Il tema: La guerra

Da che mondo è mondo, la guerra è un tema fondamentale in ogni tipo di narrazione, sia essa religiosa, politica, economica o letteraria.

Il Bene e il Male, Noi e gli Altri sono solo le più ovvie fra le mille contrapposizioni fonte di conflitti che caratterizzano qualsiasi attività umana. Se però guardiamo agli effettivi spargimenti di sangue, ci rendiamo subito conto di come nella guerra trovi sfogo il lato peggiore della nostra specie: da un lato la violenza e l’odio, guidati dal cieco istinto; dall’altro l’interesse e il desiderio di primeggiare, guidati dalla ragione. Ogni epoca attualizza a suo modo queste tendenze profonde. La guerra segue l’evolvere della società, cambia nel tempo: e insieme alle modalità e alle tecniche per combattere muta anche il modo di raccontare questa barbarie.

In origine, e sino all’età moderna, le rappresentazioni belliche hanno avuto in prevalenza funzioni esortative o celebrative: servivano cioè ad accendere gli animi in vista di una battaglia da compiersi, o a commuovere, esaltando il sacrificio dei combattenti. È ciò che accade nell’epica, dall’Iliade in poi.

Solo negli ultimi due secoli si è sviluppata un’attenzione agli aspetti più brutali, ripugnanti e penosi della guerra. Una tappa decisiva in questo percorso è stata segnata dalle pagine in cui Stendhal, nel romanzo La Certosa di Parma (1839), racconta la disillusione del giovane e ingenuo Fabrizio del Dongo durante la battaglia di Waterloo, dove non vede gloria, ma soltanto sangue, sudore e polvere.

Quest’approccio giunge in Italia con grave ritardo. Da noi infatti l’Ottocento è il secolo del Risorgimento, della nascita lungamente attesa della nazione italiana, e gli scrittori si sono preoccupati innanzitutto di incitare alla lotta contro gli occupanti stranieri e di celebrare le guerre d’indipendenza, mitizzando il coraggio di alcuni personaggi come Giuseppe Garibaldi. Solo nel XX secolo, con la Grande guerra, cominciano a trovare posto il disincanto e la denuncia degli orrori bellici. Della vita militare si possono e si devono raccontare anche le sconfitte, come ha fatto Mario Rigoni Stern (1921-2008) nel Sergente nella neve rievocando la ritirata che nell’inverno 1942-1943 portò migliaia di alpini a morire nelle gelide steppe della Russia. Capolavori come questo mostrano della guerra qualcosa che la storia non ci può dire: lo strazio nel vedere un compagno ucciso, la paura di non rivedere più i propri cari, l’infinita solitudine, il dubbio che attanaglia il soldato quando mette nel mirino un proprio simile, ignaro, con un’uniforme diversa dalla sua.

Viviamo per fortuna in un paese in pace da oltre settant’anni; pochissimi ormai hanno memoria della Seconda guerra mondiale, l’ultima combattuta sul suolo italiano. Ci colpiscono però le immagini provenienti da terre lontane dalla nostra. Guai ad abituarci: la guerra sa anche assopire gli animi e abituarli ai suoi effetti. La letteratura può essere un rimedio alle cronache che ci anestetizzano con l’esibizione del dolore e con il pedante conteggio dei caduti in battaglia o delle vittime civili, che diventano aridi numeri, incapaci di scuoterci. In Occidente, oggi, la guerra è un’esperienza virtuale. Ci aggredisce ogni qual volta accendiamo la radio, la televisione o il computer, che mostrano scontri cruenti, cadaveri, desolazione e dolore. La riconosciamo negli sguardi dei profughi che fuggono dalla patria insanguinata, incrociati per un attimo in stazione. Ma chi di noi può davvero capire che cosa significa tremare in un rifugio, mentre gli aerei bombardano la tua casa?

L’emozione della lettura - volume A
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Narrativa