7.3 I LONGOBARDI IN ITALIA

IL RACCONTO DELLA STORIA

La conquista della penisola

I concetti chiave

  • L’Italia divisa tra Longobardi e Bizantini
  • L’editto di Rotari
  • L’organizzazione sociale dei Longobardi
  • L’arrivo dei Franchi e la fine del regno longobardo in Italia
  • Il ruolo della Chiesa e la diffusione del monachesimo

La situazione economica e finanziaria dell’impero d’Oriente, messa a dura prova dalle spese sostenute per la guerra di riconquista dell’Occidente, fu aggravata dalla diffusione di gravi epidemie di peste, che coinvolsero Costantinopoli verso la metà del VI secolo e, attraverso gli scambi commerciali, colpirono progressivamente tutte le regioni che si affacciavano sul Mediterraneo.
La debolezza dell’impero ebbe conseguenze anche in Italia, dove i Bizantini non furono in grado di arginare la penetrazione di una popolazione di origine germanica giunta da est, i Longobardi.

L’arrivo dei Longobardi

Di lontana origine scandinava, i Longobardi si erano stanziati nei pressi dell’attuale città di Amburgo forse nel V secolo d.C. Qui si era formata la loro identità di popolo germanico, anche in conseguenza dell’adozione del culto magico-guerriero di Wotan, il dio “dalla lunga barba”, da cui deriva il nome Longobardi (i “lungabarba”). In seguito si erano stabiliti in Pannonia, da dove provenivano quando giunsero in Italia.
I Longobardi erano tradizionalmente organizzati in fare, gruppi di famiglie nomadi indipendenti e guidate dalla nobiltà guerriera dei duchi (come vennero chiamati con il termine latino dux, “comandante”). A differenza degli Ostrogoti, non avevano avuto contatti con la civiltà romana nei secoli precedenti, ma tra il V e il VI secolo avevano stretto un’alleanza con l’impero d’Oriente, garantendosi il controllo dei territori danubiani in cui si erano insediati. Nella seconda metà del VI secolo, tuttavia, l’avanzata degli Àvari, una popolazione nomade proveniente dall’Asia centrale, li costrinse a spostarsi verso ovest. È probabile che la loro migrazione fosse stata sollecitata dai Bizantini stessi, che avevano interesse a spingere i Longobardi verso l’Europa centrale nella speranza di frenare l’espansione territoriale dei Franchi.
Nella loro avanzata, i Longobardi varcarono però le Alpi orientali e, nel 569, penetrarono in Italia sotto la guida del re Alboino. Occupate le regioni settentrionali e conquistata, dopo un lungo assedio, la città di Pavia (572), essi estesero i propri domini anche in buona parte dell’Italia centrale e meridionale, che fu suddivisa in ducati affidati all’autonomia dei vari duchi. Il dominio longobardo in Italia fu a lungo caratterizzato, infatti, dalla frammentazione politica. Dopo la morte del successore di Alboino, Clefi, iniziò addirittura un periodo di anarchia (574-584), durante il quale i vari duchi, che guidavano la trentina di fare in cui era suddivisa la popolazione, acquisirono una totale indipendenza.

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La frammentazione del territorio

Il periodo dell’anarchia terminò nel 584 d.C., con la nomina del re Autari (584-590 d.C.). Tuttavia, sebbene i duchi riconoscessero il sovrano come loro guida, il re rimaneva sottoposto al controllo della nobiltà guerriera e alle decisioni della sua assemblea. Alla fine del VI secolo, inoltre, la situazione politica della penisola continuava a essere caratterizzata dalla frammentazione territoriale: le città costiere restavano in mano ai Bizantini, mentre le zone dell’entroterra divennero per lo più possedimenti longobardi. I domini degli uni erano interrotti da quelli degli altri: i contatti diretti tra la capitale Pavia e i ducati dell’Italia centromeridionale erano impediti dai territori bizantini che dall’esarcato di Ravenna e dalla Pentapoli (cioè l’area situata tra le attuali regioni della Romagna e delle Marche e comprendente le città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) si estendevano fino al Lazio; allo stesso modo i ducati longobardi di Spoleto e di Benevento si frapponevano tra l’esarcato e le regioni meridionali ancora controllate dall’impero romano d’Oriente ( CARTA).

