Mio padre lo ha reso spaventoso di proposito. Lo ha dotato di un collo extralungo,
formato da un tubo di alluminio con una piccola testa anch’essa di alluminio,
che arretra come una frusta ogni volta che il drago spara. Lo ha anche collocato su
30 una base alta più di un metro, proprio a livello della rete, cosicché il drago troneggia
sopra di me. A sette anni sono piccolo per la mia età. (E sembro ancora più piccolo
per il mio broncio costante e per via del taglio di capelli con la scodella a cui papà
mi sottopone due volte al mese.) Ma in piedi davanti al drago appaio davvero minuscolo.
Mi sento minuscolo. Impotente.
35 Mio padre vuole che il drago troneggi su di me non soltanto per incutermi rispetto
e ottenere la mia attenzione; vuole che le palle che escono dalla sua bocca
atterrino ai miei piedi come se fossero sganciate da un aereo. La traiettoria rende
pressoché impossibile rispondere in maniera convenzionale: devo colpire ogni palla
d’anticipo, altrimenti mi rimbalzerebbe oltre la testa. Ma nemmeno così sono
40 abbastanza veloce per mio padre. Colpisci prima, grida. Colpisci prima.
Mio padre urla sempre ogni frase due, talvolta tre, talvolta dieci volte. Più forte,
dice, più forte. Ma a che serve? Per quanto forte la colpisca, per quanto presto, la
palla torna indietro. Ogni palla che mando al di là della rete va ad aggiungersi alle
migliaia che già coprono il campo. Non centinaia. Migliaia. Ruzzolano verso di me
45 in un’onda perenne. Non ho lo spazio per girarmi, per fare un passo, per ruotare.
Non mi posso muovere senza calpestare una palla – eppure devo stare attento a non
farlo, mio padre non lo sopporterebbe. Se calpestassi una palla da tennis, mio padre
ululerebbe come se gli avessi schiacciato le sue.
Ogni terza palla sparata dal drago ne colpisce un’altra già a terra provocando
50 un anomalo rimbalzo laterale. Io aggiusto il colpo all’ultimo secondo, intercetto la
palla d’anticipo e la mando abilmente al di là della rete. So che non è un normale
riflesso. So che ci sono pochi bambini al mondo che vedrebbero quella palla, per
non parlare poi di colpirla. Ma non vado fiero dei miei riflessi, né mi vengono
riconosciuti. È il mio dovere. Ogni colpo riuscito è dato per scontato, ogni colpo
55 mancato scatena una crisi.
Papà dice che se colpisco 2500 palle al giorno, ne colpirò 17.500 alla settimana
e quasi un milione in un anno. Crede nella matematica. I numeri, dice, non mentono.
Un bambino che colpisce un milione di palle all’anno sarà imbattibile.
Colpisci prima, grida mio padre. Accidenti, Andre, colpisci prima. Stai addosso
60 alla palla, stai addosso alla palla.
Adesso è lui che mi sta addosso. Mi grida direttamente nelle orecchie. Non basta
colpire quello che il drago mi spara contro; mio padre vuole che colpisca più forte
e più in fretta del drago. Vuole che batta il drago. Il pensiero mi sgomenta. Mi dico:
non puoi battere il drago. Come si fa a battere qualcuno che non si ferma mai? A
65 ben pensare, il drago assomiglia un sacco a mio padre. Solo che papà è peggio. Per
lo meno il drago ce l’ho davanti, dove posso vederlo. Mio padre invece mi sta alle
spalle. Non lo vedo mai, lo sento soltanto, giorno e notte, che mi urla nelle orecchie.