicinarsi al termine della vita. L’esitazione sparisce solo alla vista di un prodigio, una stella cadente, che indica la via da percorrere per abbandonare Troia (vv. 699-704).

Il gesto con cui Enea invita il padre a salire sulle sue spalle per fuggire insieme dalla città in fiamme (vv. 707-711) è uno dei più celebri e più “umani” del poema. Virgilio dipinge in questi versi il ritratto della famiglia romana, proiettandolo in realtà ben oltre i confini della sua epoca: il pater familias porta con sé l’anziano genitore sulle spalle (il peso non mi sarà grave, dice affettuosamente Enea, v. 708), tiene per mano il figlioletto che cammina con passi ineguali (v. 724), mentre la moglie lo segue, come era uso durante le uscite in pubblico. A guidarli è il fortissimo senso del dovere, quell’obbedienza ai vincoli del sangue, dello Stato e del destino, che rappresenta una caratteristica tipica della civiltà romana.

Questo spiega anche il valore attribuito ai Penati, le statuette degli antenati che non ci sono più: non è casuale che Enea le affidi al padre, sia perché sente di avere le mani ancora contaminate dal sangue della lotta precedente (vv. 717-720), sia perché Anchise è il membro più anziano della famiglia, quello che è per età più vicino alle generazioni defunte.

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Pur gravato dal peso del padre sulle spalle, Enea riesce a trovare la via per scampare ai pericoli della notte del saccheggio: sin dai primi passi della fuga si annuncia il timore dell’ignoto, ancora maggiore della paura dei nemici, ora che l’eroe ha su di sé la responsabilità dell’intera famiglia (Muoviamo per oscure contrade; / e mentre poc’anzi non mi turbavano i dardi scagliati / né i Greci raccolti in avversa schiera, adesso / un alito m’atterrisce, un suono mi allarma, inquieto / e timoroso allo stesso modo per il compagno e per il peso, vv. 725-729). È significativo che a un certo punto sia il padre ad avvertirlo di un’insidia improvvisa, a dimostrazione dell’importanza del ruolo dell’anziano, anche nella fuga (vv. 730-734).

Nonostante l’iniziale unità, una nota tragica è destinata a incrinare il quadro della famiglia: distolto dai pericoli o forse da un dio nemico, solo quando è ormai fuori dalle mura della città Enea si avvede che la moglie Creusa non è più al suo seguito (vv. 735-744). Dopo aver accusato di ciò gli dèi e gli uomini, in preda alla disperazione decide di riarmarsi e tornare a cercarla a casa e al palazzo di Priamo, ma senza trovarne traccia (vv. 745-767). Messosi a invocare il suo nome tra le vie di Troia, vede finalmente davanti a sé l’immagine della donna, destinata a rimanere nella sua terra come ombra (Mentre deliravo così e smaniavo senza tregua tra le case / della città, mi apparve davanti agli occhi l’infelice simulacro / e l’ombra di Creusa, immagine maggiore di lei, vv. 771-773).

Le ultime parole di Creusa hanno il sapore di un testamento e di una profezia: Giove non vuole che ella segua il marito nelle sue peregrinazioni verso una nuova patria, l’Esperia, la terra del tramonto, e non c’è motivo di dolersene (Ciò accade per volere divino; / non puoi portare via con te Creusa, / no, non lo permette il sovrano del superno Olimpo, vv. 777-779). L’amore che la donna nutre verso il marito si percepisce nel futuro di felicità che gli profetizza: una nuova moglie di stirpe regale lo attende. Virgilio, in realtà, non descrive esplicitamente le circostanze della scomparsa della donna, misteriosamente trattenuta dalla dea Cibele in terra troiana e così sottratta a un destino di schiavitù in Grecia (vv. 784-788).

La dolcezza e l’obbedienza fanno di Creusa un personaggio tragico, disposto a mettersi da parte e a sacrificarsi per consentire la riuscita di un piano superiore, dal quale lei è sin dall’inizio esclusa. Nel dramma dell’addio, il suo ultimo pensiero è quello della madre preoccupata per il figlio (E ora addio, serba l’amore di nostro figlio, v. 789) e non può dirsi meno affranto Enea, nell’estremo e vano tentativo di abbracciare ancora per l’ultima volta la sua sposa. Muto, desideroso di dirle molto, ma senza possibilità di farlo, l’eroe è costretto a lasciarla per sempre (vv. 790-794).

Analisi

COMPRENDERE

1. Perché Anchise non vuole partire? Che cosa lo convince a fuggire con il figlio?


2. Nella fuga Anchise

  •     cammina sulle proprie gambe. 
  •     sale sulle spalle del figlio. 
  •     segue Enea e Creusa per ultimo. 
  •     dà la mano al nipote Iulo. 


3. Nella concitazione del momento, che cosa affida Enea al padre? Perché?

  •     I Penati. 
  •     La corazza.
  •     I gioielli della moglie.
  •     Le armi. 


4. Perché Enea nella fuga è più preoccupato che durante la lotta? Individua i versi che descrivono la sua condizione emotiva.


5. Che cosa fa Enea quando si accorge di non avere più con sé la moglie?


6. Come è descritta l’apparizione di Creusa?


7. Che cosa predice Creusa al marito? Perché Enea non deve preoccuparsi per lei?

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ANALIZZARE E INTERPRETARE

8. Come viene descritta la fuga della famiglia di Enea? Indica la posizione di ciascun personaggio.


a) Enea

 


b) Anchise

 


c) Iulo

 


d) Creusa

 


9. Il cammino di Enea alla ricerca della moglie è accompagnato dalla descrizione della distruzione in corso della città. Che cosa colpisce soprattutto Enea?


10. Perché Enea non può abbracciare la moglie? Che effetto produce l’iterazione del tentativo?


11. Che differenze noti tra il personaggio di Creusa e quello di Andromaca nell’incontro con Ettore nel libro VI dell’Iliade ( T4, p. 128)?


12. Nel brano comincia a emergere il ruolo di guida di Enea, non solo per la sua famiglia, ma anche per altri Troiani, destinati a essere suoi compagni di viaggio. Individua alcuni riferimenti nel testo.

COMPETENZE LINGUISTICHE

13. Il lessico. Sinonimi. Associa a ciascun termine il suo sinonimo.

  • a) volute (v. 706)
  • b) vetusto (v. 713)
  • c) contrade (v. 725)
  • d) remoti (v. 737)
  • e) mesto (v. 769)

1) triste

2) fuori mano

3) vie

4) vampate

5) antico


14. I complementi. Al v. 745, Chi non accusai, dissennato, degli uomini e degli dèi, che complemento è degli uomini e degli dèi?

  •     Materia. 
  •     Partitivo. 
  •     Termine. 
  •     Specificazione. 


15. Storia delle parole. La parola cratere deriva dal greco kratér (“vaso a due anse”), termine che a sua volta è formato sul verbo keránnymi (“mescolare”). Il cratere è perciò lo strumento che consente di mescolare dei liquidi. Gli antichi, infatti, non bevevano vino puro, ma lo mescolavano con acqua, anche perché esso aveva in genere un’altissima gradazione alcolica.

Quali altri significati ha la parola oggi? Perché, secondo te? Scrivi una frase con questo termine in ciascuna delle sue accezioni.

PRODURRE

16. Scrivere per raccontare. Immagina di essere al posto di Creusa e di partecipare alla fuga dalla casa di origine. Quali diversi sentimenti caratterizzano la donna in questo momento fatale? Che cosa si prova a seguire passivamente e a pochi passi di distanza il proprio marito, fino al momento dell’addio imposto dal destino? Scrivi un testo narrativo (massimo 20 righe) che metta in rilievo un punto di vista diverso sull’episodio riportato, usando i seguenti termini: ansimare, velo, oscurità, amato, cupo.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

La fuga di Enea con padre e figlio al séguito rappresenta il dialogo fra tre generazioni: nonni, genitori, figli. Che insegnamento si può trarre dalla scena descritta con tale efficacia e trasporto da Virgilio? Perché Enea non può partire senza il padre? Rifletti su questi temi e sul valore che hanno gli anziani, garanti della concordia e dell’unità della famiglia.

