La Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali promossa dall’Onu, entrata in vigore nel 1976 e attualmente firmata da 164 Paesi, riconosce a ogni individuo il diritto al lavoro. Specifica inoltre che si debba trattare di un lavoro dignitoso, cioè che offra un compenso equo e commisurato all’attività svolta, che si svolga in sicurezza e senza pericoli per la salute del lavoratore, che abbia orari limitati e fissati per legge e così via. Purtroppo in molti casi, e in particolare in alcune regioni del mondo, i diritti dei lavoratori non sono pienamente rispettati, se non del tutto ignorati.
I lavoratori dei Paesi sviluppati come quelli europei e del Nord America hanno dovuto lottare duramente, nel corso del XIX e del XX secolo, per migliorare le proprie condizioni, ottenendo gradualmente una retribuzione minima più elevata, una diminuzione dell’orario lavorativo giornaliero e garanzie di sicurezza, oltre alla proibizione del lavoro minorile e a una serie di protezioni che rientrano nell’ambito della cosiddetta sicurezza sociale, come la tutela in caso di malattia e infortunio sul lavoro e le pensioni di invalidità e anzianità.
Tutto questo è avvenuto grazie al diritto (anche questo faticosamente conquistato) di organizzarsi in associazioni, i sindacati, che hanno il compito di trattare con i datori di lavoro i contratti collettivi, cioè uguali per tutti i lavoratori dello stesso settore.
Nei Paesi emergenti e in via di sviluppo, invece, alcune di queste conquiste non sono ancora avvenute, e i lavoratori sono spesso costretti a guadagnarsi di che vivere in condizioni di sfruttamento che, in casi estremi, equivalgono a quelle della schiavitù (▶ focus).