8.2 - I diritti violati

8 CULTURE E DIRITTI NEL MONDO GLOBALIZZATO

8.2 I diritti violati

Come abbiamo visto, i diritti umani sono idealmente universali, cioè validi in qualunque luogo o circostanza, e posseduti da ogni individuo indipendentemente dalle sue caratteristiche e scelte.

Eppure nel mondo, nei secoli passati e in molti casi ancora oggi, e a dispetto di tutti gli sforzi fatti in questo senso, i rapporti umani sono spesso regolati dalla “legge del più forte”, e le più gravi violazioni dei diritti umani individuali avvengono proprio nei confronti delle categorie ritenute più deboli o incapaci di difendersi, o che per particolari circostanze si trovano in una condizione di minoranza: donne, bambini e appartenenti a minoranze religiose, etniche e razziali.

Un’altra forma di violazione dei diritti umani, che non coinvolge la violenza diretta ma è spesso ancora più dannosa a causa della sua pervasività e della difficoltà nel combatterla, è la discriminazione, cioè la pratica di porre gli appartenenti a una determinata categoria umana o sociale in condizione di svantaggio rispetto agli altri per quanto riguarda molti aspetti della vita pubblica, come il lavoro, la scuola, l’esercizio di diritti civili, per esempio quello di voto ( carta).

La condizione della donna 

Nonostante le donne costituiscano la maggioranza della popolazione in vari Paesi (in quanto, come già accennato, vivono in media più a lungo degli uomini), in molte società e culture vivono in una condizione di subordinazione rispetto all’uomo, e sono vittima di forme di violenza e discriminazione “di genere”, cioè a causa del loro sesso.

Diverse popolazioni in varie parti del mondo adottano ancora forme di organizzazione sociale di tipo patriarcale, cioè in cui l’autorità, sia all’interno della famiglia sia nella vita comunitaria, è esercitata degli uomini più anziani, mentre le donne sono relegate a ruoli di secondo piano, e si dedicano alla cura della casa e dei figli oppure all’esercizio di lavori di scarsa responsabilità e poco specializzati.

In alcuni casi la condizione di inferiorità sociale della donna è sancita dalle leggi stesse dello Stato: per esempio in Iran e in Arabia Saudita alcuni reati (come l’adulterio, che è considerato un crimine dalla legge tradizionale islamica seguita in questi Paesi) sono puniti più duramente se a commetterli è stata una donna. In Arabia Saudita le donne sono considerate per tutta la vita come minorenni, e sono soggette all’autorità di un “tutore” uomo: prima il padre e poi, una volta sposate, il marito.

Ci sono poi forme di violenza che riguardano in modo precipuo la donna, come le violenze o le molestie sessuali, spesso perpetrate da membri della famiglia. In molti Paesi africani, fra cui l’Etiopia, oltre il 50% delle donne ha subito almeno una volta nella vita un episodio di violenza sessuale; ma questa piaga è purtroppo diffusa in tutto il mondo.

Un altro tipo di crimine commesso in prevalenza nei confronti delle donne è lo sfruttamento e l’impiego nel mercato della prostituzione: molte donne sono la “merce” di un vero e proprio traffico di esseri umani gestito dalle organizzazioni criminali.

La maggior parte dei casi di violenza e discriminazione nei confronti delle donne avviene nei Paesi più poveri e in via di sviluppo come quelli africani, del Sudest asiatico e dell’America Latina, ma anche nei Paesi avanzati come quelli europei, del Nord America e di una parte dell’Asia, le donne subiscono ancora varie forme di discriminazione. In Europa, per esempio, si stima che le donne lavoratrici guadagnino mediamente dal 15 al 30% in meno dei loro colleghi uomini a parità di occupazione; inoltre le donne sono quasi ovunque in minoranza nelle cosiddette “posizioni di potere”, cioè le occupazioni o le cariche pubbliche di più alto livello e maggiore responsabilità. I dirigenti d’azienda, parlamentari, ministri e capi di governo uomini sono ancora in netta maggioranza in molti Paesi.

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Lo sfruttamento dei bambini 

Una delle categorie più indifese, e quindi maggiormente esposte a episodi di sfruttamento e abuso, è quella dei bambini e dei minori in genere. Nonostante il diritto dei bambini ad avere un’educazione e a vivere un’infanzia senza traumi sia sancito in tutti gli accordi internazionali sui diritti umani, come la Convenzione sui diritti del bambino promossa dall’Onu nel 1989, sono moltissimi i bambini e le bambine che vivono in condizioni difficili, di sfruttamento o di mancanza delle più elementari forme di assistenza e protezione.

Una delle forme più diffuse di sfruttamento dei piccoli è il lavoro minorile: si stima che nel mondo siano circa 215 milioni i bambini e i ragazzi sotto i 18 anni che lavorano; nell’Africa subsahariana lavora un ragazzino (tra i 5 e 17 anni) su quattro. Se la maggioranza di questi bambini lavoratori è di sesso maschile, esistono però anche moltissime bambine impiegate quotidianamente in lavori domestici e di cura della casa, il cui numero sfugge alle stime delle organizzazioni internazionali. Molti di questi minori lavorano in condizioni difficili, in ambienti dotati di scarsa igiene, con orari massacranti e paghe spesso minime: ne sono un esempio i minori costretti a lavorare nelle fabbriche che producono capi di abbigliamento e accessori in Paesi come Bangladesh, India e Pakistan, che spesso esportano i loro prodotti sui mercati dei Paesi ricchi ( ATLANTE, pp. 36-37).

Un’altra violazione dei diritti fondamentali dei bambini è la negazione del diritto allo studio: sono oltre 130 milioni i bambini in età scolare nel mondo che non vanno a scuola, e che quindi, quando cresceranno, avranno poche possibilità di migliorare la propria posizione economica e sociale.

Come le donne, infine, i bambini sono spesso vittima di particolari forme di violenza e criminalità. Il traffico di minori è una realtà in molti Paesi, con oltre un milione di ragazzini all’anno che finiscono nella rete di organizzazioni criminali. Molti vengono rapiti, presi dalla strada o da orfanotrofi, o addirittura acquistati dagli stessi genitori che non possono permettersi di mantenerli, e poi trasferiti in altre regioni o Pae­si, dove sono impiegati come lavoratori domestici o nelle fabbriche; a volte vengono sfruttati per arricchire il mercato della prostituzione minorile, considerata un crimine in tutti i Paesi del mondo ma purtroppo ampiamente praticata in diverse regioni, soprattutto nell’Africa subsahariana, nel Sudest asiatico e in alcuni Paesi dell’America Latina.

Una delle organizzazioni internazionali più attive nel campo della difesa dei diritti dei minori è l’Unicef (United Nations Children’s Fund, Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia), un’agenzia dell’Onu fondata nel 1946 per aiutare i bambini vittime della Seconda guerra mondiale.

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FOCUS

i bambini soldato
Il dramma della guerra e quello dello sfruttamento dei minori si intrecciano tragicamente nel caso dei bambini soldato, bambini e ragazzi che combattono nelle fila di eserciti regolari ma soprattutto di gruppi di guerriglieri e milizie guidate da spietati “signori della guerra”. Sebbene i trattati internazionali promossi dall’Onu considerino un crimine di guerra l’impiego dei minori di 15 anni come combattenti, si stima che siano quasi 300 000 i bambini soldato nel mondo, impegnati in conflitti in circa 20 Paesi, soprattutto in Africa e Asia meridionale. Bambini combattono regolarmente nei sanguinosi scontri a sfondo etnico dell’Africa subsahariana, in Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Ruanda e Somalia. Molti di essi subiscono anche altri tipi di violenza: vengono reclutati con la forza o le minacce; oppure rapiti in seguito alla distruzione del loro villaggio e all’uccisione dei genitori, e costretti a lavorare, i maschi come soldati e le femmine come “aiutanti di campo” (schiave). Agenzie intergovernative come l’Unicef e organizzazioni umanitarie come Save the Children si battono contro la barbara prassi dei bambini soldato, promuovendo campagne di sensibilizzazione e aiutando i ragazzi che sono riusciti a sfuggire a questa condizione a riprendere, per quanto possibile, una vita normale.

I diritti delle minoranze 

Spesso, in una comunità o un Paese, il solo fatto di essere “diversi” è motivo sufficiente per diventare bersaglio di discriminazioni, pregiudizi o addirittura violenze. È questo il caso, per esempio, degli appartenenti alle minoranze linguistiche, religiose, etniche o razziali, che in molti Paesi vedono minacciati o negati i propri diritti civili. I motivi possono essere molti, e qualche volta le discriminazioni e le violenze sono incoraggiate, o addirittura perpetrate, dallo stesso governo per motivi politici.

È il caso dei curdi, che in Iraq sono stati vittima di violenze ai tempi della dittatura di Saddam Hussein, e che ancora oggi vengono discriminati dal governo della Turchia, deciso a salvaguardare l’unità nazionale del Paese non riconoscendo ufficialmente altre etnie e lingue che non siano quella turca. Fino a qualche tempo fa, infatti, era proibito l’insegnamento della lingua curda nelle province turche dove i curdi sono la maggioranza: si tratta di una pratica adottata dai governi di molti Paesi per favorire l’assimilazione, cioè la perdita dell’identità culturale, di una minoranza “sgradita”.

Un’altra etnia perseguitata da un governo statale è quella dei karen nel Myanmar (ex Birmania, nel Sudest asiatico). I karen subiscono trasferimenti forzati, distruzioni di villaggi e sistematiche violenze: tutto ciò solo per aver chiesto allo Stato maggiore autonomia amministrativa e politica.

Sono tuttavia moltissimi nel mondo i casi di intere popolazioni o etnie perseguitate da politiche di discriminazione legalizzate.

Xenofobia e razzismo 

Fenomeni di intolleranza, discriminazione e violenza nei confronti delle minoranze possono anche essere causati da sentimenti di xenofobìa (dai termini greci xénos, “estraneo, insolito”, e phóbos, “paura”), cioè la paura irrazionale nei confronti di ciò che è ritenuto “diverso” o straniero. Spesso nel mondo moderno, infatti, la xenofobia nasce dalla paura che provano gli appartenenti a una comunità di perdere la propria identità, o lo stile di vita a cui sono abituati, a causa dell’arrivo di “stranieri”. È quanto sta accadendo nei Paesi europei, che negli ultimi anni hanno visto un forte aumento del numero di immigrati.

Strettamente legato alla xenofobia è il razzismo, cioè la convinzione che esistano diverse “razze” – vale a dire categorie di individui accomunati da determinate caratteristiche fisiche, morali o intellettuali –, e che alcune di queste razze siano naturalmente superiori o inferiori alle altre. Il razzismo è stato tra i fattori che hanno contribuito a far nascere fenomeni di violenza e sistematica violazione dei diritti umani, come la tratta degli schiavi neri dall’Africa all’America avvenuta dal XVI al XIX secolo, un fatto storico che ha ancora oggi forti ripercussioni nei Paesi americani, in particolare negli Stati Uniti. Qui infatti i cittadini di origine africana sono ancora vittima di violenze ed episodi di discriminazione, nonostante le grandi battaglie combattute nel corso del Novecento per la conquista dei diritti civili dei neri.

Gli ideali di purezza razziale, cioè la convinzione che le razze “inferiori” siano da tenere separate (la cosiddetta “segregazione razziale”) o da eliminare del tutto per evitare che contaminino le razze superiori, sono stati poi una delle ragioni alla base dell’uccisione di milioni di ebrei, rom, disabili mentali, prigionieri politici e omosessuali da parte della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale. Gli ebrei, in particolare, sono una minoranza etnica e religiosa soggetta a discriminazioni e violenze da migliaia di anni, tanto che per il sentimento di avversione e odio nei loro confronti è stato coniato un termine specifico: antisemitismo. Sentimenti come la xenofobia, il razzismo, l’antisemitismo, se presenti in una comunità, costituiscono il “terreno di coltura” ideale per la nascita e la diffusione di movimenti politici e ideologici estremisti.

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DOSSIER CIVILTÀ  Religioni e diritti umani: un rapporto delicato
Una donna musulmana con il niqab a Parigi.

La discussione contemporanea sui diritti umani e la loro tutela, come abbiamo visto, per alcuni diritti fondamentali si è ispirata agli insegnamenti delle religioni; in particolare le tre grandi religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo e islam), ma anche altre come il buddhismo.
Ci sono però pratiche religiose che contrastano con alcuni diritti umani fondamentali, e che quindi possono creare conflitti e divergenze di interpretazione.
Uno dei diritti fondamentali dell’uomo, infatti, è la libertà di culto, cioè la possibilità di aderire a qualsiasi religione e di praticarla senza interferenze. Ma che cosa accade quando una pratica o un’usanza religiosa è in contrasto con un altro diritto umano fondamentale?
Secondo certe interpretazioni radicali dell’islam, per esempio, l’apostasia (l’atto di abbandonare la propria religione) e la blasfemia (esprimersi contro Dio e la religione) sono considerate gravi trasgressioni; in alcuni Paesi dove le leggi dello Stato sono basate sulla legge tradizionale islamica (shari’a), come l’Arabia Saudita o il Pakistan, questi atti sono puniti addirittura con la pena di morte. È chiaro che questa norma contrasta con il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero od opinione, oltre che con lo stesso diritto alla libertà di culto.
Un’altra pratica religiosa islamica dibattuta sul fronte dei diritti umani, soprattutto in Europa, è l’usanza delle donne di coprirsi il capo con il velo; a seconda dell’interpretazione più o meno radicale degli insegnamenti religiosi, il velo consiste in un fazzoletto che nasconde solo i capelli (chiamato hijab), oppure in un velo vero e proprio che lascia scoperti solo gli occhi (niqab), o ancora in una lunga veste che non lascia scoperta alcuna parte del corpo (burqa). Per le donne di alcuni Paesi a maggioranza islamica, come l’Iran e l’Arabia Saudita, indossare l’hijab o il niqab è un obbligo sancito dalla legge.
Secondo molti sostenitori dei diritti umani, questa usanza, imposta da una cultura maschilista, limita la libertà delle donne islamiche.

GUIDA ALLO STUDIO

  • In che modo vengono violati specificamente i diritti umani delle donne?
  • In che modo vengono sfruttati i minori? Qual è l’organizzazione internazionale che si occupa di difendere i loro diritti?
  • Che cosa è strettamente legato alla “xenofobia”?
  • Sai fare un esempio di due minoranze storiche soggette a gravi persecuzioni?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
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Da Roma imperiale all’anno Mille