«Buon Dio», pensò, «che mestiere faticoso ho scelto! Dover prendere il treno tutti
25 i santi giorni… Ho molte più preoccupazioni che se lavorassi in proprio a casa, e per
di più ho da sobbarcarmi a10 questa tortura dei viaggi, all’affanno delle coincidenze,
a pasti irregolari e cattivi, a contatti umani sempre diversi, mai stabili, mai cordiali.
All’inferno tutto quanto!». Sentì un lieve pizzicorino sul ventre; lentamente, appoggiandosi
sul dorso, si spinse più in su verso il capezzale,11 per poter sollevare meglio
30 la testa, e scoprì il punto dove prudeva: era coperto di tanti puntolini bianchi, di cui
non riusciva a capire la natura; con una delle gambe provò a toccarlo, ma la ritirò
subito, perché brividi di freddo lo percorsero tutto.
Si lasciò ricadere supino. «Queste levatacce12 abbrutiscono», pensò. «Un uomo
ha da poter dormire quanto gli occorre. Dire che certi commessi viaggiatori fanno
35 una vita da favorite dell’harem!13 Quante volte, la mattina, rientrando alla locanda
per copiare le commissioni raccolte,14 li trovo che stanno ancora facendo colazione.
Mi comportassi io così col mio principale! Sarei sbattuto fuori all’istante. E chissà,
potrebbe anche essere la miglior soluzione. Non mi facessi scrupolo per i miei genitori,
già da un pezzo mi sarei licenziato, sarei andato dal principale e gli avrei detto
40 chiaro e tondo l’animo mio,15 roba da farlo cascar giù dallo scrittoio! Curioso poi
quel modo di starsene seduto lassù e di parlare col dipendente dall’alto in basso;
per giunta, dato che è duro d’orecchio, bisogna andargli vicinissimo. Be’, non è
ancora persa ogni speranza; una volta che abbia messo insieme abbastanza soldi
da pagare il debito dei miei,16 mi ci vorranno altri cinque o sei anni, non aspetto
45 neanche un giorno e do il gran taglio. Adesso però bisogna che mi alzi: il treno
parte alle cinque». E volse gli occhi alla sveglia che ticchettava sul cassettone. «Santo
cielo!», pensò. Erano le sei e mezzo: le sfere continuavano a girare tranquille, erano
anzi già oltre, si avvicinavano ai tre quarti. Che la soneria non avesse funzionato?
Dal letto vedeva l’indice ancora fermo sull’ora giusta, le quattro: aveva suonato, non
50 dubbio. E come mai, con quel trillo così potente da far tremare i mobili, lui
aveva continuato pacificamente a dormire? Via, pacificamente proprio no; ma forse
proprio per questo più profondamente. Che fare, ora? Il prossimo treno partiva alle
sette: per arrivare a prenderlo avrebbe dovuto correre a perdifiato, e il campionario
era ancora da riavvolgere, e lui stesso non si sentiva troppo fresco e in gamba. Del
55 resto, fosse anche riuscito a prenderlo, i fulmini del principale non glieli cavava
più nessuno, perché al treno delle cinque era andato ad aspettarlo il fattorino della
ditta; e sicuramente già da un pezzo aveva ormai riferito che lui era mancato alla
partenza. Era una creatura del principale, un essere invertebrato, ottuso. Darsi malato?
Sarebbe stato un ripiego sgradevole e sospetto: durante cinque anni d’impiego
60 Gregor non si era mai ammalato una volta. Certamente sarebbe venuto il principale,
insieme al medico della cassa mutua,17 avrebbe deplorato coi genitori la svogliatezza
del figlio e, tagliando corto ad ogni giustificazione, avrebbe sottoposto il caso al
dottore, per il quale non esisteva che gente perfettamente sana ma senza voglia di
lavorare. E si poteva poi dire che in questo caso avesse tutti i torti? In realtà Gregor,
65 a parte una sonnolenza veramente fuori luogo dopo tanto dormire, si sentiva benissimo,
aveva anzi un appetito particolarmente gagliardo.
Franz Kafka, La metamorfosi e altri racconti, trad. di E. Castellani, Garzanti, Milano 1981