La crisi del III secolo

5.4 L’IMPERO VERSO LA CRISI

La crisi del III secolo

Massimino era detto “il Trace” perché era nato nell’arretrata regione della Tracia, quindi era egli stesso un “barbaro”. L’origine non italica di un imperatore non era in realtà una novità: le province avevano dato i natali già a Traiano e ad Adriano (spagnoli), ad Antonino e Caracalla (nati in Gallia), e a Settimio Severo (africano). Tutti costoro si erano però ricollegati alla tradizione imperiale e alla cultura greco-romana, di cui si presentavano come eredi.
La novità di Massimino il Trace fu proprio questa: era un semplice soldato, di origine umile e completamente estraneo alla cultura dei suoi predecessori. Egli fu il primo imperatore a provenire dagli strati sociali più bassi della popolazione.

Massimino e l’anarchia militare

L’ascesa al trono di Massimino il Trace pose fine alla dinastia dei Severi e provocò lo scoppio di nuove guerre civili. L’impero era ancora una volta in balìa degli eserciti delle province, che acclamavano imperatori i loro comandanti e sostenevano la loro lotta per il potere. Tra il 235 e il 283 d.C., nel periodo che gli storici hanno definito dell’“anarchia militare”, gli scontri armati e il susseguirsi di colpi di Stato provocarono la successione al trono di ben ventuno imperatori.
L’instabilità politica e l’assenza di un saldo potere centrale che coordinasse la difesa dei confini favorì le invasioni di varie popolazioni nomadi (i Franchi in Gallia, gli Alemanni in Spagna, i Vandali in Italia, i Carpi e gli Eruli nei Balcani e i Goti in Tracia e in Asia minore) e la parziale frammentazione territoriale dell’impero ( CARTA, p. 60), con la nascita, nel 267, del regno autonomo di Palmira, in Siria, che sotto la guida della regina Zenobia conquistò ampi possedimenti anche in Egitto e nella penisola Anatolica.
Inoltre, nel 260 il comandante dell’esercito presso il confine del Reno, Postumo, aveva proclamato l’indipendenza dell’impero delle Gallie, che si estendeva fino alla Britannia e alla Spagna, e che fu riconquistato solo nel 274 dall’imperatore Aureliano.
Le guerre civili danneggiavano l’economia anche a causa della consuetudine dei generali di elargire denaro ai soldati e di autorizzare il saccheggio delle terre che attraversavano. Questa pratica, che garantiva ai comandanti la fedeltà delle truppe, aveva effetti deleteri sia sulle finanze imperiali, sia sulla situazione delle campagne, sottoposte a continue devastazioni e violenze.
Ai saccheggi, inoltre, si sommavano le carestie, dovute ai danni causati alle colture agricole, e le epidemie di peste, la cui diffusione era favorita dal passaggio dei soldati; senza contare il fatto che, per fronteggiare le spese necessarie a mantenere l’esercito, gli imperatori ricorsero all’aumento delle tasse, che colpiva in modo particolare gli abitanti delle campagne.

Le cause profonde della crisi

La crisi del III secolo, indubbiamente aggravata dalle guerre civili, aveva però radici lontane nel tempo. Fin dal secolo precedente, enormi risorse finanziarie erano state impiegate per sovvenzionare l’esercito e la burocrazia statale, indispensabili per controllare in modo efficace il vastissimo impero.
Tuttavia, mentre un tempo le nuove conquiste fornivano introiti sufficienti a sostenere la complessa struttura imperiale, nel III secolo le entrate non furono più in grado di coprire le spese, dando luogo a un pesante squilibrio di bilancio.
La fine dell’espansione militare aveva determinato anche il venir meno del flusso costante di schiavi dai territori sottomessi, privando l’economia romana della manodopera gratuita su cui per secoli si era basata l’agricoltura. L’aumento delle tasse e le distruzioni provocate dalle guerre si inserivano in questo quadro di crisi della produzione agricola.

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La crisi dei commerci e l’inflazione

La diminuzione della produzione agricola provocò a sua volta una contrazione degli scambi commerciali, già danneggiati dalle guerre e dall’insicurezza dei viaggi su lunghe distanze.
La situazione fu ulteriormente aggravata dalle politiche monetarie degli imperatori. Fin dal tempo di Settimio Severo, infatti, per contrastare la scarsità di metalli preziosi provocata dalla crisi economica furono coniate monete con una quantità sempre più ridotta di oro e di argento e, dunque, di valore inferiore (il valore della moneta era infatti dato dalla percentuale di metallo prezioso in essa contenuta). Ne derivò una crescita straordinaria del fenomeno economico noto come inflazione.
In una spirale negativa, l’inflazione favorì il fenomeno della tesaurizzazione, cioè dell’accaparramento dei metalli preziosi: chi possedeva monete coniate prima della svalutazione, e dunque con un valore più elevato di quelle in circolazione, le custodiva in luoghi sicuri, per utilizzarle in caso di estrema necessità. In questo modo, però, si aggravava la crisi dei commerci; l’economia monetaria regredì e in alcuni casi vi fu addirittura il ritorno a forme di commercio basate sul baratto, cioè sullo scambio diretto di merci contro merce, senza l’intermediazione della moneta.
Il peso della drammatica crisi economica che caratterizzò il III secolo gravò soprattutto sugli strati più deboli della popolazione, che subirono un sensibile peggioramento delle proprie condizioni di vita. Tale situazione determinò un ulteriore aggravamento degli squilibri tra le classi sociali, ampliando il divario tra gli honestiores, sempre più ricchi e influenti, e gli humiliores, ridotti in miseria e di fatto esclusi da qualsiasi opportunità di ripresa economica.

Un impero sempre più insicuro

Per fronteggiare la carenza di soldati, provocata dal calo demografico che seguì la crisi economica, gli imperatori arruolarono con sempre maggiore frequenza truppe mercenarie, reclutate tra le popolazioni stanziate al di fuori dei domini imperiali.
Il mutamento delle condizioni economiche e demografiche comportò quindi anche una profonda revisione delle strategie militari adottate dai Romani. Nei primi secoli dell’impero la sicurezza dei confini era stata garantita dalla presenza di “popoli-clienti” legati a Roma da vincoli di dipendenza economica e politica; le truppe imperiali avevano il compito di sorvegliarli ma non erano impegnate nel controllo diretto dei confini, ed erano quindi disponibili per le campagne di espansione territoriale.
A partire dal III secolo, invece, i popoli-clienti furono annessi all’interno dell’impero. La loro funzione protettiva dei confini venne meno, e perciò le truppe romane dovettero essere stanziate direttamente a difesa della sicurezza interna, con l’impiego di enormi risorse e, appunto, il reclutamento dei soldati “barbari”. In questa situazione, tramontava ogni possibilità di avere a disposizione truppe per promuovere nuove conquiste. La potenza travolgente di Roma, che nei secoli precedenti aveva sconfitto ogni nemico che aveva osato ostacolare la sua avanzata, era ormai avviata a un inarrestabile declino. Nel 260 d.C. l’imperatore Valeriano fu addirittura sconfitto e catturato in Siria dai Sassanidi. La perdita della sicurezza interna è testimoniata anche dalla costruzione di una nuova cinta di mura difensive attorno alla città di Roma, realizzata durante il principato di Aureliano (270-275 d.C.): era dai tempi della discesa in Italia di Annibale, alla fine del III secolo a.C., che Roma non temeva un’invasione straniera.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Che cosa si intende con l’espressione “anarchia militare”?
  • Quale novità rappresentò l’ascesa di Massimino il Trace alla guida dell’impero?
  • Quali cause profonde aveva la crisi che si manifestò nel III secolo? Da quali elementi fu aggravata?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille