T3 - Odio il tennis (A. Agassi)

T3

Andre Agassi

Odio il tennis

  • Tratto da Open. La mia storia
  • Titolo originale Open. An Autobiography, 2009
  • Lingua originale inglese
  • autobiografia
L’autore

Andre Agassi nasce nel 1970 a Las Vegas da madre statunitense e padre di origine armena, trasferitosi dall’Iran negli Stati Uniti negli anni Cinquanta. Appassionato sportivo (aveva partecipato come pugile alle Olimpiadi del 1948 e del 1952), il padre sogna per i quattro figli un avvenire da campioni nel tennis, e li allena duramente a questo scopo, che Andre riesce a raggiungere a prezzo di pesanti sacrifici. Abbandonata la scuola, diventa professionista a soli 16 anni. Al primo trionfo, sull’erba del prestigioso torneo londinese di Wimbledon, nel 1992, seguono anni d’oro, ma anche momenti difficili: nel 1997 precipita nella classifica internazionale fino al posto n. 141, ma riesce a riprendersi e a tornare ai vertici. Quando decide di ritirarsi, nel 2006, ha vinto tutti i trofei del cosiddetto Grande Slam (oltre a Wimbledon, gli Australian Open, il Roland Garros e gli U.S. Open), le Olimpiadi e la Coppa Davis. Oggi Agassi trascorre buona parte del tempo occupandosi della fondazione che porta il suo nome: un’iniziativa benefica volta a garantire opportunità scolastiche e attività ricreative ai ragazzi a rischio del Nevada.

Andre è un bambino di sette anni, che ogni giorno, spinto dal padre, entra in un campo da tennis. Dall’altra parte della rete lo aspetta imperturbabile e minaccioso il suo avversario: un drago metallico, che per ore gli spara addosso migliaia di palle.

Ho sette anni e sto parlando da solo perché ho paura e perché sono l’unico che mi
sta a sentire. Sussurro sottovoce: Lascia perdere, Andre, arrenditi. Posa la racchetta ed
esci immediatamente da questo campo. Entra in casa e prenditi qualcosa di buono
da mangiare. Gioca con Rita, Philly o Tami.1 Siediti vicino alla mamma che lavora a 

5      maglia o compone uno dei suoi puzzle. Non ti sembra bello? Non sarebbe magnifico,
Andre? Semplicemente lasciar perdere? Non giocare a tennis mai più?

Ma non posso. Non solo mio padre mi rincorrerebbe per tutta la casa brandendo2
la mia racchetta, ma qualcosa nelle mie viscere, un qualche profondo muscolo
invisibile me l’impedisce. Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo 

10    a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho
scelta. Per quanto voglia fermarmi, non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere
e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto tra ciò che voglio e ciò che
effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita.

Al momento il mio odio per il tennis si concentra sul drago, una macchina lanciapalle 

15    modificata dal mio vulcanico papà. Nero come la pece, montato su grosse
ruote di gomma e con la parola PRINCE dipinta in bianche lettere maiuscole lungo la
base, il drago assomiglia a una qualunque macchina lanciapalle di un qualsivoglia
circolo sportivo americano. In realtà, però, è una creatura vivente uscita da uno dei
miei fumetti.3 Il drago respira, ha un cervello, una volontà, un cuore nero – e una 

20    voce terrificante. Risucchiando un’altra palla nel proprio ventre, il drago emette una
serie di rumori disgustosi. Mano a mano che la pressione aumenta nella sua gola
inizia a mugolare e quando la palla gli sale lentamente alla bocca urla. Per un attimo
mi sembra quasi ridicolo, come la macchina delle praline che ingoia Augustus
Gloop in Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato.4 Ma quando il drago punta dritto su 

25    di me e spara una palla a 180 chilometri all’ora, emette un ruggito da belva assetata
di sangue che mi fa sobbalzare ogni volta.

Mio padre lo ha reso spaventoso di proposito. Lo ha dotato di un collo extralungo,
formato da un tubo di alluminio con una piccola testa anch’essa di alluminio,
che arretra come una frusta ogni volta che il drago spara. Lo ha anche collocato su 

30    una base alta più di un metro, proprio a livello della rete, cosicché il drago troneggia
sopra di me. A sette anni sono piccolo per la mia età. (E sembro ancora più piccolo
per il mio broncio costante e per via del taglio di capelli con la scodella a cui papà
mi sottopone due volte al mese.) Ma in piedi davanti al drago appaio davvero minuscolo.
Mi sento minuscolo. Impotente.

35    Mio padre vuole che il drago troneggi su di me non soltanto per incutermi rispetto
e ottenere la mia attenzione; vuole che le palle che escono dalla sua bocca
atterrino ai miei piedi come se fossero sganciate da un aereo. La traiettoria rende
pressoché impossibile rispondere in maniera convenzionale: devo colpire ogni palla
d’anticipo, altrimenti mi rimbalzerebbe oltre la testa. Ma nemmeno così sono 

40    abbastanza veloce per mio padre. Colpisci prima, grida. Colpisci prima.

Mio padre urla sempre ogni frase due, talvolta tre, talvolta dieci volte. Più forte,
dice, più forte. Ma a che serve? Per quanto forte la colpisca, per quanto presto, la
palla torna indietro. Ogni palla che mando al di là della rete va ad aggiungersi alle
migliaia che già coprono il campo. Non centinaia. Migliaia. Ruzzolano verso di me 

45    in un’onda perenne. Non ho lo spazio per girarmi, per fare un passo, per ruotare.
Non mi posso muovere senza calpestare una palla – eppure devo stare attento a non
farlo, mio padre non lo sopporterebbe. Se calpestassi una palla da tennis, mio padre
ululerebbe come se gli avessi schiacciato le sue.

Ogni terza palla sparata dal drago ne colpisce un’altra già a terra provocando 

50    un anomalo rimbalzo laterale. Io aggiusto il colpo all’ultimo secondo, intercetto la
palla d’anticipo e la mando abilmente al di là della rete. So che non è un normale
riflesso. So che ci sono pochi bambini al mondo che vedrebbero quella palla, per
non parlare poi di colpirla. Ma non vado fiero dei miei riflessi, né mi vengono
riconosciuti. È il mio dovere. Ogni colpo riuscito è dato per scontato, ogni colpo 

55    mancato scatena una crisi.

Papà dice che se colpisco 2500 palle al giorno, ne colpirò 17.500 alla settimana
e quasi un milione in un anno. Crede nella matematica. I numeri, dice, non mentono.
Un bambino che colpisce un milione di palle all’anno sarà imbattibile.

Colpisci prima, grida mio padre. Accidenti, Andre, colpisci prima. Stai addosso 

60    alla palla, stai addosso alla palla.

Adesso è lui che mi sta addosso. Mi grida direttamente nelle orecchie. Non basta
colpire quello che il drago mi spara contro; mio padre vuole che colpisca più forte
e più in fretta del drago. Vuole che batta il drago. Il pensiero mi sgomenta. Mi dico:
non puoi battere il drago. Come si fa a battere qualcuno che non si ferma mai? A 

65    ben pensare, il drago assomiglia un sacco a mio padre. Solo che papà è peggio. Per
lo meno il drago ce l’ho davanti, dove posso vederlo. Mio padre invece mi sta alle
spalle. Non lo vedo mai, lo sento soltanto, giorno e notte, che mi urla nelle orecchie.

Più topspin!5 Colpisci più forte. Colpisci più forte. Non in rete! Maledizione,
Andre! Mai in rete!

70    Niente manda mio padre su tutte le furie quanto una palla che finisce in rete. È
scontento quando tiro largo,6 grida quando tiro lungo,7 ma quando pianto una palla
in rete gli viene la schiuma alla bocca.8 Gli errori sono una cosa, la rete un’altra. Non
fa che ripetermelo: la rete è il tuo peggior nemico.

Mio padre ha alzato il nemico di quindici centimetri rispetto all’altezza regolamentare, 

75    per renderlo ancora più difficile da evitare. Se posso scavalcare la rete alta
di mio padre, pensa che non avrò problemi a superarla un giorno a Wimbledon.9
Che io non voglia giocare a Wimbledon non ha importanza. Quello che voglio io
è irrilevante. Qualche volta guardo Wimbledon alla televisione con mio padre e
facciamo tutti e due il tifo per Björn Borg,10 perché è il migliore, non si ferma mai, è 

80    quello che più assomiglia al drago – ma io non voglio essere Borg. Ammiro il suo
talento, la sua energia, il suo stile, la sua capacità di mettere tutto se stesso nel gioco,
ma se mai dovessi sviluppare quelle qualità le dedicherei a qualcosa di diverso da
Wimbledon. Qualcosa che io stesso ho scelto.

Colpisci più forte, urla mio padre. Colpisci più forte. Ora un rovescio. Rovescio!

85    Penso che mi si staccherà il braccio. Vorrei chiedere: Quanto deve durare ancora,
pa’? Ma non lo chiedo. Faccio come mi dice. Colpisco più forte che posso, e poi
ancora un po’ di più. A un certo punto mi sorprendo di quanto tiro forte, e preciso.
Sebbene odi il tennis, mi piace la sensazione che dà una palla colpita alla perfezione.
È l’unico attimo di pace. Quando faccio qualcosa alla perfezione godo per un 

90    istante di un senso di equilibrio mentale e di calma.

Il drago, però, risponde alla mia perfezione sparando ancora più forte la palla
successiva.


Andre Agassi, Open. La mia storia, trad. di G. Lupi, Einaudi, Torino 2011

 >> pagina 660 

Come continua

Andre rievoca i difficili anni vissuti sotto la stretta supervisione del padre, pronto a tutto pur di trasformarlo in un campione. A questo scopo lo fa entrare in una durissima accademia di tennis, in Florida, che ha formato numerosi giocatori giunti ai vertici delle classifiche mondiali. Il ragazzo però non riesce ad ambientarsi e reagisce alla rigida disciplina che gli viene imposta assumendo atteggiamenti provocatori. Vorrebbe abbandonare la racchetta, ma ogni volta che ci prova qualcosa più forte di lui lo riporta in campo.

 >> pagina 661 

a TU per TU con il testo

Come nasce un campione? Nel tennis come negli altri sport il talento serve a poco, senza l’applicazione e lo spirito di sacrificio. Ma queste sono doti che un bambino di sette anni non può avere. A quell’età sono i genitori a decidere per lui, come fa il padre di Agassi, che cerca in tutti i modi di plasmarlo perché realizzi gli obiettivi che ha stabilito. A differenza dei fratelli, Andre ci riesce: ma non riavrà mai indietro la sua infanzia, divorata dal drago con cui passava le giornate, invece di giocare. Perché il tennis, praticato così, non è un gioco ma un lavoro forzato. Viene da chiedersi fino a che punto sia giusto adeguarsi ai sogni di un altro, se questi investono la nostra vita, cambiandola radicalmente. Il prezzo del successo può essere molto alto. Troppo alto, a volte.

Analisi

Per dare maggior efficacia e immediatezza alle pagine, Agassi decide di raccontare al presente. La sua storia fluisce piana, senza astio e senza reticenze: il titolo del libro, Open (che in inglese significa “aperto”), allude proprio a questo, oltre che ai tornei di tennis, definiti appunto “open” a partire dagli anni Sessanta in quanto accessibili anche ai giocatori non professionisti.

In questo brano il narratore si sofferma su una giornata trascorsa su un campo da tennis, simile a mille altre della sua infanzia. Lo sport in cui deve eccellere è un esercizio solitario, fondato sul ripetersi di gesti simili. Nulla di più avvilente per un bambino estroverso, che si riduce a parlare fra sé e sé, impaurito, sottovoce, perché nessuno lo sta a sentire: Lascia perdere, Andre, arrenditi. Posa la racchetta ed esci immediatamente da questo campo (rr. 2-3). Vorrebbe soddisfare desideri normali alla sua età: mangiare qualcosa di buono, giocare con i fratelli, stare accanto alla madre. Ma la normalità è impossibile quando c’è di mezzo un padre come il suo, che lo tiene inchiodato a un’ossessione, forte del carisma che gli deriva dal ruolo e dal carattere. Andre si rende conto di odiare il tennis, ciononostante continua a palleggiare dalla mattina alla sera, senza riuscire a fermarsi: questo conflitto tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita (rr. 12-13).

Perfettamente scolpito nella memoria del piccolo Agassi resta il drago nero che gli sputa contro palle da tennis alla velocità di 180 chilometri orari, una dopo l’altra, senza tregua. Non una macchina contro cui allenarsi, ma – nella fantasia del bambino – una gigantesca creatura vivente (r. 18), dotata di cervello, cuore, volontà e della capacità di emettere rumori disgustosi. È verso il drago che in prima battuta indirizza il suo odio: ma è il padre che l’ha costruito e impostato per tirargli addosso 2500 palle al giorno, 17 500 alla settimana, quasi un milione all’anno. È lui, il genitore, il vero “nemico”, che non gli sta davanti, ma dappertutto, incitandolo e insultandolo continuamente, giorno e notte, con il suo strano accento di armeno cresciuto in Iran: Colpisci più forte. Colpisci più forte. Non in rete! Maledizione, Andre! Mai in rete! (rr. 68-69).

Anche nei rari momenti di calma e condivisione, il padre non molla la presa. Mentre guardano insieme il torneo di Wimbledon, in televisione, tifano entrambi per un altro “drago”, in carne e ossa: il tennista svedese Björn Borg, che vinse per la prima volta il torneo a soli vent’anni, nel 1976, e ripeté il successo nei quattro anni successivi. Andre ne ammira il talento, l’energia, lo stile, ma pensa che se mai dovessi sviluppare quelle qualità le dedicherei a qualcosa di diverso da Wimbledon. Qualcosa che io stesso ho scelto (rr. 82-83). In realtà i rari momenti di pace e soddisfazione li ottiene da una palla ben colpita: Quando faccio qualcosa alla perfezione godo per un istante di un senso di equilibrio mentale e di calma (rr. 89-90), presto interrotta dalle urla del padre e da una nuova scarica del drago. Non c’è nulla che Andre sappia fare meglio, anzi non c’è null’altro che sappia fare.

Con queste premesse, non c’è da stupirsi se nel 1992, quando davvero alzerà la coppa a Wimbledon, non proverà la felicità che ci si potrebbe immaginare. Come scrive in un altro capitolo di Open, «Vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta».

 >> pagina 662 

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. Il brano racconta

  •     del giorno in cui il padre di Andre ha portato a casa la macchina sparapalle. 
  •     del giorno in cui Andre e suo padre hanno guardato Björn Borg giocare a Wimbledon. 
  •     di un giorno in cui Andre ha sostenuto uno speciale allenamento con la macchina sparapalle. 
  •     di un qualunque giorno dell’infanzia di Andre, in cui egli ha dovuto, come sempre, allenarsi duramente. 


2. La macchina sparapalle è chiamata il drago perché

  •     quando lancia le palle si scalda e fuma. 
  •     il padre l’ha modificata per farla assomigliare a un drago. 
  •     è stata fatta a forma di drago per far giocare i bambini. 
  •     Andre, di notte, sogna che la macchina si trasforma in un drago. 


3. Che cosa ha fatto il padre di Andre alla rete da tennis?

  •     L’ha abbassata di 15 cm. 
  •     L’ha alzata di 15 cm. 
  •     L’ha spostata più lontano. 
  •     L’ha rinforzata.

Analizzare e interpretare

4. Il narratore è (sono possibili più risposte)

  •     interno. 
  •     esterno. 
  •     onnisciente. 
  •     testimone. 
  •     protagonista. 
  •     con focalizzazione interna. 
  •     con focalizzazione esterna. 
  •     un bambino di sette anni. 
  •    I    un adulto che ricorda quando aveva sette anni. 


5. Quali sono gli elementi che ti permettono di affermare che questo non è il racconto di una specifica giornata, ma di quello che accadeva abitualmente ad Andre?


Elementi oggettivi  

Elementi mostruosi  


6. Quale ritratto del padre di Andre emerge dal brano? Fai riferimento a punti del testo che ritieni significativi.


7. Quali sentimenti nutre il piccolo Andre nei confronti del padre? (sono possibili più risposte)

  •     Stima. 
  •     Ammirazione. 
  •     Paura. 
  •     Rispetto. 
  •     Soggezione. 
  •     Astio. 
  •     Affetto. 


8. È possibile affermare che il rapporto di Andre con il tennis è di odio-amore? Perché?


9. Lo stile della narrazione è semplice e piano, ma reso avvincente anche dalle numerose ripetizioni: individuane alcune e spiega quale effetto producono.

 >> pagina 663 

competenze linguistiche

10. Coerenza e coesione. Il brano che hai letto è raccontato interamente al presente. Prova a riscriverne i passi indicati usando i verbi al passato. Fai attenzione alle concordanze dei tempi verbali, in particolare ai congiuntivi e ai condizionali.

a) Da Ma non posso (r. 7) a mi appare l’essenza della mia vita (r. 13).

b) Da Mio padre vuole che il drago troneggi (r. 35) ad abbastanza veloce per mio padre (r. 40).

c) Da Penso che mi si staccherà il braccio (r. 85) alla fine del brano.

PRODURRE

11. Scrivere per esprimere. Mettiti nei panni del padre di Agassi e prova a spiegare i motivi per cui desidera così tanto che il figlio diventi un campione di tennis (massimo 20 righe).

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

SCIENZE MOTORIE

Se giochi a tennis o sei un appassionato, spiegane le regole ai tuoi compagni, altrimenti fai una ricerca su questo sport.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Quanto possono contare le aspettative e i desideri dei genitori nella vita di un ragazzo o di una ragazza e quanto possono influenzare il suo stile (gli amici e la scuola che frequenta, lo sport che pratica)? È giusto che i genitori talvolta impongano ai figli scelte che essi non condividono?

L’emozione della lettura - volume A
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Narrativa