La dinastia Giulio-Claudia

5.1 LA NASCITA DELL’IMPERO

La dinastia Giulio-Claudia

Augusto morì nel 14 d.C., lasciando ai suoi successori uno Stato pacificato e in buone condizioni economiche. Con la trasmissione del potere per via ereditaria, il principato divenne a tutti gli effetti un impero, guidato da un uomo solo al comando. Alcuni degli imperatori che si succedettero al trono accentuarono il carattere monarchico del loro potere, promuovendo addirittura la divinizzazione della propria figura. In diversi casi vennero attuate feroci persecuzioni contro chiunque fosse sospettato di tramare contro l’imperatore.
Nonostante Roma dovesse ancora raggiungere l’apogeo della sua potenza, comunque, i segni della crisi economica e civile che avrebbe compromesso gli equilibri di potere nei secoli successivi erano già presenti in embrione. Gli eserciti sarebbero presto tornati a ricoprire un ruolo fondamentale nelle vicende politiche dell’impero, riportando Roma, nel corso del I secolo d.C., sull’orlo di gravi guerre civili.

La scelta del successore

Il metodo della successione dinastica fu impiegato per la prima volta proprio da Augusto. Privo di eredi diretti, nel 4 d.C. egli adottò Tiberio Claudio, figlio di prime nozze della sua terza moglie, Livia, e nel corso degli anni successivi lo investì di tutti i poteri.
Alla morte del principe, Tiberio (14-37 d.C.) succedette quindi ad Augusto, divenendo il primo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, così chiamata dal nome della sua gens (Claudia) e di quella del suo padre adottivo (Iulia).
La successione era stata organizzata da Augusto in palese contrasto con la prassi repubblicana, che non prevedeva la trasmissione ereditaria delle cariche. Nominando per tempo Tiberio come suo successore, tuttavia, Augusto riuscì a legittimare la sua figura al cospetto del senato, dei comizi e della popolazione, e gli permise di acquisire l’autorevolezza e l’esperienza di governo necessarie per succedergli al momento opportuno, senza lasciare vuoti di potere.
Tiberio fu designato erede di tutti i beni del principe, potendo così disporre delle enormi ricchezze del fisco imperiale. Queste risorse gli conferirono un potere economico unico, grazie al quale poté finanziare l’esercito, organizzare elargizioni pubbliche per mantenere il consenso popolare e sovvenzionare le grandi famiglie aristocratiche che ancora avevano un peso nel senato (riuscendo così a influenzare anche parte dell’istituzione più importante dello Stato romano). In queste condizioni, era di fatto impraticabile qualsiasi alternativa al suo potere.

L’impero di Tiberio

Tiberio si preoccupò di mantenere efficiente l’amministrazione dell’impero, controllando direttamente i funzionari e cercando di instaurare buoni rapporti con il senato. Il nuovo imperatore tentò anzi di riaffermare l’autorità del senato, restituendo all’assemblea molti poteri effettivi che Augusto aveva avocato a sé. I senatori, tuttavia, guardarono con diffidenza a questo atteggiamento, temendo che Tiberio mirasse in realtà a far emergere gli eventuali oppositori alla sua figura per poi allontanarli. Si diffuse così un clima di marcato servilismo, che si manifestava nell’adeguamento incondizionato dei senatori alle posizioni dell’imperatore. Paradossalmente, questa situazione condusse a un ulteriore accentramento del potere nelle mani di Tiberio.
Attraverso il controllo della burocrazia statale e delle province, dove si verificavano ampi fenomeni di corruzione, egli impose una politica di rigore nella gestione delle finanze imperiali. In politica estera, invece, si fece continuatore delle scelte di Augusto, privilegiando il rafforzamento dei confini e la stabilità delle province alle rischiose campagne espansionistiche.
Il suo rigore nella gestione dello Stato e la scelta di non promuovere campagne militari limitarono però le possibilità di sviluppo economico. Inoltre, pur raggiungendo buoni risultati nel consolidamento dello Stato, la sua azione di governo non fu compresa e gli alienò il consenso della popolazione e della classe dirigente. La sua reazione al crescente malcontento popolare fu l’instaurazione di un regime dispotico, che punì crudelmente qualsiasi opposizione da parte dei senatori e dei membri della sua stessa famiglia. Tale fu il caso del nipote Germanico, protagonista tra il 14 e il 16 d.C. di una serie di vittorie contro i Germani stanziati oltre il confine settentrionale dell’impero, segnato dal fiume Reno. Mandato in Oriente a combattere i Parti, Germanico morì improvvisamente, forse avvelenato dall’imperatore, che vedeva in lui un possibile usurpatore della sua autorità.
Il potere di Tiberio si fece sempre più opprimente, fino a diffondere un clima di terrore tra i cittadini. Temendo di cadere vittima di una congiura, nel 27 d.C. egli si ritirò nella sua villa privata, a Capri, delegando le funzioni di governo al suo potente prefetto del pretorio, Seiano. La sua assenza da Roma favorì l’instabilità politica e il diffondersi di intrighi e congiure. Nel 31 d.C. lo stesso Seiano tentò un colpo di Stato che fu però represso con la forza.

  › pagina 25   

Le follie di Caligola

Tiberio decise di adottare e di designare come successori due nipoti: Tiberio (figlio di suo fratello Druso) e Caio Germanico, detto Caligola (37-41 d.C.) dal nome della calzatura tipica dei soldati romani (la caliga), che egli indossava fin da quando accompagnava il padre Germanico nelle spedizioni militari in Germania. La scelta di Caligola per la successione a Tiberio fu decisa dai pretoriani e dal senato, che speravano di poterlo manovrare facilmente per via della sua giovane età. Tuttavia, dopo la morte di Tiberio (37 d.C.) il giovane imperatore riuscì a imporre un regime dispotico incentrato sulla divinizzazione della sua persona. Egli fu autore di molte atrocità gratuite e di atteggiamenti da sovrano assoluto di tipo orientale, pretendendo per esempio che tutti si inginocchiassero al suo cospetto (secondo il rituale fatto proprio anche da Alessandro Magno). Il suo sprezzo per le istituzioni di Roma, e per il senato in particolare, era tale che – narra la tradizione – egli arrivò a nominare senatore il suo cavallo.
La naturale conseguenza di questo atteggiamento autocratico fu la nascita di una forte opposizione al suo potere, diffusa in tutte le classi sociali, che provocò a sua volta l’inasprimento del suo dispotismo. Spinto da un’insana esaltazione personale, Caligola organizzò una durissima repressione contro ogni oppositore, vero o presunto, provocando la morte di migliaia di innocenti. Il suo principato si concluse nel 41 d.C. quando fu ucciso da una congiura ordita da senatori, cavalieri e pretoriani.

Claudio e il ritorno alla normalità

La scelta del nuovo imperatore fu orientata dai pretoriani, che, grazie alla loro forza militare e al ruolo determinante che avevano svolto nella congiura contro Caligola, avevano acquisito grande influenza negli affari di Stato. Per evitare che l’impero cadesse nuovamente nelle mani di un despota dissennato, essi scelsero una figura moderata e dotata di notevole spessore culturale: Claudio (41-54 d.C.), zio di Caligola e unico maschio adulto della dinastia Giulio-Claudia rimasto indenne agli intrighi di corte. Egli non era un uomo politico (e forse proprio per questo era sopravvissuto agli anni travagliati del principato di Caligola), ma un erudito e un intellettuale. Dotato di salute cagionevole, si era mantenuto lontano dai luoghi del potere.
Pur non avendo esperienza nell’amministrazione dello Stato, Claudio riuscì a gestire l’impero in modo efficace e promosse la realizzazione di grandi opere pubbliche, come la costruzione del nuovo porto di Ostia, il prosciugamento delle paludi presso il lago del Fucino (Abruzzo) e l’edificazione dell’acquedotto Claudio.
Le risorse economiche necessarie per sovvenzionare questi lavori furono ottenute dal risanamento delle finanze statali, dopo le spese incontrollate degli anni di Caligola. Claudio consolidò inoltre l’apparato burocratico dello Stato, elevando al rango di funzionari imperiali numerosi suoi liberti.
Riprendendo una politica di espansionismo territoriale, Claudio conquistò la Britannia, la Tracia e la Mauritania (regione dell’Africa settentrionale), e consolidò il potere di Roma in Asia minore attraverso la riorganizzazione delle amministrazioni locali. Per rafforzare l’unità dell’impero, inoltre, estese la cittadinanza romana agli abitanti di alcune province, come la Gallia, che aveva assunto una crescente importanza dal punto di vista strategico ed economico.
La scelta di ammettere in senato anche cittadini originari delle province scatenò una dura opposizione da parte dei senatori romani, timorosi di perdere i propri privilegi. Claudio reagì con una feroce repressione del dissenso, ma, in questo clima di grave tensione civile, fu oggetto di una congiura ordita dalla sua prima moglie, Messalina, una donna ambiziosa e dissoluta.
Scoperto l’intrigo, Claudio non esitò a condannarla a morte e sposò Agrippina Minore, sua nipote. Fu proprio Agrippina a convincere Claudio a nominare come successore Nerone, nato dal suo precedente matrimonio.

  › pagina 26   

Il dispotismo di Nerone

Quando Claudio fu avvelenato, nel 54 d.C., probabilmente per una congiura ordita da Agrippina stessa, a soli 17 anni Nerone (54-68 d.C.) ereditò la guida dell’impero. L’ascesa al potere di Nerone non era malvista dai senatori, che vedevano nel giovane imperatore e nei suoi consiglieri – il prefetto del pretorio Afranio Burro e il filosofo stoico Lucio Anneo Seneca, importante intellettuale del tempo e suo precettore – una garanzia per il rispetto delle prerogative del senato e delle altre magistrature.
La prima parte del regno di Nerone fu in effetti influenzata dall’equilibrio di Burro e Seneca; ben presto, però, come era già accaduto con Caligola, la moderazione lasciò il posto a un regime autoritario. Nerone assunse un atteggiamento da sovrano orientale e impose la venerazione della sua persona. Dopo aver fatto eliminare la sua stessa madre, Agrippina, che aveva continuato a intessere intrighi anche dopo l’ascesa al trono del figlio, egli mise da parte anche i suoi migliori collaboratori. Seneca si ritirò a vita privata ma, denunciato come complice di una congiura ordita dalla famiglia dei Pisoni nel 65 d.C., fu costretto a suicidarsi. Negli stessi anni caddero vittime di Nerone anche la prima e la seconda moglie, Ottavia e Poppea. Nerone fu addirittura sospettato di aver provocato il gravissimo incendio di Roma del 64 d.C., scoppiato probabilmente per motivi accidentali, ma attribuito dalla propaganda imperiale ai cristiani, che in questi anni conobbero le prime persecuzioni. Nerone sopravvisse a numerose congiure, reagendo con feroci repressioni eseguite dal nuovo e potente prefetto del pretorio, Tigellino. Accanto a questa politica di terrore, però, egli seppe anche esercitare grande fascino su ampi strati della popolazione. Per compiacere le masse proletarie di Roma venivano organizzati giochi circensi, feste pubbliche gratuite e spettacoli teatrali, nei quali Nerone stesso si esibiva come attore protagonista o atleta.
Questi atteggiamenti spregiudicati ed esibizionisti non erano solo uno strumento di propaganda; Nerone nutriva una sincera ammirazione per le arti ed era un estimatore della cultura ellenica (durante il suo regno garantì infatti numerosi privilegi alla provincia greca). Nondimeno, le sue abitudini e i suoi costumi lo resero sempre più inviso ai senatori. La sua politica dissennata, inoltre, provocò un grave dissesto economico delle finanze statali, al quale egli cercò di porre rimedio confiscando i beni degli avversari e aumentando i tributi alle province. Queste iniziative gli procurarono però anche il risentimento dei cittadini italici e dei legionari. Il consenso di Nerone negli ambienti dell’esercito, del resto, era venuto meno quando egli aveva costretto al suicidio Corbulone, suo valente generale, nel 67 d.C. Autore di vittorie militari in Oriente, dove aveva sconfitto i Parti e imposto il controllo di Roma sull’Armenia, Corbulone era stato eliminato proprio perché il suo successo personale era ritenuto pericoloso per il potere dell’imperatore. Il clima di tensione si concretizzò in numerose rivolte, come quelle scoppiate in Britannia (61 d.C.) e a Gerusalemme (67 d.C.). Nel 68 d.C. si ribellarono anche Servio Sulpicio Galba, al comando delle legioni romane in Spagna, e Caio Giulio Vindice, che guidava l’esercito in Gallia. Privo del sostegno dell’esercito, Nerone si rese conto di non avere più via di scampo e si suicidò. Con la morte del suo ultimo esponente, si estingueva la dinastia Giulio-Claudia.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quale criterio di successione si affermò con l’imperatore Augusto?
  • Quali politiche furono promosse da Claudio?
  • Quali caratteristiche accomunarono il regno di Caligola e quello di Nerone?
  • Quali circostanze portarono alla caduta di Nerone?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille