T6 - Ultimo viene il corvo (I. Calvino)

Il tema: La guerra

T6

Italo Calvino

Ultimo viene il corvo

  • Tratto da Ultimo viene il corvo, 1949
  • racconto
L’autore 

▶ Unità 5, T5, p. 443

In un paesaggio incantato, tra i riflessi d’argento del torrente e le creature naturali del bosco, un giovane solitario s’imbatte nella presenza dell’“altro”: l’incontro con lo straniero, con il nemico, diventa l’occasione di scoprire e conoscere meglio se stesso.

La corrente era una rete di increspature1 leggere e trasparenti, con in mezzo l’acqua
che andava. Ogni tanto c’era come un battere d’ali d’argento a fior d’acqua:2 il lampeggiare
del dorso di una trota che riaffondava subito a zig-zag.

«C’è pieno di trote», disse uno degli uomini.

5      «Se buttiamo dentro una bomba vengono tutte a galla a pancia all’aria», disse
l’altro; si levò una bomba dalla cintura e cominciò a svitare il fondello.3

Allora s’avanzò il ragazzo che li stava a guardare, un ragazzotto montanaro, con
la faccia a mela. «Mi dài», disse e prese il fucile a uno di quegli uomini. «Cosa vuole
questo?», disse l’uomo e voleva togliergli il fucile. Ma il ragazzo puntava l’arma 

10    sull’acqua come cercando un bersaglio. “Se spari in acqua spaventi i pesci e nient’altro”,
voleva dire l’uomo ma non finì neanche. Era affiorata una trota, con un guizzo,
e il ragazzo le aveva sparato una botta4 addosso, come l’aspettasse proprio lì. Ora la
trota galleggiava con la pancia bianca. «Cribbio»,5 dissero gli uomini.

Il ragazzo ricaricò l’arma e la girò intorno.6 L’aria era tersa e tesa: si distinguevano 

15    gli aghi sui pini dell’altra riva e la rete d’acqua7 della corrente. Una increspatura
saettò8 alla superficie: un’altra trota. Sparò: ora galleggiava morta. Gli uomini guardavano
un po’ la trota un po’ lui. «Questo spara bene», dissero.

Il ragazzo muoveva ancora la bocca del fucile9 in aria.

Era strano, a pensarci, essere circondati così d’aria, separati da metri d’aria dalle 

20    altre cose. Se puntava il fucile invece, l’aria era una linea diritta ed invisibile, tesa
dalla bocca del fucile alla cosa, al falchetto che si muoveva nel cielo con le ali che
sembravano ferme. A schiacciare il grilletto l’aria restava come prima trasparente e
vuota, ma lassù all’altro capo della linea il falchetto chiudeva le ali e cadeva come
una pietra. Dall’otturatore10 aperto usciva un buon odore di polvere.11

25    Si fece dare altre cartucce. Erano in tanti ormai a guardarlo, dietro di lui in riva
al fiumicello. Le pigne in cima agli alberi dell’altra riva perché si vedevano e non si
potevano toccare? Perché quella distanza vuota tra lui e le cose? Perché le pigne che

erano una cosa con lui, nei suoi occhi, erano invece là, distanti? Però se puntava
il fucile la distanza vuota si capiva che era un trucco; lui toccava il grilletto e nello 

30    stesso momento la pigna cascava, troncata al picciolo. Era un senso di vuoto come
una carezza: quel vuoto della canna del fucile che continuava attraverso l’aria e si
riem­piva con lo sparo, fin laggiù alla pigna, allo scoiattolo, alla pietra bianca, al fiore
di papavero. «Questo non ne sbaglia una»,12 dicevano gli uomini e nessuno aveva
il coraggio di ridere.

35    «Tu vieni con noi», disse il capo. «E voi mi date il fucile», rispose il ragazzo.
«Ben. Si sa». Andò con loro.

Partì con un tascapane13 pieno di mele e due forme di cacio.14 Il paese era una
macchia d’ardesia,15 paglia e sterco vaccino16 in fondo alla valle. Andare via era bello
perché a ogni svolta si vedevano cose nuove, alberi con pigne, uccelli che volavano 

40    dai rami, licheni17 sulle pietre, tutte cose nel raggio delle distanze finte,18 delle distanze
che lo sparo riempiva inghiottendo l’aria in mezzo.

Non si poteva sparare però, glielo dissero: erano posti da passarci in silenzio e
le cartucce servivano per la guerra. Ma a un certo punto un leprotto spaventato dai
passi traversò il sentiero in mezzo al loro urlare e armeggiare.19 Stava già per scomparire 

45    nei cespugli quando lo fermò una botta del ragazzo. «Buon colpo», disse
anche il capo, «però qui non siamo a caccia. Vedessi anche un fagiano20 non devi
più sparare».

Non era passata un’ora che nella fila si sentirono altri spari. «È il ragazzo di nuovo!»,
s’infuriò il capo e andò a raggiungerlo. Lui rideva, con la sua faccia bianca e 

50    rossa, a mela. «Pernici»,21 disse, mostrandole. Se n’era alzato un volo22 da una siepe.

«Pernici o grilli, te l’avevo detto. Dammi il fucile. E se mi fai imbestialire23 ancora
torni al paese». Il ragazzo fece un po’ il broncio; a camminare disarmato non c’era
gusto, ma finché era con loro poteva sperare di riavere il fucile.

La notte dormirono in una baita24 da pastori. Il ragazzo si svegliò appena il cielo 

55    schiariva, mentre gli altri dormivano. Prese il loro fucile più bello, riempì il tascapane
di caricatori25 e uscì. C’era un’aria timida e tersa, da mattina presto. Poco discosto
dal casolare c’era un gelso.26 Era l’ora in cui arrivavano le ghiandaie.27 Eccone una:
sparò, corse a raccoglierla e la mise nel tascapane. Senza muoversi dal punto dove
l’aveva raccolta cercò un altro bersaglio: un ghiro!28 Spaventato dallo sparo, correva 

60    a rintanarsi in cima ad un castagno. Morto era un grosso topo con la coda grigia che
perdeva ciuffi di pelo a toccarla. Da sotto il castagno vide, in un prato più basso, un
fungo, rosso coi punti bianchi, velenoso. Lo sbriciolò con una fucilata, poi andò a

vedere se proprio l’aveva preso. Era un bel gioco andare così da un bersaglio all’altro:
forse si poteva fare il giro del mondo. Vide una grossa lumaca su una pietra, 

65    mirò il guscio e raggiunto il luogo non vide che la pietra scheggiata, e un po’ di bava
iridata.29 Così s’era allontanato dalla baita, giù per prati sconosciuti.

Dalla pietra vide una lucertola su un muro, dal muro una pozzanghera e una rana,
dalla pozzanghera un cartello sulla strada, bersaglio facile. Dal cartello si vedeva la
strada che faceva zig-zag e sotto: sotto c’erano degli uomini in divisa che avanzavano 

70    ad armi spianate. All’apparire del ragazzo col fucile che sorrideva con quella faccia
bianca e rossa, a mela, gridarono e gli puntarono le armi addosso. Ma il ragazzo aveva
già visto dei bottoni d’oro sul petto di uno di quelli e fatto fuoco mirando a un
bottone.

Sentì l’urlo dell’uomo e gli spari a raffiche o isolati che gli fischiavano sopra la 

75    testa: era già steso a terra dietro un mucchio di pietrame30 sul ciglio della strada, in
angolo morto.31 Poteva anche muoversi, perché il mucchio era lungo, far capolino
da una parte inaspettata, vedere i lampi alla bocca delle armi dei soldati, il grigio
e il lustro delle loro divise, tirare a un gallone, a una mostrina.32 Poi a terra e lesto
a strisciare da un’altra parte a far fuoco. Dopo un po’ sentì raffiche alle sue spalle, 

80    ma che lo sopravanzavano e colpivano i soldati: erano i compagni che venivano di
rinforzo coi mitragliatori. «Se il ragazzo non ci svegliava coi suoi spari», dicevano.

Il ragazzo, coperto dal tiro dei compagni, poteva mirare meglio. Ad un tratto un
proiettile gli sfiorò una guancia. Si voltò: un soldato aveva raggiunto la strada sopra
di lui. Si buttò in una cunetta,33 al riparo, ma intanto aveva fatto fuoco e colpito 

85    non il soldato ma di striscio il fucile, alla cassa.34 Sentì che il soldato non riusciva
a ricaricare il fucile, e lo buttava in terra. Allora il ragazzo sbucò e sparò sul soldato
che se la dava a gambe: gli fece saltare una spallina.

L’inseguì. Il soldato ora spariva nel bosco ora riappariva a tiro. Gli bruciò il cocuzzolo35
dell’elmo, poi un passante della cintura. Intanto inseguendosi erano arrivati 

90    in una valletta sconosciuta, dove non si sentiva più il rumore della battaglia.
A un certo punto il soldato non trovò più bosco davanti a sé, ma una radura, con
intorno dirupi fitti di cespugli. Ma il ragazzo stava già per uscire dal bosco: in mezzo
alla radura c’era una grossa pietra; il soldato fece appena in tempo a rimpiattarcisi36
dietro, rannicchiato con la testa tra i ginocchi.

95    Là per ora si sentiva al sicuro: aveva delle bombe a mano con sé e il ragazzo non
poteva avvicinarglisi ma solo fargli la guardia a tiro di fucile, che non scappasse.
Certo, se avesse potuto con un salto raggiungere i cespugli, sarebbe stato sicuro,
scivolando per il pendio fitto. Ma c’era quel tratto nudo da traversare: fin quando
sarebbe rimasto lì il ragazzo? E non avrebbe mai smesso di tenere l’arma puntata? Il 

100 soldato decise di fare una prova: mise l’elmo sulla punta della baionetta37 e gli fece
far capolino fuori dalla pietra. Uno sparo, e l’elmo rotolò per terra, sforacchiato.

Il soldato non si perse d’animo; certo mirare lì intorno alla pietra era facile, ma
se lui si muoveva rapidamente sarebbe stato impossibile prenderlo. In quella un
uccello traversò il cielo veloce, forse un galletto di marzo.38 Uno sparo e cadde. Il

105 soldato si asciugò il sudore dal collo. Passò un altro uccello, una tordella:39 cadde
anche quello. Il soldato inghiottiva saliva. Doveva essere un posto di passo,40 quello:
continuavano a volare uccelli, tutti diversi e quel ragazzo a sparare e farli cadere. Al
soldato venne un’idea: “Se lui sta attento agli uccelli non sta attento a me. Appena
tira io mi butto”. Ma forse prima era meglio fare una prova. Raccattò41 l’elmo e lo 

110 tenne pronto in cima alla baionetta. Passarono due uccelli insieme, stavolta: beccaccini.42
Al soldato rincresceva sprecare un’occasione così bella per la prova, ma non
si azzardava ancora. Il ragazzo tirò a un beccaccino, allora il soldato sporse l’elmo,
sentì lo sparo e vide l’elmo saltare per aria. Ora il soldato sentiva un sapore di piombo
in bocca; s’accorse appena che anche l’altro uccello cadeva a un nuovo sparo.

115 Pure non doveva fare gesti precipitosi: era sicuro dietro quel masso, con le sue
bombe a mano. E perché non provava a raggiungerlo con una bomba, pur stando
nascosto? Si sdraiò schiena a terra, allungò il braccio dietro a sé, badando a non scoprirsi,
radunò le forze e lanciò la bomba. Un bel tiro; sarebbe andata lontano; però
a metà della parabola una fucilata la fece esplodere in aria. Il soldato si buttò faccia 

120 a terra perché non gli arrivassero schegge.

Quando rialzò il capo era venuto il corvo. C’era nel cielo sopra di lui un uccello
che volava a giri lenti, un corvo forse. Adesso certo il ragazzo gli avrebbe sparato.
Ma lo sparo tardava a farsi sentire. Forse il corvo era troppo alto? Eppure ne aveva
colpito di più alti e veloci. Alla fine una fucilata: adesso il corvo sarebbe caduto, no, 

125 continuava a girare lento, impassibile. Cadde una pigna, invece, da un pino lì vicino.
Si metteva a tirare alle pigne, adesso? A una a una colpiva le pigne che cascavano
con una botta secca.

A ogni sparo il soldato guardava il corvo: cadeva? No, l’uccello nero girava sempre
più basso sopra di lui. Possibile che il ragazzo non lo vedesse? Forse il corvo 

130 non esisteva, era una sua allucinazione. Forse chi sta per morire vede passare tutti gli
uccelli: quando vede il corvo vuol dire che è l’ora. Pure, bisognava avvertire il ragazzo
che continuava a sparare alle pigne. Allora il soldato si alzò in piedi e indicando
l’uccello nero col dito, «Là c’è il corvo!», gridò, nella sua lingua.43 Il proiettile lo
prese giusto in mezzo a un’aquila44 ad ali spiegate che aveva ricamata sulla giubba.

135 Il corvo s’abbassava lentamente, a giri.


Italo Calvino, Ultimo viene il corvo, Mondadori, Milano 2001

 >> pagina 506 

a TU per TU con il testo

Nel bosco c’è un ragazzo, per molti versi ancora un bambino; compare all’improvviso e stupisce tutti con la sua prodigiosa abilità: nemmeno lui, fino a oggi, era consapevole di possederla ma la guerra, che scompiglia e riannoda in modo inaspettato i destini, gliel’ha rivelata. Il ragazzo si spinge con entusiasmo alla ricerca di ulteriori sfide, di nuovi obiettivi sui quali testare, con infantile allegria, lo speciale talento che suscita tanta ammirazione. Vive quest’esperienza come un gioco meraviglioso che gli rivela cose sempre nuove e lo esalta. Ma la guerra, che scherza crudelmente con la vita e con la morte, lo pone di fronte a un’avventura differente da tutte le altre: la gioia della scoperta perde, così, ogni innocenza, ogni candore e la realtà rivela, dietro la leggerezza del gioco, tutta la sua grave, tragica serietà.

 >> pagina 507 

Analisi

Siamo sulle Alpi liguri, durante la Resistenza: un luogo e un momento precisi, come risulta dal racconto, ricco di dettagli reali. Ci sono, infatti, la banda di partigiani, la bomba con il suo fondello (r. 6), il fucile con l’otturatore (r. 24) e le cartucce (r. 25). Il ragazzo è un tipico montanaro (r. 7), porta un tascapane pieno di mele e due forme di cacio (r. 37), ed è felice di lasciare il villaggio dai tetti di ardesia (r. 38) per seguire i guerriglieri, diretti alla baita da pastori (r. 54) dove riposeranno la notte. Con lo stesso minuzioso realismo viene descritta anche la natura: lontane da ogni trasfigurazione poetica, la fauna e la flora sono nominate con esattezza.

Nonostante la puntuale verosimiglianza della situazione narrata e il contesto storico reale in cui essa matura, il lettore percepisce un’atmosfera di indeterminata vaghezza complessiva: i personaggi sono tutti privi di nome e di riconoscibile identità sociale; la parola “partigiano” o “tedesco” non viene mai pronunciata da nessuno; i toponimi sono assenti e la vicenda si colloca sullo sfondo di un immutabile scenario naturale. L’allegro e indisciplinato protagonista, allora, apparso come per incanto dalle profondità del bosco, sembra un furbo folletto che si appropria dell’arma come fosse un oggetto fatato. In questo modo la rappresentazione assume il tono suggestivo di una fiaba o di un mito, dove sparare alla pigna, allo scoiattolo, alla pietra bianca, al fiore di papavero (rr. 32-33) può sembrare, veramente, la magia di una carezza (r. 31) nel vuoto.

Imbattutosi per caso nei partigiani, “il ragazzo con la faccia a mela” (r. 8) si aggrega alla banda per ragioni estranee all’antifascismo e senza porsi interrogativi morali su che cosa sia giusto o sbagliato. Sceglie infatti di restare con loro non per una scelta politica, ma per fanciullesco spirito d’avventura (Andare via era bello perché a ogni svolta si vedevano cose nuove, rr. 38-39) e per le virtù strabilianti del fucile, oggetto dei suoi desideri. Simile ai cavalieri erranti dell’epica cinquecentesca, allora, egli disattende gli ordini e abbandona i compagni per inoltrarsi nella selva, spinto unicamente dal giocoso impulso di una solitaria e fantastica ricerca.

Nella sua esplorazione per prati sconosciuti (r. 66), “il ragazzo con la faccia a mela” non sembra fare differenza tra una lucertola su un muro, una pozzanghera e una rana (r. 67), da una parte, e il petto di un soldato, di cui colpisce per primo il bottone (rr. 72-73) della divisa, dall’altra. Dopo la scaramuccia che ne segue, il ragazzo si trova a tu per tu, per la prima volta, con un obiettivo umano: la sua determinazione, che diventa spietatezza, stana la vittima eccitandone astutamente la paura in un crescendo di tensione. Come i bambini che, entusiasti del nuovo giocattolo, lo distruggono per capire come funziona, così l’uccisione a freddo del tedesco diventa, per il protagonista del racconto, il feroce completamento della sua avventura.

Attraverso l’assunzione di un secondo punto di vista, il narratore contrappone all’incosciente spensieratezza del giovane montanaro la consapevolezza del soldato braccato. Assistiamo, dunque, al graduale mutamento psicologico del tedesco, che da una parte si sforza di mantenere la calma (Il soldato decise di fare una prova, rr. 99-100; Il soldato non si perse d’animo, r. 102; Al soldato venne un’idea, rr. 107-108) e dall’altra subisce gli effetti della paura (si asciugò il sudore dal collo, r. 105; inghiottiva saliva, r. 106; sentiva un sapore di piombo in bocca, rr. 113-114). La tensione, sotto l’infallibile mira del suo avversario, sfocia nel panico dopo che la bomba lanciata è stata intercettata a metà della parabola (r. 119): come in preda a una sua allucinazione (r. 130) il soldato, ormai terrorizzato, si espone alla morte.

Buttato in terra (r. 86) il fucile che, danneggiato dal “ragazzo con la faccia a mela”, non si può ricaricare, il tedesco batte in ritirata scappando per il bosco. Chiuso in trappola, la progressiva strage degli uccelli gli mette di fronte il suo destino che, simboleggiato dai giri lenti (r. 122) del corvo, va approssimandosi al suo compimento. E dunque chi è, qui, la vittima? Chi è il carnefice? Chi sono i buoni e chi sono i cattivi? Come può essere considerato “il ragazzo con la faccia a mela”, che è schierato con i buoni (così siamo abituati a immaginare i partigiani), ma pare uccidere per divertimento? E il soldato schierato con i cattivi (come “dovrebbero” essere i nazisti), che muore perché non si può difendere? Il gioco dei punti di vista induce, nel lettore, una serie di quesiti morali che lo stimolano a interrogarsi sulla realtà della natura umana.

 >> pagina 508 

Molti elementi del testo sono riconducibili al genere epico, e non solo per ragioni tematiche: come nei poemi della classicità, infatti, alla narrazione di guerra si associa un attacco in medias res poiché, a partire dalle prime righe, l’azione è già in pieno svolgimento. Il personaggio principale, inoltre, viene sempre chiamato con la stessa formula del “ragazzo con la faccia a mela” che fissa, in un vero e proprio epiteto, un tratto che lo caratterizza efficacemente, come Achille dal piede veloce, o il pio Enea. L’autore, però, non si riferisce tanto all’epica eroica e tragica di Omero o Virgilio, quanto alla più fiabesca poesia cavalleresca del Cinquecento, dove le fughe e gli inseguimenti nel bosco giocano, più degli scontri tra eserciti, un ruolo importante.

Alla rievocazione di un’atmosfera antica, tuttavia, l’autore accosta l’uso di una lingua in cui si registra la presenza di termini come linea (rr. 20 e 23), parabola (r. 119), superficie (r. 16), l’impiego ricorrente dell’aggettivo vuoto (rr. 30-31) e in generale di immagini che accentuano la percezione geometrica dello spazio (L’aria era tersa e tesa, r. 14; l’aria era una linea diritta ed invisibile, r. 20). In questo modo si sviluppa la sensazione di essere di fronte a un mondo nitido e particolareggiato, dove i singoli oggetti assumono, come visti per la prima volta, una cristallina chiarezza.

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. Metti in ordine cronologico gli eventi narrati, numerandoli da 1 a 10.

  • a) Il tedesco si rifugia dietro un masso.
  • b) Un ragazzo incontra un gruppo di partigiani a un ruscello.
  • c) C’è una sparatoria tra i partigiani e i tedeschi.
  • d) I partigiani prendono con sé il ragazzo.
  • e) Il ragazzo si imbatte in un plotone di soldati tedeschi.
  • f) Uno dei soldati fugge e il ragazzo lo insegue.
  • g) Il ragazzo mostra ai partigiani la propria abilità nello sparare.
  • h) Il ragazzo spara al tedesco.
  • i) All’alba, il ragazzo lascia il gruppo dei partigiani e se ne va a sparare nei dintorni.
  • j) Il ragazzo spara agli uccelli che passano.


2. È possibile dividere il racconto in tre macrosequenze: individuale e assegna loro un titolo.


3. “Il ragazzo con la faccia a mela” ama sparare perché

  •     prova piacere nell’uccidere gli animali. 
  •     lo fa sentire forte e importante. 
  •     è un modo per “toccare” davvero le cose. 
  •     ama il rumore dello sparo e l’odore del fumo. 


4. I partigiani portano il ragazzo con loro perché

  •     credono possa essere utile contro i tedeschi. 
  •     vogliono proteggerlo dai tedeschi. 
  •     il ragazzo è un antifascista convinto. 
  •     il ragazzo è solo e senza nessuno che si prenda cura di lui. 


5. I partigiani non vogliono che il ragazzo spari a casaccio perché (sono possibili più risposte)

  •     solo il capo dei partigiani può dare l’ordine di sparare. 
  •     non vogliono che uccida animali innocenti. 
  •     il rumore degli spari potrebbe farli scoprire dai tedeschi. 
  •     le cartucce non devono essere sprecate. 
  •     hanno paura che possa ferire per sbaglio uno di loro. 


6. Perché quando i partigiani intervengono nello scontro a fuoco con i tedeschi non rimproverano il ragazzo?

 >> pagina 509 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

7. La prima sequenza che hai individuato nell’esercizio 2 è ulteriormente divisibile in tre sottosequenze: di che tipo sono? Quale sottosequenza risulta centrale?


8. Rileggi la sottosequenza dedicata ai pensieri del “ragazzo con la faccia a mela”: è possibile affermare che, per lui, l’atto di sparare sia una forma di conoscenza o di percezione del mondo? Esponi le tue considerazioni facendo riferimento al testo.


9. È possibile affermare che in questo racconto non c’è soltanto un protagonista ma ce ne sono due? Perché?


10. Con quale tecnica narrativa vengono espressi i pensieri prima del “ragazzo con la faccia a mela” e poi del soldato? Motiva la tua risposta con due differenti esempi (uno per ciascun personaggio).


11. Rileggi la sottosequenza che racconta la sortita solitaria del ragazzo con il fucile: quali strategie stilistiche vengono adottate per rendere il passo rapido e incalzante?


12. Rifletti sul modo in cui è costruita la voce narrante: di che tipo è? È palese o nascosta? Prende posizione sui fatti che racconta, esprimendo, direttamente o indirettamente, dei giudizi? Quali effetti producono, sul lettore, queste scelte?

Competenze linguistiche

13. Lessico. I nomi collettivi. I nomi collettivi sono quelli che, pur al singolare, indicano una pluralità di cose, persone o animali. Alcuni di questi nomi (“gruppo”, “squadra”, “branco”) sono di uso frequente e comune, altri sono meno usati, come il termine pietrame che trovi nel racconto. Ti proponiamo una serie di questi nomi collettivi; dopo averne verificato il significato con l’aiuto del dizionario, scrivi una frase per ciascuno di essi:


• parentado • torma • accozzaglia • scatolame • plebaglia • vicinato • brigata • ciarpame • muta.


14. Coesione e coerenza. Riscrivi il passo che va da La notte dormirono in una baita da pastori (r. 54) a giù per prati sconosciuti (r. 66) inserendo:

a) almeno due pronomi relativi;

b) le seguenti congiunzioni subordinanti: quando, dopo che, poiché.

Dove necessario, puoi modificare il testo di partenza per garantire coesione e coerenza al nuovo testo.

PRODURRE

15. Scrivere per riassumere. Aiutandoti con quanto fatto negli esercizi 1 e 2, sintetizza il racconto in massimo 10 righe.


16. Scrivere per persuadere. Immagina che il gruppo di partigiani non avesse voluto prendere con sé il ragazzo: che cosa avrebbe detto lui, per convincerli (massimo 15 righe)?

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

SCIENZE E GEOGRAFIA

Nel racconto sono menzionati numerosi animali e piante tipici dei boschi delle zone temperate. Fai una ricerca sulle caratteristiche di questo bioma e realizza un cartellone insieme ai tuoi compagni di classe.

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa