Da Adriano a Marco Aurelio

5.2 L’ETÀ AUREA DELL’IMPERO

Da Adriano a Marco Aurelio

Alla morte di Traiano la guida dell’impero passò nelle mani di Publio Elio Adriano (117-138 d.C.), anch’egli originario della penisola Iberica e lontano parente del suo predecessore. Sebbene la sua nomina non fosse stata presentata ufficialmente al senato, il fatto che potesse fregiarsi del titolo di “Cesare”, utilizzato dai successori di Augusto, conferma che Traiano lo aveva adottato in forma privata negli ultimi anni della sua vita.

La difesa dell’impero

La difficile situazione finanziaria dell’impero indusse Adriano ad abbandonare la politica di espansione territoriale di Traiano e a optare invece per una strategia di mantenimento delle conquiste. La pressione dei popoli nomadi ai confini diveniva infatti sempre più minacciosa e le difficoltà finanziarie impedivano di allestire grandi campagne militari per allontanarli. Il nuovo imperatore ripiegò sulla scelta di presidiare le frontiere. Nella Britannia settentrionale fece costruire una lunga muraglia difensiva lunga oltre cento chilometri, il vallo di Adriano, per difendere i territori occupati dai Romani dalle bellicose popolazioni stanziate nella parte settentrionale dell’isola.
Del resto, la vastità delle terre dominate dai Romani agli inizi del II secolo d.C. rendeva difficili i collegamenti tra la capitale e le regioni periferiche. Nonostante l’estensione capillare della rete stradale, i mezzi di trasporto dell’epoca imponevano tempi molto lunghi per la percorrenza delle grandi distanze: per spostare le truppe da un confine all’altro dell’impero erano necessarie settimane o mesi, con ovvie conseguenze sull’efficacia delle strategie difensive ( CARTA).

Le riforme di Adriano

Nella gestione dello Stato, i maggiori sforzi furono profusi da Adriano nel risanamento delle finanze e in una riforma dell’amministrazione finalizzata a rendere più efficiente la burocrazia (i cui funzionari provenivano ancora dall’ordine equestre). Egli promosse anche una raccolta delle norme giuridiche emanate dai suoi predecessori (definita editto perpetuo), mettendo ordine alla legislazione esistente.
Consapevole delle difficoltà di controllare un organismo imperiale così complesso, Adriano si fece affiancare da un consiglio imperiale in cui chiamò gli intellettuali più autorevoli dell’epoca e gli amministratori più capaci.
Interessato allo sviluppo economico e culturale delle province, Adriano le visitò di persona in lunghi e frequenti viaggi, intervenendo direttamente, in particolare, nelle tensioni sociali che turbavano la Palestina. Teatro delle rivolte delle comunità ebraiche già alla fine dell’epoca di Traiano, l’area continuava a rimanere instabile.
Per ottenere una volta per tutte l’assimilazione degli Ebrei all’organismo imperiale, nel 131 d.C. Adriano impose una loro romanizzazione forzata attraverso la diffusione dei culti religiosi romani e l’abolizione di alcune pratiche tradizionali come la circoncisione. Questi provvedimenti scatenarono una violenta ribellione da parte della popolazione locale, soffocata con difficoltà solo nel 135 d.C. con la distruzione di molti centri abitati e la dispersione dei loro abitanti in vari territori dell’impero, dove furono perseguitati e trattati come sudditi privi di qualsiasi diritto.

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La dinastia degli Antonini

Tra i membri del consiglio imperiale creato da Adriano vi era anche Tito Aurelio Antonino, un ricco senatore romano discendente da una famiglia originaria della Gallia. Scelto da Adriano come suo successore, alla morte di questi, nel 138 d.C., egli si vide assegnata la guida dell’impero.
Antonino Pio (138-161 d.C.), come fu chiamato per la profonda devozione che nutriva nei confronti del padre adottivo, del quale promosse anche la divinizzazione, proseguì l’azione politica di Adriano, puntando al rafforzamento delle difese dell’impero e al risanamento del bilancio statale. In campo sociale proseguì la politica di assistenza alle fasce sociali più deboli, aumentando le distribuzioni di cibo alla plebe romana. Pose inoltre fine alla discriminazione nei confronti degli Ebrei all’interno dell’impero. Alla sua morte gli succedette il genero, Marco Annio Vero, che assunse il nome di Marco Aurelio Antonino (161-180 d.C.). Il nuovo imperatore condivise il potere con il fratello Lucio Vero (161-169 d.C.), anch’egli adottato da Antonino, capostipite della dinastia. Marco Aurelio si guadagnò il soprannome di imperatore filosofo per la saggezza dimostrata nella sua azione di governo e per la sua onestà e dirittura morale, conforme ai precetti dottrinali dello stoicismo, di cui fu uno dei più importanti esponenti.

La debolezza dell’impero

Nonostante le sue indubbie capacità, Marco Aurelio non fu in grado di risollevare l’impero dalla crisi economica in cui stava precipitando.
A questo problema si aggiungeva la crescente minaccia dei popoli definiti “barbari” dai Romani. Attratti dalle ricchezze delle province, i loro sconfinamenti all’interno dell’impero erano sempre più difficili da respingere. In Oriente, tra il 161 e il 166 d.C. l’esercito imperiale riuscì a respingere gli attacchi dei Parti, che erano penetrati nella Cappadocia (nell’odierna Turchia) e in Siria. Contemporaneamente, però, i Romani dovettero affrontare le invasioni di vari popoli germanici dell’Europa centrale, in particolare dei Quadi e dei Marcomanni. Originari delle regioni che si estendevano al di là della frontiera del Danubio, essi sfruttarono la debolezza delle difese romane e penetrarono all’interno dell’impero, stanziandosi nella città di Aquileia (nell’Italia nordorientale) nel 169 d.C.
La situazione generale dell’impero si aggravò anche a causa di una grave epidemia di peste, che ridusse ulteriormente le forze dell’esercito. La morte di Lucio Vero (169 d.C.), inoltre, lasciò Marco Aurelio solo alla guida dell’impero.
Per uscire da queste difficoltà, egli decise di scendere a patti con gli invasori. Nel 175 d.C. fu siglato un accordo di pace in base al quale alcune tribù straniere furono arruolate come truppe ausiliare nell’esercito imperiale, con il compito di difendere i confini della frontiera danubiana. Questo provvedimento dimostra la debolezza dello Stato romano, che non disponeva più di risorse sufficienti per difendersi dagli attacchi esterni e ricorreva ai soldati mercenari per garantire la sicurezza dei confini.
La tregua ebbe comunque vita breve: nel 178 d.C. la ribellione dei Quadi e dei Marcomanni provocò lo scoppio di una nuova guerra, nella quale lo stesso Marco Aurelio perse la vita (180 d.C.).

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Commodo e la fine degli Antonini

Alla morte di Marco Aurelio il potere passò nelle mani del figlio Commodo (180-192 d.C.). La prassi della successione per adozione, che aveva garantito per buona parte del II secolo d.C. la stabilità delle istituzioni imperiali, si interruppe quindi in favore del ritorno della successione dinastica.
Al di là delle modalità con cui si arrivava al vertice dello Stato, comunque, da tempo l’impero romano aveva perso la compattezza acquisita all’epoca di Traiano. Commodo, dal canto suo, si rivelò del tutto inadeguato a governare un organismo statale complesso e compromesso da una crisi politica, economica e sociale sempre più evidente.
Egli sottoscrisse un nuovo patto – sfavorevole per i Romani – con i Quadi e i Marcomanni, e conseguì parziali vittorie contro altre tribù germaniche, che però non furono determinanti per mettere in sicurezza i confini imperiali.
Questi insuccessi in politica estera alienarono a Commodo il sostegno degli ambienti militari, e anche il senato giudicò negativamente la sua figura. All’opposto del padre, intellettuale austero e misurato, egli era infatti dedito ai divertimenti e viveva in modo dissoluto. Organizzando grandi feste e spettacoli di gladiatori, egli sperperò le risorse del già disastrato fisco imperiale, mentre gli strati più poveri della popolazione vedevano crescere la loro miseria.
Questa situazione, unita alle preoccupazioni dei senatori e dei comandanti militari, che nel ritorno alla successione dinastica vedevano i rischi di una ricaduta in un regime dispotico, fece crescere il risentimento nei suoi confronti fino a quando, nel 192 d.C., una congiura organizzata dal prefetto del pretorio con il sostegno del senato ne provocò la morte. Come era già successo nel 69 d.C., il vuoto di potere che seguì alla morte dell’imperatore fece ricadere Roma in un’epoca di guerre civili.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Che tipo di politica estera attuò Adriano?
  • Quali caratteri ebbero le opposte figure di Marco Aurelio e di Commodo?
  • Quali erano, alla fine del II secolo d.C., le principali minacce alla solidità dell’impero?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille