Il tema: La città

Dalla seconda metà del XIX secolo, nella letteratura e nelle arti irrompe un tumultuoso scenario urbano. Tra i viali delle grandi capitali europee sciama una folla convulsa ed eccitata: un nuovo universo si staglia dinanzi agli occhi dei poeti, attratti o spaventati dai fermenti della modernità.

Che cos’è una città? Se dovessimo seguire un criterio puramente demografico, bisognerebbe rispondere: qualunque agglomerato residenziale che conti almeno 20 000 abitanti. Questa è la definizione delle Nazioni Unite, che però non aiuta a capire fino in fondo il significato che nella vita moderna ha assunto la dimensione urbana. “L’aria delle città rende liberi”, sosteneva un proverbio tedesco medievale, che è stato riformulato in mille modi: per qualcuno “rende soli”, per altri “rende felici”, o ancora “malati”, “tristi”, “intelligenti”…

Certo è che la città continua a costituire un’attrattiva irresistibile per milioni di persone in tutto il mondo, e ciò crea inevitabilmente gravi problemi ambientali e sociali. Molte metropoli, in effetti, vedono sorgere ai loro margini periferie miserabili – chiamate a seconda dei casi bidonville, baraccopoli, slums, favelas – dove si accalca una massa di disperati in condizioni di vita proibitive. Questo fenomeno per fortuna in Italia non ha ancora assunto dimensioni drammatiche, anche se dopo l’Unità si è assistito a un massiccio spopolamento delle campagne, proseguito per tutto il Novecento. È facile accorgersene chiedendo ai nonni da dove proviene la loro famiglia: non di rado la risposta evocherà località remote, pressoché sconosciute.

Il tessuto della civiltà italiana si fonda su una fitta rete di città medie e piccole, e molte fra le maggiori – come Firenze, Venezia, Roma – sono fra le mete più ambite del turismo urbano planetario. Sono in tanti a pensare che non ci sia posto più affascinante di una piazza italiana, il simbolo di uno stile di vita invidiato. D’altronde le difficoltà non mancano: le grandi città presentano contraddizioni irrisolte, appaiono pericolose, inquinate, determinano un senso di smarrimento, o meglio di “spaesamento”, un termine che rimanda proprio all’estraneità che si prova una volta usciti dalla dimensione rassicurante del proprio paese.

In Italia i più accaniti detrattori della realtà urbana da secoli sono proprio i poeti, che alla fatidica domanda se sia preferibile abitare in città o in campagna, hanno sempre dato in stragrande maggioranza la stessa risposta: meglio la vita sobria e sana del “buon villano”, misero magari, ma contento del proprio, in armonioso rapporto con la comunità alla quale appartiene. È una visione idealizzata, sempre più difficile da sostenere oggi, quando fuori dalle città non si incontrano ameni villaggetti, ma un hinterland cresciuto a dismisura, fatto di capannoni e distese di anonime villette, dove i vicini neppure si conoscono fra loro. Ecco allora che si finisce con il rimpiangere il passato, dimenticando quanto fosse ingiusta e dura – soprattutto per le donne – la vita nel mondo contadino.

L’emozione della lettura - volume B
L’emozione della lettura - volume B
Poesia e teatro