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LA VOCE DEI MODERNI

Il passaggio di Enea di Giorgio Caproni

L’immagine virgiliana di Enea che fugge da Troia con il padre sulle spalle e il figlioletto al fianco si è fissata in modo pressoché indelebile nel nostro immaginario, immortalata anche dal genio di Gian Lorenzo Bernini, autore di un celebre gruppo scultoreo conservato nella Galleria Borghese a Roma. Tuttavia, Enea ha continuato a ispirare non solo le arti figurative, ma anche scrittori e poeti.

Ancora nel Novecento il poeta Giorgio Caproni (1912-1990), molto colpito da un monumento dedicato all’eroe situato in piazza Bandiera a Genova, ha intitolato una raccolta poetica Il passaggio di Enea. All’indomani della Seconda guerra mondiale, nel mezzo della distruzione causata dalle bombe alleate, Caproni ricorda che per un curioso miracolo nella piazza si ergeva ancora il monumento scolpito da Francesco Baratta, nei primi decenni del Settecento, raffigurante Enea con il vecchio Anchise sulle spalle e il piccolo Ascanio per mano. Anni dopo, il poeta avrebbe scritto:

«Io ho girato molte città d’Italia, ma Enea non l’ho conosciuto altrove. Perlomeno non ho incontrato l’unico Enea possibile, l’unico Enea veramente vivo nella sua solitudine e nella sua umanità. L’unico Enea insomma che meritava davvero un monumento in mezzo a una piazza, simbolo unico di tutta l’umanità moderna, in questo tempo in cui l’uomo è veramente solo sopra la terra con sulle spalle il peso d’una tradizione ch’egli tenta di sostenere mentre questa non lo sostiene più, e con per mano una speranza ancor troppo piccola e vacillante per potercisi appoggiare e che tuttavia egli deve portare a salvamento» (G. Caproni, Noi, Enea, «La fiera letteraria», 3 luglio 1949, anno IV, n. 27, p. 2).

Maurizio Bettini, studioso di Letteratura latina e Antropologia romana, ha dato un particolare risalto a questa testimonianza di Caproni. Scrive, in rapporto ad alcuni versi della raccolta Il passaggio di Enea:

«Enea dunque come simbolo della tragica congiuntura1 in cui si è venuta a trovare l’umanità moderna. Alle spalle la guerra, il crollo non solo di alcuni regimi politici ma addirittura di un’intera civiltà – quella che non ha saputo prevenire e scongiurare gli orrori che l’Europa ha appena attraversato; di fronte un futuro gracile e incerto, forse ingannevole; quanto allo scenario presente, esso è costituito solo da rovine. Si tratta più o meno della situazione evocata nel testo poetico, in particolare dove si dice:


Enea che in spalla

un passato che crolla2 tenta invano

di porre in salvo, e al rullo di un tamburo

ch’è uno schianto di mura, per la mano

ha ancora così gracile un futuro

da non reggersi ritto3.


Nel paragrafo in prosa, però, c’è una frase che ci colpisce, anzi, un verbo: «incontrare». «Enea» dice Caproni «non l’ho conosciuto altrove. Perlomeno non ho incontrato l’unico Enea possibile…» (M. Bettini, Il passaggio di Enea di Giorgio Caproni, «Semicerchio», XXVI-XXVII, 2002).


Il verbo incontrare implica un’affettività e una casualità che vanno oltre la dimensione del conoscere: un profugo o un rifugiato, infatti, si incontrano, prima ancora di farsi conoscere.

Secondo Bettini, che fa proprie le parole di Caproni, in un’epoca come la nostra, segnata da massicci fenomeni migratori, la condizione di Enea continua a interrogarci per molte ragioni. Una di queste è sicuramente rappresentata dalla sfida sempre più difficile di mantenere vivo il dialogo tra il passato e il futuro; inoltre, non si può trascurare la sua provenienza da un mondo in fiamme, sconvolto dalla distruzione e dalla guerra, da cui l’eroe riesce a fuggire nella disperazione di una notte terribile, non diversamente dalle migliaia di profughi e rifugiati che scappano dai bombardamenti del Medio Oriente o dalle guerre civili africane.

L’emozione della lettura - volume C
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