La conquista dei territori bizantini

La mancanza di continuità territoriale e la debolezza del governo centrale esponevano i Longobardi sia alla minaccia dei Bizantini (che grazie al controllo delle coste potevano garantirsi gli approvvigionamenti via mare), sia a quella dei Franchi, che dalla Gallia meridionale miravano a espandersi in Italia. La necessità di fronteggiare diversi nemici spinse dunque i duchi a dare vita a un organismo statale più solido, guidato da una monarchia stabile che pose la propria sede a Pavia.
Con il re Agilulfo (590-616 d.C.) iniziò una nuova fase di espansione territoriale, che proseguì anche con i suoi successori. Sotto la guida del sovrano Rotari (636-652 d.C.), in particolare, i Longobardi strapparono ai Bizantini i territori oggi corrispondenti all’Emilia, alla Liguria e al Veneto. All’impero d’Oriente restò in pratica, nell’Italia settentrionale, solo Ravenna e il controllo dell’area della laguna adriatica in cui sarebbe sorta in seguito la città di Venezia.
Nello stesso periodo i duchi longobardi dell’Italia meridionale conquistarono il territorio dell’attuale Salerno, mentre nel 670 sottomisero anche Taranto e Brindisi. Se si eccettuano le aree dell’Italia centrale e la Calabria, alla fine del VII secolo il Sud della penisola era ormai quasi completamente sottomesso al dominio dei Longobardi.

FOCUS • LE PAROLE NEL TEMPO
LOMBARDIA

Il nome della più popolosa regione dell’Italia settentrionale deriva dalla denominazione latina medievale Langobardia, con cui a partire dal VI-VII secolo fu designata dai Bizantini dell’esarcato l’area geografica in cui i Longobardi si erano insediati. In quel tempo la Langobardia maior si estendeva dalla pianura Padana all’attuale Toscana, mentre i ducati di Spoleto e Benevento erano chiamati Langobardia minor. In realtà, se il termine “lombardi” indicava già nell’alto Medioevo gli abitanti dell’area compresa tra il Ticino, l’Adda, il Po e, a nord, i laghi e la Valtellina, in senso più lato continuò a indicare tutti gli abitanti dell’Italia settentrionale o addirittura della penisola Italica. Ancora in pieno Rinascimento, nel XV secolo, i mercanti italiani che si recavano nelle Fiandre per i loro traffici erano chiamati “lombardi” indipendentemente dalla loro provenienza. 

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Il dominio longobardo

La presenza longobarda in Italia ebbe caratteristiche simili a quella dei Vandali in Africa, dove non si era realizzata alcuna forma di collaborazione tra invasori e popolazione locale. Al contrario degli Ostrogoti, che almeno nei primi anni avevano dato vita a un regno caratterizzato da una relativa coesione sociale, i Longobardi, di fede ariana, instaurarono nella penisola Italica un dominio autoritario, sottomettendo duramente la popolazione di origine romana e di religione cattolica.
Dal punto di vista della struttura sociale ed economica si creò dunque una netta cesura con la fase precedente. La maggioranza della popolazione locale fu costretta a lavorare nelle campagne per mantenere la nobiltà dei guerrieri longobardi, mentre i latifondisti di origine romana che avevano fatto parte dell’amministrazione del regno ostrogoto si videro confiscate le loro proprietà terriere o furono addirittura eliminati fisicamente. Per questo motivo i Longobardi furono considerati dagli abitanti della penisola invasori crudeli e spietati, che devastavano le campagne, incendiavano i luoghi di culto e riducevano in schiavitù la popolazione.
Numerose chiese e monasteri, come quello di Montecassino, fondato da san Benedetto nel 529 d.C., furono in effetti distrutti dalla loro furia devastatrice.

Il diritto e l’editto di Rotari

L’assoggettamento della penisola implicò anche la cancellazione del diritto romano e la sua sostituzione con le norme tradizionali in uso presso le popolazioni germaniche. Le leggi longobarde, ispirate a princìpi giuridici arcaici, erano tramandate oralmente; le prime leggi scritte vennero codificate dai Longobardi solo nel 643 d.C., con l’editto di Rotari.
L’editto, emanato per rendere più efficiente l’amministrazione della giustizia nel regno, era in realtà una semplice trascrizione in latino delle consuetudini non scritte in uso da secoli. Per questo motivo esso rappresenta una fonte storica di grande valore, che fornisce molte informazioni sulla società, sui valori e sui costumi longobardi precedenti al contatto con il mondo romano. La codificazione delle norme contribuì comunque ad attenuare gli aspetti più primitivi dei costumi longobardi. La faida, per esempio, fu quasi completamente sostituita dal guidrigildo, che, come abbiamo visto, consisteva nel risarcimento economico in riparazione di un danno arrecato a un altro individuo ( LABORATORIO DELLE FONTI).
La stesura delle prime leggi rappresentò dunque un elemento di progresso civile per la società longobarda, ma non cancellò le forti disuguaglianze che la caratterizzavano. I privilegi riservati alle classi più elevate sono per esempio riscontrabili nel fatto che il guidrigildo per i servi o per i contadini sottomessi a un padrone era inferiore rispetto a quello previsto per i nobili. Le norme contenute nell’editto, inoltre, non si applicavano indistintamente a tutta la popolazione.
Emanate per dirimere le controversie tra i Longobardi e tra questi ultimi e la popolazione preesistente di origine romana, esse non sostituirono le disposizioni previste dal diritto romano per regolare i rapporti che riguardavano esclusivamente i discendenti dei Romani.

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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

Il guidrigildo nell’editto di Rotari

L’editto di Rotari si componeva di 388 articoli in lingua latina, inframmezzata però da molte parole longobarde. Gli articoli seguenti disciplinano in particolare l’istituto del guidrigildo.

8. Se qualcuno avrà provocato una rissa durante una riunione o in qualunque assemblea, sia condannato a pagare al re un’ammenda di novecento soldi.
9. Se qualcuno avrà denunciato al re un uomo, accusandolo di aver tentato di ucciderlo, sia lecito all’accusato dimostrare la sua innocenza col giuramento e discolparsi. E se sarà risultato qualche elemento di sospetto e tale uomo è presente, gli sia lecito discolparsi del suo crimine […] combattendo in duello. E se sia provata la sua colpevolezza, sia giustiziato, ovvero paghi l’ammenda che al re sarà piaciuto stabilire. Ma se il crimine non sarà stato provato e al contrario si sarà dimostrato che l’accusa era falsa, l’accusatore che non sarà riuscito a provare l’accusa paghi il suo guidrigildo, per metà al re e per metà a colui che era stato accusato del delitto.
11. Se degli uomini liberi avranno tramato la morte di qualcuno senza il consenso del re, quand’anche poi non lo uccidano, paghino venti soldi ciascuno come sopra; ma se sarà stato ucciso, allora l’omicida paghi il risarcimento secondo il valore del morto, cioè secondo il guidrigildo.
18. Se qualcuno, per vendicare un affronto subito, alzerà la mano armata sull’avversario, o entrerà in un centro abitato con un gruppo di armigeri fino a quattro, il loro capo venga messo a morte per l’illecito arbitrio, oppure paghi un’ammenda di novecento soldi, per metà al re e per metà alla vittima.
43. Per aver strappato a un altro una mano, un piede, un occhio, il naso, un’ammenda di 100 soldi; ma solo di 63 se la mano resta pendente. Per aver strappato il pollice, 50 soldi; ma solo 30 se è rimasto attaccato. Per aver strappato l’indice, 35 soldi; un altro dito, 30 soldi.
73. Per tutte le soprascritte lesioni e ferite tra uomini liberi, abbiamo stabilito dei risarcimenti superiori a quelli dei nostri antenati, perché si ponga fine alla faida, cioè all’inimicizia e, dopo aver ricevuto il soprascritto risarcimento, non si chieda di più né venga tenuto rancore, ma la questione sia considerata chiusa e la concordia più duratura.
” 


Editto di Rotari, in G. L. Barni, I Longobardi in Italia, De Agostini, Novara 1975.

Una pagina miniata dell’editto di Rotari.


  • Su che tipo di risarcimento si basava il guidrigildo? Quali erano di conseguenza le classi più favorite e quali quelle più penalizzate?
  • A chi spettava la decisione sulla vita e sulla morte delle persone?

L’organizzazione sociale

Il re, che si trovava al vertice della società longobarda, era proprietario della maggior parte delle terre. 
Egli affidava l’amministrazione dei propri possedimenti ai suoi funzionari, i gastaldi, incaricati di controllare l’operato dei duchi, che, come abbiamo visto, esercitavano il proprio potere in autonomia dal potere centrale.
La società longobarda era caratterizzata da una divisione in classi che ricalcava in parte la sua composizione etnica.

  • La nobiltà guerriera di origine germanica era costituita dagli arimanni, “uomini liberi” e proprietari terrieri dotati di pieni diritti; essi partecipavano alle assemblee politiche convocate dal re per prendere decisioni sulle guerre da intraprendere o sugli accordi diplomatici da stipulare.
  • A un gradino più basso della scala sociale si trovavano gli aldi, giuridicamente liberi ma di fatto dipendenti dai nobili; erano contadini poveri o piccoli allevatori che, in cambio della protezione armata offerta dagli arimanni, cedevano loro parte dei raccolti agricoli o dei prodotti ottenuti dall’allevamento.
  • Al livello più basso della gerarchia sociale si trovavano infine i discendenti della popolazione italica sottomessa, impiegati per lo più come servi nei possedimenti terrieri dei nobili longobardi.

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L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE LONGOBARDA


L’amministrazione dei poderi

La solidità del regno, almeno nei primi decenni, fu messa a dura prova dai gravi problemi economici e sociali che affliggevano la penisola.
Lo stato di guerra continua, i rapporti conflittuali tra conquistatori e conquistati e le confische delle proprietà terriere prolungarono infatti la crisi economica che, eredità dei disastri della guerra greco-gotica, aveva provocato lo spopolamento delle città e un vistoso calo della produzione agricola. Nel corso del VII e dell’VIII secolo, tuttavia, anche la vita economica conobbe segnali di ripresa.
Come abbiamo visto, dopo la fondazione del regno la nobiltà germanica, in origine dedita pressoché esclusivamente all’esercizio delle armi, si trasformò in un ceto di proprietari terrieri e agricoltori, e la società longobarda divenne essenzialmente contadina, come testimoniano molte norme dello stesso editto di Rotari. Tra le leggi emanate dall’editto del 643, in particolare, vi erano diverse disposizioni relative alla gestione delle proprietà rurali, dalle quali emerge un modello di sfruttamento del territorio che, erede del latifondo romano e della villa rustica di epoca tardoantica, si sarebbe affermato definitivamente nei secoli successivi (come vedremo nell’Unità 9). Come le ville rustiche romane, le grandi proprietà terriere longobarde erano quasi del tutto autosufficienti dal punto di vista economico.
All’interno dei possedimenti, i campi migliori erano riservati al padrone; nella sua porzione di terra erano presenti anche stalle, magazzini, mulini per la produzione della farina o frantoi per la spremitura delle olive, oltre a forni e a officine artigianali. All’interno delle ville rurali si svolgevano infatti piccole attività manifatturiere, come la produzione di attrezzi agricoli e di tessuti di lana, lino e canapa.
La parte restante della proprietà, di dimensioni più ridotte, era invece riservata a uno o più contadini, i massari (dal latino mansus, termine che indicava l’appezzamento coltivato da una famiglia contadina). I massari vivevano in condizioni non molto dissimili da quelle dei servi, sostentandosi con i raccolti del loro podere ma lavorando anche i campi del padrone per conto di quest’ultimo.
Molto importanti, nell’economia agricola di questo periodo, erano anche le risorse rappresentate dai boschi e dai pascoli liberi che circondavano le proprietà terriere. Qui i contadini potevano cogliere i frutti selvatici e le erbe e far pascolare gli animali, senza corrispondere al padrone alcun tributo. Dai boschi si ricavava inoltre la legna utilizzata come combustibile per il riscaldamento e come materiale per la costruzione delle abitazioni e la fabbricazione di utensili e strumenti di lavoro.
Alcuni articoli dell’editto di Rotari prevedevano pene molto severe contro il danneggiamento dei boschi e norme per la salvaguardia degli animali selvatici, a testimonianza dell’importanza che i Longobardi riservavano all’economia silvo-pastorale.

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Le città, l’artigianato e i commerci

Sebbene fondamentalmente agricola, la vita economica del regno longobardo non era limitata esclusivamente al sistema chiuso delle proprietà rurali. Nonostante la crisi e lo spopolamento che aveva colpito le città della penisola dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente e dopo la guerra greco-gotica, la civiltà urbana non cessò mai di esistere del tutto nel territorio che ne era stato il cuore, l’Italia.
I duchi longobardi avevano stabilito nelle città la loro sede e, se le città dipendevano dalle campagne per gli approvvigionamenti alimentari, per molte attività, come per esempio quelle di tipo artigianale, era vero il contrario: erano infatti ancora le campagne a dover dipendere dalla produzione di manufatti tipica dei contesti urbani. Le botteghe e i laboratori di fabbri, falegnami, vasai e altri artigiani erano gestiti soprattutto dalla popolazione di origine romana, ma con il tempo si sviluppò anche un artigianato a opera dei Longobardi, i quali erano esperti soprattutto nella lavorazione del legno e dei metalli (anche per produzioni di grande valore artistico).
I commerci erano invece limitati ai mercati in cui si scambiavano i prodotti locali. I traffici di lunga distanza vennero completamente meno in questo periodo, nell’ambito di un contesto sociale e produttivo assai lontano dai fasti dell’economia che la penisola aveva conosciuto ai tempi della Roma imperiale.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Che tipo di dominio imposero i Longobardi sulla penisola Italica?
  • Che cos’è l’editto di Rotari? Quali novità introdusse in ambito giuridico?
  • Quale gerarchia sociale vigeva all’interno del regno longobardo?
  • Come era organizzata l’economia rurale?

Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Il nuovo Storia&Geo - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille