5.4 L’IMPERO VERSO LA CRISI

IL RACCONTO DELLA STORIA

L’età dei Severi

I concetti chiave

  • Le riforme assolutistiche di Settimio Severo: il senato si indebolisce, l’esercito si rafforza
  • Società divisa in due gruppi: honestiores e humiliores
  • Estensione della cittadinanza alle province
  • La crisi del III secolo e l’anarchia militare

Settimio Severo (197-211 d.C.) fu il capostipite di una nuova dinastia imperiale, sotto la quale gli equilibri politici all’interno delle istituzioni romane subirono una nuova trasformazione. Nel corso dei primi decenni del III secolo, infatti, l’esercito assunse nuovamente un ruolo predominante nella selezione della classe dirigente imperiale e la carriera militare divenne determinante per arrivare ai vertici dello Stato.

Il potere assoluto di Settimio Severo

Al fine di eliminare alla radice ogni forma di dissenso alla sua azione di governo, Settimio Severo riuscì a imporre una forma di potere assoluto, svincolato dalle leggi e superiore a ogni altra istituzione ( FOCUS). Attraverso la propria divinizzazione, che di fatto trasformava i cittadini in sudditi costretti a venerare l’imperatore come una divinità, inginocchiandosi al suo cospetto, tutte le decisioni in campo economico, politico e sociale assumevano un’aura di sacralità che non poteva essere messa in discussione. In questo modo Settimio Severo eliminò qualsiasi opposizione interna e procedette alla creazione di una nuova classe dirigente, proveniente dai gruppi sociali che lo sostenevano e dunque più fedele alle sue direttive di governo.
Tra i suoi primi provvedimenti vi fu una riforma del senato, da cui vennero espulsi molti membri appartenenti all’aristocrazia italica in favore di individui di origine provinciale. Il senato venne sostanzialmente svuotato di ogni sua funzione istituzionale: l’assemblea fu ridotta a un organo consultivo, costretto ad approvare tutte le leggi proposte dall’imperatore.

La riorganizzazione dell’impero

Nominando individui provenienti dall’ordine equestre al posto dei membri della nobiltà senatoria nell’amministrazione delle province, nella burocrazia statale, nelle truppe pretoriane e nell’esercito, Settimio Severo si assicurò la fedeltà di funzionari e sottoposti, che inoltre, essendo professionisti pagati dallo Stato, mostravano capacità superiori rispetto ai magistrati eletti e influenzati dal senato. Il prefetto del pretorio vide ampliati i propri poteri. La sua carica fu posta ai vertici dello Stato, con compiti estesi anche all’esercizio della giustizia, prima appannaggio del senato.
Ai senatori fu sottratto anche il controllo sui tribunali che giudicavano i reati più gravi, eliminando così ogni possibilità che essi potessero interferire sulle attività dei funzionari scelti dall’imperatore.

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FOCUS • LE PAROLE NEL TEMPO
POTERE ASSOLUTO

L’espressione indica una forma di governo in cui l’autorità politica è libera da qualsiasi condizionamento da parte di altri poteri. Gli esempi di un tale assetto istituzionale non sono limitati al passato: nel mondo, i regimi dittatoriali in cui i capi di Stato o di governo esercitano un controllo totale sulla vita politica e sociale del Paese sono ancora molti.
In ambito storiografico, il concetto è in genere utilizzato per definire le monarchie del cosiddetto Antico regime (XVI-XVIII secolo), l’età che precedette la Rivoluzione francese. Simbolo di questa concezione dello Stato è il Re Sole (Luigi XIV di Francia, 1643-1715), a cui, significativamente, è attribuita la celebre frase L’État c’est moi, “Lo Stato sono io”.
La formula giuridica che ispirò i teorici della monarchia assoluta dell’età moderna, però, era stata teorizzata proprio ai tempi di Settimio Severo. Egli affidò l’elaborazione di nuove leggi a una ristretta cerchia di esperti di diritto, tra cui Domizio Ulpiano, che elaborò il principio giuridico del princeps legibus solutus, cioè del “principe sciolto dalle leggi”: il principe era superiore alle leggi e quindi libero di non osservarle se questo si fosse reso necessario per il bene dello Stato. Il fondamento di questa concezione risiedeva nella sacralità della figura dell’imperatore: in quanto divinità, essa costituiva la fonte stessa della legge e dunque non era vincolata alla necessità di sottomettere la sua azione di governo al controllo o all’approvazione delle altre istituzioni.

Re Luigi XIV, detto Re Sole, in una stampa del XIX secolo.

La politica estera

La stabilità istituzionale e un saldo controllo dello Stato erano essenziali per risolvere i gravi problemi economici e militari che l’impero si trovava ad affrontare. Settimio Severo fu impegnato in particolare nella difesa dei confini imperiali, insidiati su vari fronti. Tra il 197 e il 199 d.C. guidò l’esercito in una vittoriosa campagna militare contro i Parti, consolidando i domini orientali e istituendo la nuova provincia della Mesopotamia. Più incerte furono invece le operazioni nell’Europa centrale, lungo il confine segnato dal fiume Reno. In quest’area, le truppe imperiali rimasero a lungo impegnate nel tentativo di respingere gli attacchi delle popolazioni di origine germanica. Alla difesa dei confini fu destinata la maggior parte delle risorse finanziarie dell’impero. Ciò costrinse Settimio Severo a impiegare per le spese militari gran parte dei tributi che gli imperatori dell’età precedente avevano invece riservato ad altri scopi, come la costruzione di opere pubbliche o l’assistenza alle classi sociali più povere.

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Il ruolo delle province

Più che di un’imposizione da parte del nuovo imperatore, il ruolo sempre più importante che i provinciali avevano assunto nelle istituzioni era la logica conseguenza del crescente peso economico e politico acquisito dalle province, in concomitanza con il declino della penisola Italica. Tra gli abitanti delle aree periferiche dell’impero venivano ormai scelti non solo i membri del senato, gli ufficiali dell’esercito e i funzionari della burocrazia, ma anche gli stessi imperatori, che a partire dal II secolo furono prevalentemente originari delle province (durante la dinastia dei Severi, in particolare, essi provennero dalle regioni orientali).
Di questi mutamenti tenne conto la riforma amministrativa delle province voluta da Settimio Severo, che prevedeva la divisione delle vecchie ripartizioni territoriali in aree più ristrette. Il fine principale della riorganizzazione delle province era quello di risanare le finanze statali, rendendo più efficiente la riscossione dei tributi ed evitando che i governatori locali, che controllavano le truppe stanziate ai confini, ottenessero un potere eccessivo e dunque pericoloso per la stabilità dell’impero. Grazie all’incremento dei tributi, che gravavano prevalentemente sui grandi proprietari terrieri e, attraverso questi, sui coloni che lavoravano i campi alle loro dipendenze in una condizione ormai pressoché servile, Settimio Severo ottenne in effetti buoni risultati, risollevando le finanze statali duramente provate dagli enormi sprechi dell’età di Commodo.

Honestiores e humiliores

Il risanamento economico dello Stato non comportò comunque un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione: la maggior parte delle risorse imperiali continuò infatti a essere impiegata per finanziare l’esercito. Durante il principato di Settimio Severo la società romana era caratterizzata da radicali disuguaglianze e risultava in pratica divisa in due grandi gruppi:

  • gli honestiores, cioè, letteralmente, i cittadini “più dignitosi”, che costituivano la classe dirigente dell’impero: senatori, cavalieri, governatori locali, funzionari dell’amministrazione statale e dell’esercito;
  • gli humiliores, i “più poveri”, ossia i lavoratori delle campagne e delle città e i nullatenenti, che si trovavano in una situazione di inferiorità non solo dal punto di vista economico, ma anche giuridico, dal momento che per gli stessi reati erano previste pene diverse a seconda della classe di appartenenza.

L’impero di Caracalla

Al fine di assicurare la continuità della sua dinastia, Settimio Severo ripristinò la consuetudine dell’associazione al trono imperiale, praticata fin dall’epoca della dinastia Giulio-Claudia per dare stabilità al governo e impedire l’insorgere di nuove guerre civili. A differenza di quanto era accaduto durante tutta l’epoca del principato adottivo, però, la designazione del successore non fu concordata con le altre istituzioni (e con il senato in particolare). In virtù del suo potere assoluto, infatti, Settimio Severo si fece affiancare al potere dai suoi due figli: Marco Aurelio Antonino (nel 198), detto Caracalla dal nome del suo mantello militare di origine gallica (il caracallis), e Geta (nell’anno 209).
Alla morte di Settimio Severo, Caracalla (211-217 d.C.) divenne di fatto il nuovo imperatore. Egli ricorse a ogni espediente per accentrare nelle proprie mani il potere: nel 212, dopo aver corrotto i pretoriani, fece addirittura assassinare il fratello Geta e il giurista Papiniano (che era stato uno dei principali consiglieri del padre ed era allora prefetto del pretorio), considerando entrambi come pericolosi concorrenti al trono imperiale. La crudeltà di Caracalla divenne presto proverbiale: egli fece sterminare buona parte della popolazione di Alessandria d’Egitto solo perché un’opera satirica diffusa in quella città aveva osato ridicolizzare la ragione da lui addotta per giustificare l’omicidio del fratello (la legittima difesa).
Caracalla aveva del resto dimostrato fin da giovane notevole ambizione. Il suo vero nome era Lucio Settimio Bassiano, ma lo aveva cambiato fin dal 195 in Marco Aurelio Antonino, per suggerire una parentela con l’imperatore Marco Aurelio e legittimare la propria ascesa al potere. Al fine di esaltare la sua persona e suscitare ammirazione tra la popolazione, egli promosse anche la costruzione di varie opere pubbliche, come le imponenti terme di Caracalla, i cui resti sono ancora oggi visibili nel centro di Roma.

L’estensione della cittadinanza

Nel 212 d.C., dopo aver eliminato i suoi avversari reali o potenziali, Caracalla promulgò una “costituzione” (come erano chiamate le leggi emanate dall’imperatore), cioè un editto che aveva validità in tutti i territori dell’impero e che, dal nuovo nome che Caracalla aveva adottato, Antonino, fu chiamato Constitutio antoniniana ( FOCUS). Il provvedimento estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti delle province. Se in qualche modo era il riconoscimento dell’ormai consolidata parità tra Italici e provinciali (lo stesso imperatore Caracalla era nato in Gallia), l’editto era in realtà motivato soprattutto da ragioni economiche e fiscali: l’estensione della cittadinanza comportava infatti l’allargamento della platea dei contribuenti ai quali lo Stato poteva imporre il pagamento di tributi di varia natura, non solo quelli sul reddito ma, per esempio, anche quelli legati alle successioni ereditarie ( LABORATORIO DELLE FONTI, p. 56). La Constitutio antoniniana concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi delle province dell’impero. Continuavano invece a rimanerne esclusi gli schiavi e i cosiddetti dediticii (da deditio, “resa”), cioè le popolazioni che, pur essendo insediate all’interno dei confini imperiali, erano ancora estranee alla cultura dominante greco-romana e non potevano quindi considerarsi romanizzate a tutti gli effetti. Si trattava per esempio degli abitanti di vaste aree rurali o di gruppi nomadi (come le tribù di origine germanica penetrate nell’impero ai tempi di Marco Aurelio).

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FOCUS • LE PAROLE NEL TEMPO
COSTITUZIONE

Il termine “costituzione” (dal latino constituere, “stabilire”, “decidere”) era usato per denominare le leggi di particolare importanza, come quelle emanate dagli imperatori. In epoca moderna la parola è passata a indicare la legge fondamentale di un ordinamento giuridico. Per esempio, la Costituzione italiana, approvata nel 1947 dall’Assemblea Costituente ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, è la legge su cui si fondano tutte le istituzioni della Repubblica e rappresenta la suprema fonte del diritto della nazione. Un carattere analogo hanno le costituzioni su cui si basa la vita politica e civile nella maggior parte dei Paesi democratici. Intese in questo senso, le costituzioni sono figlie della storia moderna, in particolare della Rivoluzione francese e della Costituzione americana.

Da Caracalla a Macrino

L’allargamento dei contribuenti stabilito dalla Constitutio antoniniana non fu però sufficiente a risanare il bilancio imperiale. Gran parte dei tributi venne infatti assorbita dall’esercito, che richiedeva ingenti risorse non solo per il finanziamento delle campagne militari, ma anche per le frequenti elargizioni di denaro a favore dei soldati, necessarie per mantenere la loro fedeltà all’imperatore. Caracalla dovette affrontare numerose guerre contro le popolazioni che minacciavano i confini. Nel 212 affrontò gli Alemanni, una confederazione di tribù germaniche dell’Europa centrale, riuscendo a contenerne l’avanzata e stringendo con loro una pace duratura.
Negli anni seguenti fu impegnato dalle operazioni militari nei Balcani, lungo la frontiera danubiana, dove dominò la ribellione della Dacia e sconfisse i Quadi, i Goti e i Carpi (213-215). Nel 215 organizzò una spedizione contro i Parti, che però non raggiunse l’esito sperato. Nel 217, mentre si trovava a Carre per una seconda campagna militare, Caracalla fu ucciso da una congiura organizzata dal prefetto del pretorio, Marco Opellio Macrino. Abbandonato il teatro di guerra, Macrino tornò a Roma e si fece incoronare imperatore. Il suo principato durò però soltanto pochi mesi. La famiglia dei Severi, infatti, si riorganizzò e, per riconquistare il potere, utilizzò le immense ricchezze che aveva a disposizione, corrompendo un esercito imperiale insoddisfatto dalla politica di austerità intrapresa da Macrino.
Nel 218, Giulia Mesa, cognata di Settimio Severo, approfittò della debolezza dell’avversario e, con l’appoggio dell’esercito, riuscì a rovesciarlo dal trono, facendo eleggere il suo giovane nipote, Sestio Vario Avito Bassiano (218-222), passato alla storia con il nome di Eliogabalo.

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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

L’estensione della cittadinanza e le sue motivazioni

In questi brevi brani sono contenuti alcuni riferimenti alla Constitutio antoniniana: il primo è tratto da un papiro egizio degli inizi del III secolo d.C. e contiene il testo della proclamazione dell’editto imperiale; il secondo proviene dalle opere del giurista Domizio Ulpiano, che visse al tempo di Caracalla.
Le motivazioni economiche che spinsero Caracalla a promulgare il suo editto sono invece spiegate in un passo dello storico romano di lingua greca Cassio Dione, vissuto tra il II e il III secolo d.C.

Do la cittadinanza romana a tutti gli stranieri che abitano l’ecumene1, consentendo loro di conservare anche il diritto di cittadinanza2, con la sola eccezione di coloro che si sono arresi3 a Roma e che si sono posti sotto la sua protezione.” 


Papiro Giessen, 40, I, 7-9.


Coloro che abitano nel mondo romano, in seguito alla Costituzione dell’imperatore Antonino sono riconosciuti cittadini romani.” 


Domizio Ulpiano, Digesto, I, 5, 17.


Caracalla dichiarò cittadini romani tutti coloro che erano sottomessi al suo potere, a parole per onorarli, in realtà per poter ottenere maggiori entrate grazie a questo provvedimento, poiché gli stranieri non pagavano gran parte dei tributi riservati ai cittadini.” 


Cassio Dione, Storia romana, LXXVII, trad. di A. Stroppa, BUR, Milano 1995.



1 Le terre abitate all’interno dell’impero romano. 

2 Cioè i diritti di cittadinanza previsti dalle leggi delle loro città di origine. 

3 Si tratta dei cosiddetti dediticii.


  • A quale classe sociale Caracalla negò la cittadinanza romana?
  • Secondo Dione, quali reali motivazioni favorirono l’estensione della cittadinanza?

L’impero di Eliogabalo

Il nuovo imperatore, appena quattordicenne, discendeva per parte di madre da una nobile famiglia siriana, legata al culto di origini orientali della divinità solare El-Gabal (“il dio che si manifesta sui monti”), da cui il nome latinizzato Eliogabalo. Il suo bisnonno, Giulio Bassiano, padre di Giulia Mesa e di Giulia Domna (moglie di Settimio Severo), era stato il sacerdote del tempio del dio Sole di Emesa. Il culto venne importato a Roma tra il II e il III secolo d.C. e fu assimilato al Sol invictus, una divinità della tradizione religiosa romana. Come erede della famiglia materna, Bassiano era dunque il sommo sacerdote del culto rivolto a El-Gabal, che egli impose a tutti i Romani; per questo motivo, a partire dal IV secolo d.C., sarebbe stato ricordato con il nome di Eliogabalo. In real­tà, mentre era in vita egli si fece chiamare Marco Aurelio Antonino, come il cugino Caracalla, per legittimare la sua discendenza e ripristinare la continui­tà della dinastia dei Severi dopo la parentesi dell’usurpatore Macrino.
A causa della sua giovane età, Eliogabalo era però inadeguato ad affrontare i gravi problemi dell’impero. Egli si dedicò esclusivamente a una vita dissoluta, compiendo atti giudicati di estrema immoralità, che gli alienarono il consenso della classe dirigente romana. Anche diversi contingenti militari dislocati nelle province si ribellarono al suo potere, ma le rivolte furono soffocate con durezza dalle legioni fedeli all’imperatore. L’esercito era del resto saldamente manovrato dalla famiglia dei Severi, che con le sue immense ricchezze poteva corrompere i soldati e i loro comandanti.
Nel 221, però, Giulia Mesa, artefice dell’ascesa al trono di Eliogabalo e fino a quel momento sua strenua sostenitrice, si rese conto che il risentimento contro il nipote si era ormai diffuso pericolosamente in tutto l’impero. Convinse perciò Eliogabalo ad associare al trono il cugino Marco Bassiano Alessiano, appena tredicenne, che assunse il nome di Marco Aurelio Alessandro Severo nell’ottica di una futura successione. Temendo che la popolarità del giovane cugino potesse nuocere al suo potere, Eliogabalo cercò invano di farlo uccidere. Nel 222 ordinò l’arresto e lo sterminio dei pretoriani che sostenevano Alessandro Severo, ma questi si ribellarono e uccisero l’imperatore, insieme a tutti i suoi collaboratori.

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L’impero di Alessandro Severo

Nel 222 l’impero passò dunque nelle mani di Alessandro Severo (222-235 d.C.), che, considerata la sua giovane età, fu affiancato da un collegio di consiglieri scelti dal senato.
L’antica assemblea riuscì in questo modo a recuperare parte della propria tradizionale autorità, ottenendo la possibilità di influenzare le scelte politiche dell’impero e ponendo fine al potere assoluto instaurato pochi decenni prima da Settimio Severo.
Sotto il principato di Alessandro Severo furono ripristinati i culti della tradizione religiosa romana e venne eliminata ogni traccia delle dissennatezze di Eliogabalo. La sua figura fu addirittura oggetto della cosiddetta damnatio memoriae, in conseguenza della quale il suo nome venne cancellato dai luoghi pubblici e non poté più essere trasmesso ai discendenti.
Il nuovo imperatore si impegnò – con risultati incerti – nel risanamento delle finanze dello Stato e nella difesa dei confini, rafforzata da nuovi arruolamenti tra le popolazioni orientali e dal consolidamento delle fortificazioni lungo le frontiere più a rischio.
Nonostante questi provvedimenti, però, la crisi dell’impero, già in atto da tempo ma fino ad allora contenuta dalle riforme economiche e istituzionali, si manifestò in tutta la sua gravità.

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La minaccia delle invasioni

Come abbiamo visto, la compagine imperiale era indebolita non solo da fattori interni, primo tra tutti l’instabilità politica che portava a frequenti avvicendamenti al potere, ma anche dalla pressione dei popoli stanziati ai confini dell’impero. Alessandro Severo si trovò in particolare a dover fronteggiare, a Oriente, l’espansione dei Sasanidi, una dinastia erede degli antichi sovrani persiani che aveva conquistato il regno dei Parti. I tentativi di bloccare la loro avanzata si rivelarono un insuccesso, e nel 233 i Romani furono costretti a stringere accordi di pace.
Il patto si era reso necessario anche perché le forze militari imperiali dovevano nel frattempo respingere una nuova minaccia, questa volta nei Balcani, dove le tribù dei Goti avevano attraversato la frontiera del Danubio.
Nel 234, inoltre, si verificò una nuova invasione da parte degli Alemanni oltre il Reno. Gli insuccessi in guerra alienarono ad Alessandro Severo l’appoggio dei soldati. Il malcontento degli ambienti militari era accresciuto tra l’altro dalla condiscendenza mostrata dall’imperatore nei confronti dell’aristocrazia senatoria e della sua politica finanziaria, che aveva ridotto le sovvenzioni all’esercito.
Nel 235 d.C., di fronte a una tattica giudicata troppo rinunciataria nei confronti dei “barbari”, che aveva condotto ad accordi di pace con gli Alemanni e aveva dunque precluso la possibilità di conquistare nuove terre, l’esercito si ribellò, al comando di Massimino il Trace, e Alessandro Severo venne assassinato.

GUIDA ALLO STUDIO

  • In che modo Settimio Severo riuscì a imporre un potere assoluto?
  • Che cosa prevedeva la Constitutio antoniniana?
    Per quali ragioni fu emanata da Caracalla?
  • Con quali mezzi la famiglia dei Severi riuscì a riprendere il potere dopo Macrino?
  • Per quali motivi Eliogabalo si rivelò inadatto a governare e perse il consenso?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille