T7 - Il cigno (C. Baudelaire)

Il tema: La città

T7

Charles Baudelaire

Il cigno

  • Tratto da I fiori del male, 1861
  • Titolo originale Le Cygne
  • Lingua originale francese
  • Metro quartine di endecasillabi e doppi settenari liberamente disposti
L’autore 

▶ Unità 1, T1, p. 104

Nell’attraversare una Parigi resa irriconoscibile dalle recenti trasformazioni urbanistiche, il poeta si sente estraneo a luoghi che in passato ha profondamente amato. L’amarezza e il disagio lo portano a evocare una serie di figure che incarnano questi sentimenti: Andromaca, moglie di Ettore; un cigno che si aggira fra le vie della città; una donna africana smarrita nelle nebbie.

A Victor Hugo*


I

È a te che penso, Andromaca! Quello stento fiume,

misero, opaco specchio dove un tempo rifulse,

immensa, la maestà del tuo dolore,

Simoenta bugiardo gonfiato dal tuo pianto,


5      nel traversare il nuovo Carosello, d’un tratto

fecondò la mia fertile memoria. Parigi,

la vecchia Parigi è sparita (più veloce d’un cuore,

ahimè, cambia la forma d’una città); soltanto


la mente adesso vede la distesa

10    delle baracche, i mucchi di fusti e capitelli

sbozzati, l’erba, i massi che le pozze inverdiscono,

il bric-à-brac confuso che dai vetri riluce.


Là sorgeva un serraglio; là un mattino,

all’ora che sotto un alto, algido cielo

15    il Lavoro si sveglia e dalle strade

s’alza un cupo uragano nell’aria silenziosa,


vidi un cigno, fuggito dalla sua gabbia, l’arido

selciato raspando con i piedi palmati,

le bianche piume strascinare al suolo.

20    Aprendo a un secco rigagnolo il becco, l’animale


bagnava convulso le ali nella polvere

e con il cuore colmo del suo lago natale,

quando, pioggia, cadrai? quando, diceva,

tuonerai, folgore? Mito strano e fatale,


25    lo vedo, l’infelice, come l’uomo d’Ovidio,

al cielo crudelmente azzurro e ironico

sul frenetico collo tender l’avida testa,

a volte, come a rimbrottare Dio!

II

Parigi cambia! ma niente, nella mia melanconia,

30    s’è spostato: palazzi rifatti, impalcature,

case, vecchi sobborghi, tutto m’è allegoria;

pesano come rocce i ricordi che amo.


Così, davanti al Louvre, m’opprime una figura:

penso al mio grande cigno, ai gesti folli

35    che faceva, esule comico e sublime

che un desiderio morde senza fine – e a te,


Andromaca! dall’abbraccio d’un grande sposo rotolata,

deprezzato agnello, nelle mani orgogliose

di Pirro, e china in estasi su una tomba deserta;

40    vedova d’Ettore, ahimè! e d’Eleno consorte!


Penso alla negra tisica e smagrita

che strisciando nel fango s’affanna, stralunata,

dietro l’immenso muro della nebbia a vedere

gli assenti alberi di cocco dell’Africa superba;


45    a chi ha perduto ciò che non si trova

mai più, mai più! e s’abbevera di pianto

e succhia latte al Dolore come a una buona lupa!

ai magri orfani, secchi come fiori!


Nel bosco, dove il mio cuore va esule, così

50    risuona alto il richiamo di un Ricordo antico!

Penso ai marinai su un’isola obliati,

ai prigionieri, ai vinti… ad altri, ad altri ancora!


Charles Baudelaire, Poesie e prose, trad. di G. Raboni, Mondadori, Milano 1991

 >> pagina 158 

a TU per TU con il testo

A molti di noi – l’età non conta – può capitare di vivere momenti, più o meno lunghi, di disagio, nell’incapacità di adattarci a qualcosa. Quando ciò accade e ci si dibatte nelle difficoltà, prima o poi si finisce con il sentire un ritornello martellante nella testa: il tuo posto non è questo. Si può reagire immaginandosi in un altro luogo, alle prese con una vita completamente diversa. Oppure in un tempo lontano, mai conosciuto, che attira proprio per l’alone di mistero che lo circonda. Più spesso, però, si vagheggia il passato che abbiamo vissuto, e inevitabilmente tendiamo a idealizzarlo nel ricordo. Ci convinciamo così che non dovremmo essere in questo luogo e in questo tempo, ma in un’altra situazione che ci appare, ora che è così distante, terribilmente desiderabile, fitta di cose e persone che ci accorgiamo di avere amato più di quanto credessimo. Sembra ieri, ma tutto ormai è svanito nella nebbia, tanto che viene il sospetto che non sia mai esistito. La memoria diventa un masso dal peso insostenibile, la vita un esilio. Ci guardiamo intorno, per non sentirci troppo soli, nella speranza di riconoscere qualcuno che condivida il nostro stato d’animo. È allora che vediamo avanzare incerto il cigno di Baudelaire, ridicolo e sublime allo stesso tempo, come i sentimenti che coviamo.

 >> pagina 159 

Analisi

Il cigno fa parte dei Quadri parigini, una sezione dei Fiori del male incentrata sulla vita della capitale francese, anzi della “capitale del XIX secolo”, come è stata definita in virtù della straordinaria capacità di incarnare lo spirito dell’epoca, nel bene e nel male. A Parigi la modernità si mostra in tutte le sue sfaccettature, tra cenacoli artistici, bettole di malaffare e soprattutto nei viali dove si raggruma una folla brulicante di uomini e donne di condizione diversa. È un vortice di improvviso, radicale cambiamento dal quale nulla si salva: né idee né rapporti sociali consolidati né luoghi.

L’aspetto di una città, scrive Baudelaire, muta più velocemente del cuore di un uomo (vv. 7-8): il poeta, infaticabile viandante metropolitano, cammina per le sue strade, ma stenta a riconoscere Parigi, che non è più la stessa. Dove sono i mucchi di colonne e capitelli sbozzati, le erbe, i massi inverditi dall’acqua di pozzanghera e le cianfrusaglie affollate dietro le vetrine? Sono tutte immagini di ieri, cancellate dall’oggi e vive solo nel ricordo. Il volto della sua Parigi si è infatti trasformato di colpo, secondo il volere dell’imperatore Napoleone III che, per scongiurare rivolte popolari nella città, ha affidato al barone Haussmann il compito di attuare un imponente piano di ristrutturazione della capitale: vaste piazze, larghe strade (boulevard) e monumenti sontuosi hanno preso il posto dei vicoli pittoreschi, delle baracche e dei negozietti polverosi che il poeta, nostalgicamente, rammenta ai vv. 9-12.

Il pensiero del poeta corre allora all’immagine di una figura antica per rappresentare il proprio stato d’animo: Andromaca, la moglie di Ettore, che dopo la morte dell’eroe troiano fu portata come schiava dal figlio di Achille in una remota regione della Grecia dove visse di pianti e memorie. La donna diventa così il simbolo di chi è stato strappato agli affetti più radicati e si ritrova esule in un mondo estraneo. Le è simile un cigno, visto un mattino aggirarsi nei pressi del giardino zoologico. Mentre la città condannata al lavoro si sveglia e dalle strade / s’alza un cupo uragano nell’aria silenziosa (vv. 15-16), l’animale fuggito dalla gabbia trascina le sue bianche piume sul suolo sporco, con il cuore colmo del suo lago natale (v. 22), ripensando dolorosamente al luogo in cui un tempo viveva felice.

Il candido uccello, simbolo di nobiltà e purezza, vive ora nel fango e inutilmente guarda verso il cielo azzurro, lì dove aveva volato libero, quasi a voler rimproverare Dio per il destino che gli ha riservato: è un esule comico e sublime (v. 35), nel quale il poeta evidentemente si identifica. Come scrive in una lettera inviata a Victor Hugo, cui è dedicato il componimento, Baudelaire mira a mostrare «tutte le suggestioni che un fatto casuale, un’immagine possono contenere, e come la vista di un animale sofferente faccia volgere lo spirito verso tutti gli esseri che amiamo, che sono assenti e che soffrono».

Dal cigno il pensiero torna ad Andromaca, vedova inconsolabile prostrata su una tomba deserta (v. 39). Accanto a lei ora si staglia un’altra figura femminile, del tutto differente: una donna negra tisica e smagrita (v. 41) che avanza affannata nel fango cittadino, brancolando nella nebbia in cerca degli alberi di cocco dell’Africa natale.

Si riconosce qui la potente fascinazione esercitata dall’esotico su Baudelaire, che si ispirò forse per questi versi alla figura di Jeanne Duval, ballerina mulatta dalle origini misteriose alla quale fu a lungo legato, suscitando scandalo nella buona borghesia parigina. Di probabile matrice autobiografica è anche il riferimento ai magri orfani, secchi come fiori (v. 48), nel quale si riflette la dolorosa esperienza giovanile del poeta. Ma altre, innumerevoli, sono le creature alle quali il poeta si sente affratellato, che hanno sperimentato il dolore dell’esilio: i marinai, i prigionieri, i vinti… I puntini finali lasciano aperto l’elenco di chi ha perduto ciò che non si trova / mai più, mai più (vv. 45-46), siano i propri averi, la famiglia, la terra natale o la libertà.

 >> pagina 160 

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Andromaca

  •     si è suicidata nel fiume Simoenta. 
  •     è addolorata per i cambiamenti di Parigi. 
  •     è stata portata prigioniera lontano dalla patria. 
  •     è la negra tisica che cammina per le vie di Parigi. 


2. Attraversando la piazza del Carosello, il poeta

  •     incontra Andromaca. 
  •     vede una distesa di baracche. 
  •     ricorda di aver visto un cigno. 
  •     si affretta per andare al lavoro. 


3. Di fronte ai cambiamenti di Parigi il poeta

  •     è entusiasta delle novità. 
  •     ripensa al passato con malinconia. 
  •     critica il nuovo assetto urbanistico. 
  •     va a cercare i vecchi sobborghi. 


4. La negra tisica

  •     immagina le palme africane dietro la nebbia. 
  •     sta cercando qualcosa che ha perduto. 
  •     è paragonata alla lupa di Romolo e Remo. 
  •     ha lasciato due orfani.

ANALIZZARE E INTERPRETARE

5. Che caratteristiche ha la vecchia Parigi presente ancora nella memoria del poeta?


6. L’immagine della città che si risveglia per andare al lavoro ti sembra positiva? Perché?


7. Rifletti sull’immagine del cigno: quali sensazioni evoca? Se interpretiamo il cigno come un alter ego del poeta, che significato assumono la polvere della strada e il cielo azzurro?


8. Che cos’hanno in comune il poeta e tutti gli altri personaggi presenti nel componimento?


9. Individua alcune delle espressioni metaforiche usate nel testo.

COMPETENZE LINGUISTICHE

10. Lessico. Dopo aver verificato il significato di ognuno dei seguenti termini presenti nel componimento, scrivi una frase per ciascuno di essi. Fai attenzione: sono tutti termini di registro linguistico elevato, quindi anche il contesto in cui li userai dovrà essere adeguato.


a) rifulgere: 

 


b) fecondare: 

 


c) rilucere: 

 


d) algido: 

 


e) arido: 

 


f) folgore: 

 


g) opprimere: 

 


h) estasi: 

 


i) consorte: 

 


j) esule:

 

 >> pagina 161 

PRODURRE

11. Scrivere per esprimere. Come ci si sente quando ciò che ci circonda cambia profondamente? Ti è mai capitato di vivere una situazione del genere, per esempio a seguito di un trasloco o del ritorno, dopo molti anni, in luoghi che frequentavi durante l’infanzia? Esponi le tue considerazioni in massimo 20 righe.


12. Scrivere per argomentare. Baudelaire considera negativamente i cambiamenti che la città di Parigi stava vivendo all’epoca. Quando, a tuo parere, è opportuno intervenire per rinnovare l’aspetto e le infrastrutture di una città e quando, invece, è preferibile conservarne la memoria storica? Argomenta la tua posizione, suffragandola con esempi opportuni, in massimo 25 righe.

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