T5 - L’ora più solare per me (A. Merini)

T5

Alda Merini

L’ora più solare per me

  • Tratto da La volpe e il sipario, 1997
  • Metro componimento a strofa unica di versi liberi, prevalentemente novenari e ottonari. Da notare la presenza di tre distici baciati (vv. 8-9, 12-13, 15-16), mentre gli ultimi quattro versi presentano uno schema di rime incrociate (ABBA)
L’autrice

Alda Merini nasce a Milano nel 1931. Interrotti gli studi per motivi economici, non ignora la sua vocazione poetica e nel 1953 pubblica il suo primo libro di versi, La presenza di Orfeo; nello stesso periodo comincia a manifestare segni di squilibrio psichico, e viene ricoverata per un breve periodo in una casa di cura milanese. Dopo essersi sposata, nel 1954, la sua salute peggiora, e per quattordici anni viene internata a più riprese in manicomio. In questo periodo smette di pubblicare versi: riprenderà nel 1980, due anni dopo la definitiva uscita dall’istituto. Rimasta vedova, Alda Merini si risposa con un poeta molto più anziano di lei e si trasferisce a Taranto per poi fare stabilmente ritorno a Milano, dove a partire dagli anni Novanta pubblico e critica iniziano ad apprezzare la sua lirica strettamente intrecciata alla vita e capace di esplorare in particolare il territorio dell’amore e quello del sacro. Sul finire del secolo diventa un vero e proprio mito letterario: la poetessa folle che conduce un’esistenza da outsider, tra amori, solitudine, malattia mentale e scrittura letteraria. Tra le sue opere più importanti ricordiamo La Terra Santa (1984), La volpe e il sipario (1997) e l’antologia Fiore di poesia (1998). Muore nel 2009 a Milano.

Agli occhi della poetessa, niente è meglio che stare ad ascoltare il suo amante. La passione fa quasi svenire, coinvolge anima e corpo, è un desiderio che non ammette ostacoli e non scende a compromessi. Puro, ostinato e capriccioso, come quello dei bambini.

L’ora più solare per me

quella che più mi prende il corpo

quella che più mi prende la mente

quella che più mi perdona

5      è quando tu mi parli.

Sciarade infinite,

infiniti enigmi,

una così devastante arsura,

un tremito da far paura

10    che mi abita il cuore.

Rumore di pelle sul pavimento

come se cadessi sfinita:

da me si diparte la vita

e d’un bianchissimo armento io

15    pastora senza giudizio

di te amor mio mi prendo il vizio.

Vizio che prende un bambino

vizio che prende l’adolescente

quando l’amore è furente

20    quando l’amore è divino.


Alda Merini, L’ora più solare per me, in Fiore di poesia. 1951-1997, a cura di M. Corti, Einaudi, Torino 1998

 >> pagina 196 

a TU per TU con il testo

Contrariamente a quanto siamo disposti ad ammettere, la furia è una componente non secondaria dell’amore. La passione, infatti, non è soltanto un sentimento nobile e disinteressato, con il quale, mossi da altruismo, desideriamo il bene della persona amata. La componente altruista esiste, ma si mescola a molte altre spinte, tra cui, per esempio, la soddisfazione di un desiderio personale o la paura della solitudine. Chi crede che il suo amore sia puro, dunque, è a volte fuori strada, traviato da una visione edulcorata, idealista e romantica. Molto più onesto, in questi casi, pensarsi come un bambino viziato, che sbatte i piedi per il desiderio del suo amato. Un desiderio sacro non perché innocente e incontaminato, ma perché furibondo, testardo, compromesso con gli aspetti più sanguigni della vita. Una tale passione non può rimanere quieta, ma spesso parte alla conquista, per riempire di sé ogni angolo dell’esistenza. Tremate, allora, di fronte al suo arrivo… Come affermava un grande poeta latino, Ovidio, «ogni amante è un guerrier»: pronto all’ira e al perdono, capace di colpire e di incassare, di resistere fino alla morte o di arrendersi senza condizioni.

Analisi  attiva 

La poesia di Alda Merini si apre con una focosa dichiarazione d’amore. Il tempo passato a conversare con la persona amata è definito L’ora più solare (v. 1), il momento, cioè, che allieta più di ogni altro la sua esistenza. Attraverso questa metafora meteorologica, la poetessa esprime innanzitutto un totale coinvolgimento del suo essere: come il sole avvolge ogni cosa con la sua luce, così la passione amorosa abbraccia tutti gli aspetti della persona. Di tale coinvolgimento è prova da subito il martellante parallelismo con anafora dei vv. 2-4: le tre frasi relative, riferite all’ora del v. 1, definiscono il legame che unisce all’oggetto del desiderio l’io lirico, che si sente avvinto sia nel corpo (v. 2) sia nella mente (v. 3), nonché compreso e scusato (v. 4) per i suoi limiti o errori.


1. Quale tra le seguenti coppie di aggettivi corrisponde meglio all’idea di solare?

  •     Felice e vitale. 
  •     Allegra e spensierata. 
  •     Serena e tranquilla. 
  •     Esuberante e stimolante. 


2. Oltre che dall’anafora, i vv. 3 e 4 sono uniti da

  •     l’assonanza tra prende e perdona
  •     la consonanza tra prende e perdona
  •     l’antitesi tra “prendere” e “perdonare”. 
  •     il chiasmo.

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Al v. 6, la poesia prende una piega inaspettata: le parole dell’amante, infatti, non sono dolci e accomodanti, come poteva lasciar presagire l’entusiasmo dell’incipit. Il chiasmo dei vv. 6-7 (Sciarade infinite / infiniti enigmi), infatti, sembra alludere a una mancata comprensione tra la poetessa e l’amante, le parole del quale risultano impenetrabili, oscure come giochi enigmistici.

La mancata comprensione deriva, probabilmente, dallo sconvolgimento amoroso, come lasciano intuire, ai vv. 8-9, i due classici “sintomi” della passione, l’aumento di temperatura e il tremore. Non a caso, ai versi successivi, compare un climax ascendente: l’emozione è così forte che dal timore (la paura del v. 9) si passa a un mancamento (vv. 11-12) e poi persino alla sensazione di “morire d’amore” (da me si diparte la vita, v. 13). È come se l’innamorata si sentisse inghiottire in un abisso vertiginoso, in una condizione di delirio che le regala, allo stesso tempo, malessere e felicità, spavento ed ebbrezza dei sensi.

Nella parte finale della poesia la passione per l’amato è rappresentata come un vizio che l’io poetico (autodefinitosi pastora senza giudizio, v. 15, cioè avventato e irresponsabile) contrae irrimediabilmente. Si tratta di un sentimento vissuto con l’entusiasmo e l’incoscienza di un bambino o adolescente (vv. 17-18) capriccioso, come uno slancio assoluto e totalizzante, davanti a cui tutto il resto perde importanza.


3. L’espressione una così devastante arsura (v. 8) rimanda

  •     al topos dell’amore come malattia. 
  •     al topos dell’amore come guerra. 
  •     al topos dell’amore come fuoco. 
  •     al topos dell’amore come prigionia. 


4. Ai vv. 13-15, il registro linguistico della lirica ha un brusco innalzamento dovuto a lessico aulico e classicheggiante e inversioni e anastrofi. Individua i termini o le espressioni relativi.


5. Al contrario, i vv.15-16 segnano invece un brusco abbassamento di registro: quali espressioni colloquiali vengono usate? Da quale espediente retorico sono sottolineate? Quale aspetto dell’io poetico viene evidenziato?

Nella chiusa della lirica, il vizio d’amore è definito furente e divino (vv. 19-20). Tale accostamento è inusuale: infatti, solitamente i poeti parlano dell’amore come di un’esperienza divina in relazione al suo potere salvifico. La donna o l’uomo amato è spesso concepito come una specie di angelo, che può salvarci da un’esistenza mediocre o, peggio, condannata al dolore e all’insensatezza. In questo testo, invece, l’amore è sacro perché l’innamorata si sente innalzata quasi fin sopra le soglie del divino, in una dimensione irrazionale che è simile all’estasi ma anche alla malattia. L’amore finisce in tal modo per essere percepito come un fuoco, un sentimento irresponsabile e incontrollabile che non conosce il senso del limite e della misura.

Per esprimere una tale passione, la Merini non può che affidarsi a una scrittura convulsa, che non rinuncia alla scelta di un lessico talvolta ricercato e che riproduce la tensione e lo smarrimento della psiche. Ne sono esempio, anche in conclusione del testo, la presenza di figure retoriche come l’anadiplosi dei vv. 16-17 e i parallelismi con anafora dei vv. 17-20 che esprimono con le loro ripetizioni la situazione emotiva nella quale si dibatte la poetessa.


6. Negli ultimi quattro versi è presente una forte opposizione semantica: l’amore furente e divino è definito, infatti, come il vizio di un bambino o di un adolescente, quindi anche come qualcosa che può essere

  •     vergognoso e ignobile. 
  •     segreto e indicibile. 
  •     duraturo e incorreggibile. 
  •     lieve e giocoso. 

Che significato ha, a tuo parere, l’opposizione con i successivi furente e divino?


7. Evidenzia nel testo, usando colori diversi, le anafore e ripetizioni e le rime: in quali sezioni del testo si concentrano le prime e le seconde? Quali effetti producono?

 >> pagina 198 

Laboratorio sul testo

Competenze linguistiche

8. Analisi logica. Indica la funzione logica del pronome di prima persona, più volte ripetuto nel componimento poetico: soggetto (S), complemento oggetto (CO), complemento di termine (CT), funzione intensivo affettiva (FIA), altri complementi indiretti (CI).


  S CO CT FIA CI
a) L’ora più solare per me          
b) quella che più mi prende il corpo          
c) quella che più mi prende la mente          
d) quella che più mi perdona          
e) è quando tu mi parli          
f) un tremito da far paura / che mi abita il cuore          
g) da me si diparte la vita          
h) d’un bianchissimo armento io / pastora senza giudizio          
i) di te amor mio mi prendo il vizio          

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Produrre

9. Scrivere per esprimere. Nel componimento della Merini, l’amore ha molteplici sfaccettature: tra queste, una più adulta, intensa e passionale, e una più infantile, spensierata e giocosa. Credi che vi siano differenze tra l’amore provato in giovane età e quello dell’età adulta? E l’amore adolescenziale è davvero, e sempre, spensierato e giocoso? Esponi le tue considerazioni (massimo 20 righe).


10. Scrivere per confrontare. In questo componimento sono descritti alcuni dei sintomi tipici dell’amore: sono simili o diversi rispetto a quelli che hai già visto descritti da Saffo ( T1, p. 180) e da Petrarca ( T3, p. 188)? Perché? Esponi le tue considerazioni facendo precisi riferimenti ai testi (massimo 30 righe). Se vuoi, prima di cominciare a scrivere, puoi aiutarti compilando una tabella come questa.


Saffo Petrarca Alda Merini
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle et ardo, et son un ghiaccio una così devastante arsura
     
     

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