La nascita dell’impero islamico

8.1 GLI ARABI E LA CIVILTÀ ISLAMICA

La nascita dell’impero islamico

L’affermazione della religione islamica trasformò la società araba e ne rafforzò l’unità. I legami sociali un tempo dominati dai conflitti fra tribù vennero rinsaldati dagli ideali di solidarietà e fratellanza contenuti nel Corano. Tale mutamento si rivelò una delle più importanti premesse per la costruzione di un grande impero. La religione fornì infatti la motivazione ideologica e, allo stesso tempo, la legittimazione dell’espansione territoriale che vide protagonisti gli Arabi tra il VII e l’VIII secolo. Nella sua storia ormai millenaria, questa è considerata l’epoca d’oro della civiltà islamica, modello ineguagliato per tutte le epoche successive.

L’istituzione del califfato

Alla morte di Maometto, nel 632, si pose il problema di chi avrebbe guidato politicamente e spiritualmente gli Arabi, finalmente riuniti in una grande confederazione. L’aristocrazia mercantile della Mecca sostenne che il potere dovesse essere trasmesso per via ereditaria, e indicò come successore di Maometto il suo genero Alì, marito della figlia Fatima. Questa soluzione fu però avversata dai discepoli che erano stati più vicini a Maometto, i quali proponevano che il successore fosse scelto mediante elezione tra i suoi più autorevoli e fedeli compagni. Quest’ultima posizione prevalse e nello stesso anno della morte del profeta fu eletto il primo califfo (dall’arabo khalifa, “successore”), carica che assommava in sé le prerogative di capo tanto politico quanto religioso.

L’espansione araba

Tra il 632 e il 661 si succedettero quattro califfi: Abu Bakr, Omar, Othman e lo stesso genero di Maometto, Alì, che morì assassinato nel 661. In questo periodo gli Arabi conquistarono vasti territori – tra cui l’Egitto, la Mesopotamia, la Persia, la Palestina e la Siria – strappandoli all’impero bizantino e a quello persiano, che fu travolto dall’espansione araba e crollò definitivamente nel 652. Tra il 632 e il 645 gli Arabi conquistarono anche le coste settentrionali dell’Africa, fino alla Libia ( ATLANTE, pp. 16-17).
Nel 661, alla morte di Alì, si impose ai vertici della società islamica la dinastia degli Omàyyadi, appartenenti all’aristocrazia mercantile; essi scelsero come capitale Damasco, in Siria. Con gli Omayyadi il califfato cessò di essere elettivo e diventò dinastico.
Gli Omayyadi diedero un nuovo impulso all’espansione verso occidente: tra il 661 e il 750 gli Arabi conquistarono anche il resto dell’Africa settentrionale e la Spagna, occupando i territori dei Bizantini e dei Visigoti. Da questi avamposti tentarono di penetrare anche in Europa centrale, ma furono fermati dai Franchi sui Pirenei, nella battaglia di Poitiers (732 o 733).
Gli Omayyadi ottennero grandi successi anche in Oriente, conquistando vasti territori fino al fiume Indo. L’unica vera resistenza alla loro espansione fu rappresentata dall’impero bizantino, che, per quanto indebolito e minacciato nel cuore stesso dei suoi possedimenti – la capitale Costantinopoli fu assediata senza successo prima nel 674 e poi nel 717 –, riuscì a resistere alla pressione araba, sbarrando il passo all’invasione islamica dell’Europa orientale.

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Il successo dell’islam

Gli storici hanno discusso sulle cause dell’espansionismo arabo e sulle ragioni del successo che accompagnò la diffusione dell’islam in così vasti territori. Le conquiste territoriali rappresentarono probabilmente una valvola di sfogo per tensioni che avrebbero altrimenti indebolito il califfato: l’annessione di terre straniere impegnò infatti le bellicose tribù di beduini verso l’esterno, neutralizzando l’insorgere di conflitti intestini alla società araba.
Alla base dell’espansionismo arabo ci furono comunque potenti motivazioni religiose, in primo luogo il desiderio di diffondere l’islam oltre la penisola Arabica e di convertire i popoli non musulmani alla “vera” fede – come lo stesso Mao­metto aveva esortato a fare in punto di morte – attraverso il jihad, la “guerra santa” da combattere contro gli infedeli ( FOCUS). L’ideale del jihad determinava tra l’altro la straordinaria combattività dei guerrieri arabi, ai quali erano promesse le gioie del paradiso se fossero morti per diffondere il culto di Allah. Le difficili condizioni di vita dei beduini rendevano preferibile una morte gloriosa, con la prospettiva di una felice esistenza ultraterrena, alla fatica quotidiana nel deserto; secondo questa concezione i guerrieri islamici non avevano nulla da perdere nel rischiare la vita in battaglia, e quindi combattevano con un entusiasmo che era invece assente negli eserciti nemici, composti prevalentemente da mercenari.
Le vittorie degli Arabi furono senza dubbio favorite anche dalla debolezza degli avversari, ma ancor più importante nel determinare il successo islamico fu l’atteggiamento che gli Arabi tennero nei confronti delle popolazioni sottomesse. I sudditi dei grandi imperi erano ridotti in miseria dal peso dell’imposizione fiscale, necessaria per mantenere gli eserciti e gli apparati burocratici e per finanziare le continue guerre di frontiera. Di conseguenza, le popolazioni dei territori conquistati non opposero praticamente alcuna resistenza all’arrivo degli invasori, sperando al contrario che i musulmani potessero alleviare la loro condizione di sudditanza. Gran parte della popolazione contadina e dei ceti meno abbienti dei territori occupati si convertì rapidamente.
L’adesione all’islam era del resto favorita dalla relativa semplicità della nuova religione, che non prevedeva dogmi né intermediari tra Dio e i fedeli.
Gli Arabi, dal canto loro, concessero ampie libertà ai popoli sottomessi. I cristiani e gli ebrei, per esempio, poterono continuare a professare la propria religione in cambio del pagamento di una speciale tassa, dalla quale erano invece esentati coloro che si convertivano all’islam. Senza queste concessioni, difficilmente gli Arabi sarebbero riusciti a tenere sotto controllo tutti i territori che avevano saputo conquistare.

FOCUS • LE PAROLE NEL TEMPO
JIHAD

È un termine arabo che significa letteralmente “sforzo”, “impegno”, e assume, secondo il contesto, due diverse accezioni: il cosiddetto grande jihad (o jihad interiore) è lo sforzo personale di ogni musulmano volto al miglioramento di se stesso; il piccolo jihad (o jihad esteriore) indica invece la diffusione delle fede islamica presso i cosiddetti “infedeli”, seguaci di altre religioni, anche con l’uso delle armi. Quest’ultima accezione ha avuto un grande peso nei trattati di diritto islamici nel periodo della grande espansione araba nel Mediterraneo. Vi fa riferimento la più diffusa traduzione del termine, “guerra santa”, che rende tuttavia solo una parte del concetto, ignorando invece del tutto la componente “interiore” e personale del jihad.
Nel mondo attuale, l’espressione “guerra santa” è tornata di uso comune per definire le azioni dei gruppi fondamentalisti islamici, che usano il jihad come giustificazione per gli attentati terroristici contro la popolazione civile. In realtà, l’ideologia di questi gruppi ha poco a che fare con l’insegnamento del Corano, che tra l’altro vieta chiaramente, anche in caso di guerra, di uccidere donne, bambini, anziani e malati. 

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Le gerarchie sociali

L’atteggiamento tollerante nei confronti delle popolazioni sottomesse non si esplicò soltanto in ambito religioso. Gli occupanti evitarono anche di espropriare i possidenti locali, lasciando loro le proprietà terriere in cambio del versamento di un tributo.
La gerarchia sociale vigente nelle terre conquistate fu modellata in buona parte sull’identità etnica della popolazione. Al vertice della società vi erano i funzionari di governo (ufficiali dell’esercito, amministratori statali, giudici) di origine araba. Artigiani e commercianti formavano la classe intermedia, mentre il grosso della popolazione era costituito dai contadini di etnia locale. Alla base della piramide sociale vi erano infine i nullatenenti, che sopravvivevano grazie a lavori occasionali e alle sovvenzioni pubbliche, e gli schiavi, prigionieri di guerra o individui rapiti sulle coste mediterranee dai pirati arabi. Gli schiavi costituirono a lungo un bacino di manodopera gratuita molto importante per l’economia dell’impero.
I diritti politici (tra cui la possibilità di entrare a far parte dell’amministrazione statale) erano riservati agli Arabi, mentre i musulmani di origine non araba godevano soltanto dei diritti civili. Totalmente privi di diritti erano invece gli schiavi e i sudditi non convertiti.



L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE DELLE TERRE CONQUISTATE


I primi conflitti interni

Il grande successo dell’espansione araba non impedì l’insorgere delle prime difficoltà. Le divergenze sulla successione a Maometto e la morte violenta di Alì avevano infatti posto le basi per un conflitto di potere al vertice della società araba, che ebbe importanti conseguenze anche sull’unità religiosa della comunità islamica.
Alla morte di Alì, infatti, i suoi sostenitori – che avrebbero poi formato il gruppo dissidente degli sciiti – accusarono gli Omayyadi di averlo fatto uccidere per impadronirsi del potere. Essi sostennero inoltre che la guida politica e religiosa dell’islam dovesse necessariamente appartenere ai diretti discendenti del profeta. La tendenza sciita fu fatta propria anche da gran parte della popolazione persiana, convertitasi all’islam in seguito alla caduta dell’impero sasanide.
A favore della dinastia regnante si schierarono invece i sunniti, che costituivano la maggioranza della popolazione araba. Costoro ritenevano che la scelta del califfo dovesse avvenire per elezione, oppure per trasmissione ereditaria del titolo all’interno di una famiglia che godesse però dell’approvazione dell’intera comunità.
A questa divergenza tra sciiti e sunniti si aggiungevano inoltre disaccordi di tipo dottrinale sulle fonti principali da cui trarre i precetti fondamentali della religione islamica ( FOCUS).

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FOCUS • IERIOGGI
SCIITI E SUNNITI

Il termine “sciita” deriva dall’arabo shi’a, “partito”, “fazione”, e indicò inizialmente i sostenitori di Alì, genero di Maometto, che essi ritenevano l’unico legittimo successore del Profeta. Secondo gli sciiti, dunque, i primi tre califfi furono degli usurpatori, perché il titolo di califfo sarebbe spettato soltanto ai discendenti di Alì e della moglie Fatima (figlia di Maometto).
Agli sciiti si contrappongono i sunniti, che rappresentano l’ortodossia dell’islam e costituiscono ancora oggi la stragrande maggioranza dei suoi fedeli. Il loro nome deriva da sunnah, in arabo “norma”, “regola”, ossia l’insieme degli insegnamenti morali e dottrinali tratti dalla vita di Maometto ed elaborati dai teologi nei primi secoli di vita dell’islam, che per i sunniti costituiscono una fonte di norme e precetti da affiancarsi a quelli contenuti nel Corano.
Sciiti e sunniti si distinguono, oltre che per ragioni “politiche” – la successione a Maometto – anche sul piano religioso, appunto in merito alla sunnah. Anche gli sciiti seguono la sunnah, ma mentre per i sunniti essa è riferita solo alla vita del Profeta, gli sciiti prestano obbedienza anche alle norme e ai comportamenti dei suoi legittimi discendenti. In altre parole, per i sunniti l’intermediazione tra Allah e gli uomini si esaurisce con Maometto; per gli sciiti continua con Alì e gli altri califfi legittimi. Da questa differenza filosofica e religiosa deriva anche una diversa interpretazione della figura dell’imam, che per i sunniti ha solo il valore di capo politico, mentre per gli sciiti ha un’importanza religiosa particolare, essendo appunto intermediario di Allah (sebbene non alla stessa stregua di Mao­metto).
Come ai tempi dell’impero islamico, la divisione tra sciiti e sunniti genera ancora attriti per questioni religiose e politiche. Gli sciiti rappresentano circa il 10% della popolazione musulmana del mondo e sono presenti soprattutto in Iran, dove costituiscono la maggioranza, e in alcuni Paesi del Medio Oriente come l’Iraq e la Siria.

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La divisione dell’impero islamico

I contrasti interni all’impero furono tra l’altro aggravati dalle rivendicazioni dei sudditi stranieri convertiti all’islam, i mawali, che sulla base dei princìpi di uguaglianza espressi nel Corano pretendevano fossero loro riconosciuti gli stessi diritti riservati ai musulmani. Nel 750 le tensioni tra le fazioni sciita e sunnita culminarono in una violenta rivolta che rovesciò la dinastia omayyade e portò al potere la dinastia degli Abbàsidi, destinata a diventare la più duratura del mondo medievale islamico.
Il potere sull’impero islamico, fino ad allora riservato agli Arabi, passò nelle mani di musulmani di origine persiana, che, vantando una lontana parentela con Maometto (il loro capostipite, al-Abbas, era infatti lo zio di Maometto), soddisfacevano le richieste degli sciiti circa la discendenza dei califfi dal Profeta. I nuovi regnanti spostarono la capitale da Damasco a Baghdad, fondata nel 762 sulle rive del fiume Tigri, in Mesopotamia.
Il periodo abbaside fu caratterizzato dalla fine dell’unità politica dei musulmani. I contrasti interni determinarono infatti un indebolimento del potere centrale, e nelle regioni periferiche, come il Marocco, la Tunisia, la Siria e l’Egitto, si affermarono vari califfati autonomi, mentre la Spagna continuò a essere dominata dai discendenti della dinastia omayyade ( ATLANTE, pp. 18-19). I califfati che si affacciavano sul Mediterraneo divennero i padroni delle rotte marittime e alimentarono una temibile pirateria, le cui incursioni costituirono una costante minaccia per le coste dell’Europa meridionale. In poco più di un secolo i pastori nomadi della penisola Arabica si erano trasformati in abili marinai, capaci di dominare l’oceano Indiano e il mar Mediterraneo.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali territori vennero sottomessi durante l’espansione islamica?
  • Quali fattori spiegano il successo dell’espansione araba e l’affermazione della religione islamica nei territori conquistati?
  • Quali furono le ragioni delle divisioni interne al mondo musulmano e della divisione dell’impero? 

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille