T5 - Un assalto insensato (E. Lussu)

Il tema: La guerra

T5

Emilio Lussu

Un assalto insensato

  • Tratto da Un anno sull’Altipiano, 1938
  • romanzo
L’autore

Emilio Lussu nasce nel 1890 ad Armungia, vicino a Cagliari, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dopo aver frequentato il liceo classico, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari. Nel 1915, l’anno dell’intervento italiano nella Prima guerra mondiale, è chiamato al fronte come ufficiale della brigata Sassari. Rientrato in Sardegna al termine del conflitto, avvia una rapida carriera politica, che lo porta a fondare il Partito sardo d’azione e a essere eletto deputato alla Camera nel 1921. Tenace antifascista, Lussu viene arrestato nel 1926, e successivamente mandato al confino a Lipari. Nel 1929, tuttavia, evade in modo rocambolesco, fuggendo a Parigi; qualche anno dopo ritorna in Italia e partecipa alla Resistenza durante la Seconda guerra mondiale. Nell’immediato dopoguerra è due volte ministro e nel 1946 viene eletto nell’assemblea incaricata di redigere la Costituzione repubblicana. La carriera letteraria di Lussu è strettamente intrecciata alla sua attività politica. In Marcia su Roma e dintorni (1932), racconta l’ascesa del fascismo, concentrandosi specialmente sulle vicende della Sardegna, mentre in Un anno sull’Altipiano (1938) fornisce uno spietato e toccante resoconto sull’esperienza al fronte. Nel 1968 si ritira dalla vita politica e muore a Roma nel 1975.

Emilio Lussu racconta le sue esperienze da ufficiale sulle trincee del confine italo-austriaco, durante la Prima guerra mondiale. L’altipiano di Asiago, situato tra il Veneto e il Trentino, è teatro di una guerra di logoramento in cui si combatte palmo a palmo in condizioni disumane. Il terribile e autoritario generale Leone, comandante della divisione, è deciso a sfondare le trincee austriache con l’ausilio dell’artiglieria pesante e di una piccola squadra di soldati corazzati. I tentativi naufragano malamente, ma il generale non si dà per vinto e ordina un disperato assalto verso le linee nemiche, che si risolve in una drammatica, ed evitabile, carneficina.

Il cannone aveva ottenuto, per solo risultato, la ferita del puntatore1 e del tenente. I
guastatori2 erano caduti tutti. Ma l’assalto doveva aver luogo egualmente. Il generale
era sempre là, come un inquisitore,3 deciso ad assistere, fino alla fine, al supplizio
dei condannati. Mancavano pochi minuti alle 9.

5      Il battaglione4 era pronto, le baionette innestate.5 La 9a compagnia6 era tutta
ammassata attorno alla breccia7 dei guastatori. La 10a veniva subito dopo. Le altre
compagnie erano serrate,8 nella trincea e nei camminamenti9 e dietro i roccioni10
che avevamo alle spalle. Non si sentiva un bisbiglio. Si vedevano muoversi le borracce
di cognac. Dalla cintura alla bocca, dalla bocca alla cintura, dalla cintura alla 

10    bocca. Senza arresto, come le spolette11 d’un grande telaio, messo in movimento.

Il capitano Bravini aveva l’orologio in mano, e seguiva, fissamente, il corso inesorabile
dei minuti. Senza levare gli occhi dall’orologio gridò:

«Pronti per l’assalto!».

Poi riprese ancora:

15    «Pronti per l’assalto! Signori ufficiali, in testa ai reparti!».

Il sergente dei guastatori ferito continuava a gridare:

«Avan…».

Gli occhi dei soldati, spalancati, cercavano i nostri occhi. Il capitano era sempre
chino sull’orologio e i soldati trovarono solo i miei occhi. Io mi sforzai di sorridere 

20    e dissi qualche parola a fior di labbra; ma quegli occhi, pieni di interrogazione12 e di
angoscia, mi sgomentarono.13

«Pronti per l’assalto!», ripeté ancora il capitano.

Di tutti i momenti della guerra, quello precedente l’assalto era il più terribile.

L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, 

25    tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha
conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra.

Le parole del capitano caddero come un colpo di scure. La 9a era in piedi, ma io
non la vedevo tutta, talmente era addossata ai parapetti della trincea. La 10a stava
di fronte, lungo la trincea, e ne distinguevo tutti i soldati. Due soldati si mossero ed 

30    io li vidi, uno a fianco dell’altro, aggiustarsi il fucile sotto il mento. Uno si curvò,
fece partire il colpo e s’accovacciò su se stesso. L’altro l’imitò e stramazzò accanto al
primo. Era codardia, coraggio, pazzia? Il primo era un veterano del Carso.14

«Savoia!»,15 gridò il capitano Bravini.

«Savoia!», ripeterono i reparti.

35    E fu un grido urlato come un lamento ed un’invocazione disperata. La 9a, tenente
Avellini in testa, superò la breccia e si slanciò all’assalto. Il generale e il colonnello
erano alle feritoie.16

«Il comando di battaglione esce con la 10a», gridò il capitano.

E quando la testa della 10a fu alla breccia, noi ci buttammo innanzi. La 10a, la 

40    11a e la 12a seguirono di corsa. In pochi secondi tutto il battaglione era di fronte
alle trincee nemiche.

Che noi avessimo gridato o no, le mitragliatrici nemiche ci attendevano. Appena
oltrepassammo una striscia di terreno roccioso ed incominciammo la discesa verso
la vallata, scoperti, esse aprirono il fuoco. Le nostre grida furono coperte dalle loro 

45    raffiche. A me sembrò che contro di noi tirassero dieci mitragliatrici, talmente il
terreno fu attraversato da scoppi e da sibili. I soldati colpiti cadevano pesantemente
come se fossero stati precipitati dagli alberi.

Per un momento, io fui avvolto da un torpore mentale e tutto il corpo divenne
lento e pesante. Forse sono ferito, pensavo. Eppure sentivo di non essere ferito. I colpi 

50    vicini delle mitragliatrici e l’incalzare17 dei reparti che avanzavano alle spalle mi risvegliarono.
Ripresi subito coscienza del mio stato. Non rabbia, non odio, come in una
rissa, ma una calma completa, assoluta, una forma di stanchezza infinita attorno al
pensiero lucido. Poi anche quella stanchezza scomparve e ripresi la corsa, veloce.

Ora, mi sembrava di essere ridivenuto calmo, e vedevo tutto attorno a me. Ufficiali 

55    e soldati cadevano con le braccia tese e, nella caduta, i fucili venivano proiettati18
innanzi, lontano. Sembrava che avanzasse un battaglione di morti. Il capitano
Bravini non cessava di gridare:

«Savoia!».

Un tenente della 12a mi passò vicino. Era rosso in viso e impugnava un moschetto.19 

60    Era un repubblicano e aveva in odio il grido d’assalto monarchico. Egli mi vide
e gridò:

«Viva l’Italia!».

Io avevo in mano il bastone da montagna. Lo levai in alto per rispondergli, ma
non potei pronunciare una parola. Se noi ci fossimo trovati su un terreno piano, 

65    nessuno di noi sarebbe arrivato ai reticolati nemici. Le mitragliatrici ci avrebbero
falciati20 tutti. Ma il terreno era leggermente in discesa e coperto di cespugli e di
sassi. Le mitragliatrici erano obbligate continuamente a spostare l’elevazione21 e il
puntamento, e il tiro perdeva della sua efficacia. Non pertanto,22 le ondate d’assalto
diradavano23 e su mille uomini del battaglione, pochi restavano in piedi ed avanzavano. 

70    Io guardai verso le trincee nemiche. I difensori non erano nascosti, dietro
le feritoie. Erano tutti in piedi e sporgevano oltre la trincea. Essi si sentivano sicuri.
Parecchi erano addirittura dritti sui parapetti. Tutti sparavano su di noi, puntando
calmi, come in piazza d’armi.24

Io urtai contro il sergente dei guastatori. Egli era rovesciato su un fianco, cinto 

75    della corazza,25 l’elmetto forato da parte a parte. Era stato colpito alla testa, mentre
incitava i suoi compagni, e ripeteva il grido che gli era stato troncato, con una cantilena
pietosa:

«Avan… avan…».

Attorno, giacevano tre guastatori, con le corazze squarciate.

80    Giungevamo alle trincee. Anche il capitano Bravini cadde colpito, ed io lo vidi, le
braccia aperte, sprofondarsi in un cespuglio. Lo credetti morto. Ma, subito dopo, ne
sentii il grido di «Savoia!» ripetuto, ad intervalli, con voce fioca.

Il battaglione doveva attaccare su un fronte di 250-300 metri. Ma l’avvallamento
del terreno ci aveva involontariamente sospinti, man mano che avanzavamo, verso 

85    la stessa striscia di terreno antistante alle trincee nemiche, larga appena una cinquantina
di metri. Le mitragliatrici non potevano più colpirci, ma noi offrivamo, ai
tiratori in piedi, un bersaglio compatto. I resti del battaglione erano tutti ammassati
in quel punto. Contro di noi si sparava a bruciapelo.26

D’un tratto, gli austriaci cessarono di sparare. Io vidi quelli che ci stavano di fronte, 

90    con gli occhi spalancati e con un’espressione di terrore quasi che essi e non noi
fossero sotto il fuoco. Uno, che era senza fucile, gridò in italiano:

«Basta! Basta!».

«Basta!», ripeterono gli altri, dai parapetti.

Quegli che era senz’armi mi parve un cappellano.27

95    «Basta! bravi soldati. Non fatevi ammazzare così». Noi ci fermammo, un istante.
Noi non sparavamo, essi non sparavano. Quegli che sembrava un cappellano, si curvava
talmente verso di noi, che, se io avessi teso il braccio, sarei riuscito a toccarlo.
Egli aveva gli occhi fissi su di noi. Anch’io lo guardai.

Dalla nostra trincea, una voce aspra si levò:

100 «Avanti! soldati della mia gloriosa divisione. Avanti! Avanti, contro il nemico!».

Era il generale Leone.

Il tenente Avellini era a qualche metro da me. Ci guardammo l’un l’altro. Egli disse:

«Andiamo avanti».

Io ripetei:

105 «Andiamo avanti».

Io non avevo la pistola in pugno, ma il bastone da montagna. Non mi venne in
mente d’impugnare la pistola. Lanciai il bastone contro gli austriaci. Qualcuno lo
raccolse per aria. Avellini aveva la pistola in mano. Egli si fece avanti, cercando di
passare su un tronco rovesciato sopra i reticolati28 intatti. Era il tronco d’un abete 

110 che, schiantato da una granata, s’era abbattuto sui fili di ferro. Egli vi era montato
sopra e procedeva con difficoltà, come su una passerella. Sparò un colpo di pistola
e gridò ai soldati:

«Ma sparate dunque! Fuoco!».

Qualche soldato sparò.

115 «Avanti! Avanti!», urlava il generale.

Avellini camminava sul tronco e faceva degli sforzi per mantenere l’equilibrio.
Dietro di lui, due soldati si reggevano a stento. Io ero arrivato a una difesa di reticolati
in cui mi sembrò si potesse passare. Attraverso i fili, infatti, v’era un passaggio
stretto. Io l’infilai. Ma, fatto qualche passo, trovai lo sbarramento d’un cavallo di 

120 frisia.29 Era impossibile continuare. Mi voltai e vidi soldati della 10a che mi seguivano.
Rimasi lì, inchiodato. Dalle trincee, nessuno sparava. In una ampia feritoia,
di fronte, scorsi la testa d’un soldato. Egli mi guardava. Io non ne vidi che gli occhi.
Vidi solo gli occhi. E mi sembrò ch’egli non avesse che occhi, talmente mi parvero
grandi. Lentamente, io feci dei passi indietro, senza voltarmi, sempre sotto lo sguardo 

125 di quei grandi occhi. Allora io pensai: gli occhi di un bue.

Mi svincolai dai reticolati e mi diressi contro Avellini.

Sul tronco v’era già un gruppo di soldati in piedi, aggrappati fra di loro. Mentre
io mi avvicinavo al tronco, dalla trincea nemica, una voce di comando gridò alta,
in tedesco:

130 «Fuoco!».

Dalla trincea, partirono dei colpi. Il tronco si rovesciò e gli uomini caddero indietro.
Avellini non era ferito e rispose con dei colpi di pistola. Tutti ci buttammo a
terra, fra i cespugli, e ci riparammo dietro gli abeti. L’assalto era finito. Io ho impiegato
molto tempo a descriverlo, ma esso doveva essersi svolto in meno d’un minuto.


Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano, Einaudi, Torino 2014

 >> pagina 499 

Come continua

Dopo l’attimo di tregua, dettata dalla vergogna per l’assurdità del massacro, un ufficiale costringe i soldati austriaci a riprendere il fuoco. Altri uomini del battaglione di Lussu sono abbattuti e i pochi superstiti trovano riparo dietro i cespugli e gli abeti. L’assalto è ormai concluso e i soldati attendono la notte per ritornare in trincea. Il generale Leone ci tiene a stringere la mano agli ufficiali sopravvissuti, e addirittura promette al capitano Bravini – che aveva guidato l’assalto rimanendo ferito – una medaglia al valore. Il bilancio è catastrofico: il battaglione è distrutto e gli uomini, stremati, si trovano sull’orlo della follia. Successivamente, la vita di trincea trascorre per qualche settimana senza ulteriori azioni: «un riposo lungo e dolce» rispetto all’incubo degli assalti. Ben presto, tuttavia, le manovre riprendono, e con esse la carneficina, il logoramento psicologico e la sequela di ordini avventati e incompetenti. In tali condizioni limite, chi sopravvive agli scontri sul campo è costretto a lottare in ogni momento per rimanere umano e non perdere il senno.

a TU per TU con il testo

È difficile rendere a parole lo sgomento, l’orrore della guerra di trincea, lo sconforto inesorabile a cui essa sottopone. Due linee nemiche si fronteggiano, buchi stretti e interminabili dove i soldati vivono per mesi, sepolti tra il metallo e il fango. La trincea è assai peggiore di una prigione, espone alle intemperie, al degrado del corpo e all’usura della mente. Così, la guerra appare via via più oscena, non solo per la spaventosa carneficina, ma per la sequela di ordini assurdi e controproducenti, per l’impreparazione e l’inettitudine del comando. Si sopravvive per miracolo e per inerzia, con il fucile tra le braccia e in tasca la foto dei propri cari. Di tanto in tanto, la monotonia della trincea s’interrompe per lasciare il posto a qualcosa di peggiore: si avanza tra i fischi dei proiettili e i tonfi dei corpi e si va incontro alla morte, volenti o nolenti.

 >> pagina 500 

Analisi  attiva 

Dopo l’insuccesso di due fallimentari strategie d’attacco – l’uso del cannone e la rovinosa uscita dei guastatori corazzati, mandati al macello nel capitolo precedente – il generale Leone ordina un assalto che ai soldati sembra fin da subito un inutile massacro. L’autore rende la tensione che precede l’azione con asciutta oggettività esprimendo l’assurda inevitabilità dell’impresa (l’assalto doveva aver luogo egualmente, r. 2) decisa da un ufficiale impassibile, non a caso equiparato a un inquisitore (r. 3): invece di guidare e sostenere i suoi uomini nelle difficoltà della battaglia, il generale li tratta come se fossero dei colpevoli, e si mostra pronto ad assistere con sadismo al loro supplizio.

Lussu sottolinea lo smarrimento psicologico dei soldati (L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove?, r. 24), i quali sanno bene di andare incontro alla morte per un assurdo capriccio, dal momento che l’assalto è lanciato senza un vero obiettivo tattico. Appena essi escono dalla breccia nella trincea, iniziano così a essere abbattuti dai mitragliatori austriaci.


1. Il capitano Bravini controlla lo scorrere dei minuti sull’orologio perché

  •     l’assalto deve avvenire nell’esatto momento stabilito dai comandi. 
  •     i soldati che hanno condotto la prima parte dell’attacco non sono ancora rientrati. 
  •     è ansioso di andare all’attacco del nemico. 
  •     sta attendendo la reazione del nemico.


2. Quando, durante la preparazione dell’assalto, il narratore incrocia lo sguardo dei suoi commilitoni, essi esprimono (sono possibili più risposte)

  •     angoscia. 
  •     coraggio. 
  •     codardia. 
  •     smarrimento. 
  •     pazzia.


3. Il grido d’assalto dei reparti italiani, Savoia! (rr. 33 e 34), dovrebbe infondere forza e coraggio nei soldati. Come viene gridato invece? Perché?

Dimentichiamo le vecchie battaglie ottocentesche, in cui gli eserciti si fronteggiavano in spazi ampi e aperti: Lussu descrive invece una straziante guerra di logoramento, combattuta metro per metro, scavando lunghissime trincee e difendendo la posizione fino allo stremo delle forze.

Per sostenere lo sforzo e non cedere alla stanchezza e alla disperazione, i soldati si stordiscono con l’alcol, grazie alle forniture di cognac di bassa qualità, mentre gli alti ufficiali, privi di preparazione militare, dispongono delle loro vite con bestiale crudeltà, esercitando un’autorità inflessibile e feroce. Alle condizioni disumane della trincea si aggiunge così l’indegnità morale di uomini come il generale Leone: le sue azioni e le sue parole, trascritte dal narratore, ne forniscono una veritiera e al tempo stesso ripugnante caricatura. Senza avere nessun reale controllo della situazione, egli incita la sua gloriosa divisione a procedere contro il nemico (r. 100) e ad avanzare verso una morte quasi certa. Persino gli austriaci, vedendo i nemici mandati al massacro in modo così insensato, si vergognano di sparare (Basta! bravi soldati. Non fatevi ammazzare così, r. 95).


4. Com’è fatta una trincea? Ritrova nel testo tutti i termini e le espressioni che la descrivono o che ne indicano delle parti.


5. Il narratore e un altro ufficiale, il tenente Avellini, si guardano l’un l’altro perché

  •     vogliono verificare di essere nella posizione adatta all’assalto. 
  •     non riescono a credere che il generale ordini ai propri uomini di andare al massacro. 
  •     non hanno capito l’ordine impartito dal generale. 
  •     controllano che l’altro non scappi per la paura.


6. Quando il narratore arriva di fronte alle trincee nemiche, si trova davanti lo sguardo di un soldato austriaco e pensa: gli occhi di un bue (r. 125). Perché questa associazione?

  •     Perché lo sguardo del nemico è stupido come quello di un bue. 
  •     Perché lo sguardo del nemico è fisso e inespressivo come quello di un bue. 
  •     Perché gli occhi del nemico sono marroni come quelli di un bue. 
  •     Perché lo sguardo del nemico è pacifico e familiare come quello di un bue. 

 >> pagina 501 

Sebbene improntato all’essenzialità della cronaca, Un anno sull’Altipiano è un libro che racconta le esperienze vissute dall’autore, che fu tenente della brigata Sassari. Per questo, il narratore, protagonista in prima persona, si presenta come una trasfigurazione di Lussu, testimone diretto degli eventi narrati. Non mancano, quindi, spazi dedicati all’introspezione psicologica del tenente, per esempio la sequenza riflessiva collocata subito dopo l’inizio dell’assalto (Per un momento, io fui avvolto da un torpore mentale e tutto il corpo divenne lento e pesante. Forse sono ferito, pensavo. […] Non rabbia, non odio, come in una rissa, ma una calma completa, assoluta, una forma di stanchezza infinita, rr. 48-52).

La volontà di documentare con precisione la realtà della guerra si coglie dall’esattezza con cui vengono descritti gli spazi e i tempi (Mancavano pochi minuti alle 9, r. 4) oppure i movimenti dei soldati. Al tempo stesso, però, non mancano soluzioni stilistiche raffinate. In mezzo al resoconto “nudo e crudo” dell’azione di guerra, per esempio, risaltano efficacemente due similitudini: Lussu paragona i soldati ad alberi abbattuti (I soldati colpiti cadevano pesantemente come se fossero stati precipitati dagli alberi, rr. 46-47) e a dei morti viventi (Sembrava che avanzasse un battaglione di morti, r. 56), sottolineando tragicamente la loro impotenza di condannati senza speranza.


7. L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? (r. 24). In queste frasi è riportato

  •     un dialogo tra il narratore e i suoi commilitoni. 
  •     un monologo interiore del narratore. 
  •     il pensiero comune dei soldati, in discorso indiretto libero. 
  •     il pensiero del narratore, in discorso indiretto libero. 


8. Individua nel testo un passo in cui, a tuo parere, i movimenti e le azioni dei soldati sono descritti con grande dettaglio e precisione.


9. Si vedevano muoversi le borracce di cognac. Dalla cintura alla bocca, dalla bocca alla cintura, dalla cintura alla bocca. Senza arresto, come le spolette di un grande telaio, messo in movimento (rr. 8-10). Quali figure retoriche sono presenti in questo passo? (due risposte giuste)

  •     Ossimoro. 
  •     Chiasmo. 
  •     Anafora. 
  •     Metafora. 
  •     Similitudine. 
  •     Litote.

 >> pagina 502 

Laboratorio sul testo

COMPETENZE LINGUISTICHE

10. Coordinazione e subordinazione. Lo stile di Lussu, asciutto e incisivo, è caratterizzato da una sintassi fortemente paratattica, con frasi brevi e separate da punti fermi. Riscrivi la porzione di testo da Io avevo in mano il bastone da montagna (r. 63) a come in piazza d’armi (r. 73) inserendo almeno tre congiunzioni coordinanti e tre subordinanti.

PRODURRE

11. Scrivere per esprimere. Quale immagine della guerra e del nemico emerge da questo passo di Lussu? Esprimi le tue considerazioni.

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

STORIA

Con l’aiuto dell’insegnante, riprendi quanto già sai sulla Prima guerra mondiale e approfondisci le vicende che interessarono l’altipiano di Asiago e la brigata Sassari, in cui combatté come ufficiale Emilio Lussu.


GEOGRAFIA

Sono ancora numerose le tracce lasciate dalla Prima guerra mondiale sull’arco alpino: dalla lombarda linea Cadorna, progettata per proteggere la pianura Padana da un’eventuale invasione dalla Svizzera, al Trentino, al Veneto e al Friuli, è possibile visitare trincee, camminamenti, bunker e altre postazioni militari di media e alta montagna, recentemente riportati alla luce e restaurati. Fai una ricerca sui siti e i percorsi di visita di questi luoghi e, magari, progetta un’uscita didattica con la tua classe.


CINEMA

Sono numerosi i film e gli sceneggiati ispirati alle vicende della Prima guerra mondiale: ne hai mai visto qualcuno? Tra quelli italiani più celebri, puoi scegliere, per esempio, La grande guerra di Mario Monicelli (1959), Uomini contro di Francesco Rosi (1970, liberamente tratto proprio da Un anno sull’Altipiano) o Torneranno i prati di Ermanno Olmi (2014, ispirato a una novella di Federico De Roberto). Racconta in un’esposizione orale di circa due minuti l’immagine della guerra che ne emerge.

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa