4.3 - La popolazione italiana e la sua distribuzione

4 L’ITALIA

4.3 La popolazione italiana e la sua distribuzione

Attualmente la popolazione italiana, cioè l’insieme degli individui che vivono stabilmente nel territorio della Repubblica italiana, conta quasi 61 milioni di persone. Si tratta di un numero ragguardevole per una superficie relativamente limitata come quella italiana, infatti la densità media della popolazione è pari a circa 201 ab/km2, quasi il triplo della densità abitativa media dell’Europa, che è di circa 68 ab/km2. Come spesso accade, però, la distribuzione della popolazione italiana non è uniforme, quindi alcune aree sono più popolate di altre. Sono densamente abitate ( ATLANTE, p. 40) le pianure, tra cui la pianura Padana con l’omonima conurbazione, le coste, come la fascia costiera della Liguria, e le aree che circondano i principali capoluoghi di regione (come Roma, Firenze, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari). Al contrario, nelle zone occupate dai rilievi montuosi, e alle quote più elevate delle dorsali delle Alpi e degli Appennini, la densità di popolazione diminuisce sensibilmente. Per fare un confronto, la Campania, con le sue fertili pianure e il notevole sviluppo delle coste, è la regione più densamente abitata del Paese, con ben 429 ab/km2, mentre all’ultimo posto c’è la Valle d’Aosta, il cui territorio è prevalentemente montuoso, con appena 39 ab/km2 .

Le dinamiche demografiche in Italia 

Il numero e la composizione della popolazione italiana hanno subito notevoli cambiamenti negli ultimi due secoli, in modo analogo a quanto accaduto nello stesso periodo in altri Paesi dell’Europa centroccidentale. Durante il XIX secolo, in concomitanza con il processo di industrializzazione che in quel periodo iniziò ad affermarsi anche in Italia, la popolazione del Paese cominciò ad aumentare con tassi di crescita sempre maggiori. Come per il resto del continente, tale aumento si verificò grazie al miglioramento delle condizioni di vita e ai progressi nel campo della medicina.

Dopo che il tasso di crescita della popolazione italiana ebbe toccato il suo massimo verso la metà del XX secolo (alla fine della Seconda guerra mondiale), negli anni Sessanta dello stesso secolo iniziò una tendenza opposta, con un vistoso calo dell’incremento della popolazione dovuto alla diminuzione del tasso di natalità, che esprime il rapporto tra il numero di nascite e il numero di abitanti di un territorio e si indica solitamente con il numero di bambini nati in un anno ogni 1000 membri della popolazione. Questo fenomeno fu determinato dalla diffusione nella società di nuovi modelli di comportamento, in base ai quali le famiglie tradizionali, con prole numerosa, divennero sempre meno frequenti, per lasciare spazio, mediamente, a nuclei familiari con uno o due figli al massimo. Tale calo delle nascite è stato tuttavia accompagnato dalla contemporanea diminuzione del tasso di mortalità – analogo al tasso di natalità, si indica però con il numero di morti ogni 1000 abitanti, sempre nel periodo di un anno – e dall’aumento della speranza di vita media, cioè il numero di anni che una persona, alla nascita, può aspettarsi di vivere. La combinazione di questi tre fenomeni ha provocato un rapido invecchiamento della popolazione italiana, che è composta sempre di più da persone anziane e sempre meno da giovani ( focus). In Italia le principali indagini sulla demografia e le caratteristiche della popolazione italiana sono affidate all’Istituto nazionale di statistica ( focus). Secondo i rilevamenti di questo istituto, nel 2015 la speranza di vita media in Italia è stata di circa 82 anni (80,1 per gli uomini e 84,7 per le donne), uno dei dati più alti del mondo, che attesta l’elevata qualità della vita media in Italia. Nonostante questo dato positivo, il progressivo invecchiamento della popolazione è destinato a provocare problemi, sia economici (con una minoranza di giovani attivi nel mondo del lavoro costretti a mantenere una maggioranza di anziani ormai inabili per le attività produttive), sia sociali (con la previsione di una costante diminuzione della popolazione italiana complessiva). Nel 2015 il tasso di natalità della popolazione italiana è stato di 8, uno dei più bassi del mondo, mentre quello di mortalità è stato pari a 10,7. Questo significa che si tratta di un anno in cui sono morte più persone di quante sono nate, un fenomeno detto saldo naturale negativo. Di conseguenza la popolazione italiana sarebbe dovuta diminuire, ma in real­tà è in continuo aumento grazie all’arrivo di immigrati provenienti da altri Paesi.

FOCUS

Il censimento E l’ISTAT
Per misurare le dinamiche demografiche di una popolazione gli studiosi utilizzano i dati rilevati attraverso i censimenti, indagini condotte periodicamente sulla composizione e sulle caratteristiche della popolazione di un Paese. In Italia questo compito è affidato all’Istituto nazionale di statistica (Istat), che ogni dieci anni provvede a consegnare a tutte le famiglie italiane dei questionari, attraverso i quali vengono richieste informazioni personali su tutti i componenti dei vari nuclei familiari. Una volta elaborati a livello centrale, questi dati forniscono un quadro complessivo della popolazione italiana: confrontandolo con quelli dei decenni precedenti, si possono elaborare statistiche demografiche e previsioni sull’andamento della popolazione.

Fonte: Istat, Rilevazione sulla popolazione residente comunale per sesso, anno di nascita e stato civile;
Rilevazione sulla popolazione straniera residente per anno di nascita e sesso.
Piramide dell’età della popolazione italiana e straniera residente in Italia al 1° gennaio - Anno 2015 (valori assoluti).

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La lingua italiana e i dialetti 

Se la popolazione italiana è costituita da tutti coloro che risiedono in Italia, quello di “popolo italiano” è un concetto più sfuggente, che coincide in parte con quelli di “etnia” e “nazione”. Si tratta dell’insieme di tutte le persone che condividono certi tratti culturali, in particolare la stessa lingua madre. La lingua è dunque uno dei fattori fondamentali per l’identità di un popolo, quindi si possono definire italiani tutti coloro che hanno come lingua madre l’italiano. Non tutti coloro che risiedono in Italia però sono italiani, così come non tutti gli italiani risiedono in Italia. Gli abitanti del Canton Ticino, in Svizzera, possono essere definiti di nazionalità italiana, insieme alle piccole minoranze italiane presenti in Slovenia e Croazia, e soprattutto ai milioni di italiani, con i loro discendenti, che in passato sono migrati in altri Paesi e continenti. L’italiano, come abbiamo visto, è una lingua neolatina, così chiamata perché, insieme alle lingue di altri Paesi dell’Europa centromeridionale (come il francese, lo spagnolo, il portoghese, ma anche il rumeno), deriva dal latino. Dopo le invasioni germaniche, agli inizi del Medioevo, il latino continuò a essere utilizzato negli ambienti ecclesiastici e dalle persone dotte, ma nelle relazioni quotidiane subì notevoli trasformazioni, dando vita alle lingue volgari, cioè “popolari” (dal latino vulgus, “popolo”): pur derivando da un’identica radice comune, esse si differenziarono notevolmente tra una zona e l’altra della penisola, creando innumerevoli varianti regionali.

Furono queste le origini delle lingue dialettali che ancora oggi sono parlate nelle varie regioni, accanto alla lingua italiana ( carta).

Le minoranze linguistiche in Italia 

Nonostante l’italiano sia l’idioma più usato nel Paese, nonché la lingua ufficiale dello Stato italiano, esiste in Italia un nutrito numero di individui la cui lingua madre non è l’italiano, oppure che sono bilingui, ossia parlano indifferentemente l’italiano e un’altra lingua ( carta). A parte gli stranieri residenti in Italia, che parlano le lingue diffuse nel loro Paese di nascita, in diverse regioni esistono le cosiddette minoranze linguistiche, comunità che parlano lingue diverse dall’italiano ma che risiedono in Italia da decenni o addirittura da secoli; la loro presenza testimonia le complesse vicende legate alla formazione dello Stato italiano e ai movimenti di popoli e comunità in Europa durante il Medioevo e l’età moderna.

Le minoranze linguistiche più numerose presenti in Italia sono la comunità francofona (che parla francese) in Valle d’Aosta e quella germanofona (che parla tedesco) nella provincia autonoma di Bolzano. Queste due minoranze sono ufficialmente riconosciute e tutelate dalla Costituzione Italiana, che ha istituito nelle due aree il bilinguismo, cioè l’uso da parte della pubblica amministrazione di due lingue, l’italiano e la lingua parlata localmente. Nel Paese, però, esistono numerose altre minoranze linguistiche, con un numero inferiore di appartenenti. Nelle valli occidentali del Piemonte e della Valle d’Aosta, per esempio, ci sono comunità che parlano il provenzale-occitano e il franco-provenzale, lingue romanze simili al francese; in Sardegna, nella zona di Alghero, è diffuso il catalano, la lingua parlata in Catalogna, regione della Spagna; in diverse regioni dell’Italia meridionale vivono fin dal XV secolo comunità albanesi, che parlano una forma di albanese antico chiamato arbëresh; nel Salento (in Puglia) e in Calabria si trovano comunità di lingua greca, mentre in alcune valli del Trentino-Alto Adige e del Veneto si parla il ladino, una lingua romanza diffusa anche in altre regioni dell’arco alpino.

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Le religioni in Italia 

La maggioranza (oltre il 70%) dichiara di aderire al cristianesimo cattolico, mentre le altre religioni hanno un numero di praticanti molto inferiore.

Sono diffuse in Italia diverse confessioni che fanno capo al cristianesimo protestante: la più notevole dal punto di vista storico è quella dei valdesi, movimento religioso nato nel Medioevo e ora diffuso soprattutto nel Piemonte occidentale. Altra religione cristiana, nata negli Stati Uniti nel XIX secolo e praticata da una consistente minoranza in Italia, è quella dei testimoni di Geova. In Italia sono inoltre presenti da molti secoli comunità che praticano l’ebraismo. Negli ultimi anni, infine, nel Paese è considerevolmente aumentato il numero dei musulmani, cioè coloro che praticano l’islam, soprattutto per l’arrivo di immigrati provenienti da Paesi a maggioranza musulmana, come gli Stati dell’Africa del Nord e del Medio Oriente.

L’Italia degli emigranti… 

I fenomeni migratori hanno interessato in passato anche la popolazione italiana: tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo molti italiani emigrarono in America e in Australia in cerca di lavoro. Il flusso migratorio proseguì anche dopo la Seconda guerra mondiale, ma in questo caso i Paesi di destinazione dei migranti italiani erano quelli dell’Europa centrosettentrionale, la cui espansione industriale offriva opportunità di lavoro a una generazione stremata dai disastri del conflitto. La presenza di nutrite comunità italiane in molti Paesi europei e in altri continenti è una conseguenza di queste importanti ondate migratorie.

Negli anni Sessanta del XX secolo si verificò anche una migrazione interna all’Italia ( ATLANTE, p. 41), con lo spostamento di milioni di persone dalle regioni meridionali, provenienti soprattutto dalle zone rurali, verso il Nord, per lavorare nelle industrie della pianura Padana: questo fenomeno contribuì all’affermazione del cosiddetto “boom economico” di quel periodo, che consentì all’Italia di entrare a far parte delle potenze industriali mondiali.

... e quella degli immigrati 

Da terra di emigrazione, l’Italia è diventata, negli ultimi anni, meta di immigrazione, con centinaia di migliaia di stranieri che giungono nel Paese ogni anno, provenienti da altri Stati europei (soprattutto quelli dell’Europa orientale) e da altri continenti, in particolare dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina. Fino a pochi anni fa, il numero di stranieri residenti in Italia era molto inferiore rispetto al dato analogo di altri grandi Paesi dell’Europa occidentale. Oggi non è più così: nel 2015 gli stranieri in Italia erano oltre 5 milioni, pari quasi all’8,2% della popolazione totale. L’Italia è ora il quarto Paese d’Europa per numero di stranieri, superata solo da Spagna e Regno Unito, con circa 5 milioni ciascuno, e dalla Germania, dove oltrepassano i 7 milioni. La maggiore comunità straniera in Italia è quella rumena, che rappresenta il 22,9% degli immigrati presenti. Questo incremento si spiega con l’ingresso della Romania nell’Ue, avvenuto nel 2007, che ha permesso ai cittadini rumeni di muoversi e stabilirsi liberamente in tutti gli Stati membri.

La seconda comunità più numerosa è quella albanese (500 000 persone), mentre al terzo posto ci sono i marocchini, seguiti dai cinesi e dagli ucraini (circa 250 000 ciascuna). Questi numeri non tengono conto del fenomeno dell’immigrazione irregolare, cioè degli stranieri che risiedono in Italia senza permesso. La presenza di comunità di stranieri residenti in Italia ormai da molti anni ha inoltre portato in evidenza il fenomeno degli immigrati di seconda generazione, cioè coloro che sono nati in Italia ma, essendo i loro genitori stranieri, non hanno automaticamente la cittadinanza italiana. In Italia, e nella maggior parte degli altri Paesi europei, vige infatti un’interpretazione della legge sulla cittadinanza chiamata ius sanguinis (in latino “diritto di sangue”), per la quale un neonato acquisisce la cittadinanza dei genitori indipendentemente dal luogo di nascita. Per questo oggi sono quasi 1 milione i ragazzi sotto i 18 anni che, pur essendo nati in Italia, non sono ufficialmente cittadini italiani. Il loro numero, poi, è destinato ad aumentare, considerando che nel 2013 il 15% di tutti i bambini nati in Italia aveva genitori stranieri. Negli ultimi anni è stata avanzata da più parti la proposta di modificare la legge sulla cittadinanza adottando l’interpretazione denominata ius solis (“diritto del suolo”), in base alla quale tutti i nati sul suolo italiano diventerebbero automaticamente cittadini italiani.

La presenza e il continuo arrivo di immigrati in Italia costituisce una risorsa per il Paese: molti di loro svolgono lavori necessari ma spesso considerati troppo faticosi e “umili” dagli italiani, per esempio nel campo dell’agricoltura o dell’assistenza agli anziani. L’arrivo di immigrati aiuta inoltre a compensare il calo della natalità e l’invecchiamento della popolazione, dato che si tratta di persone mediamente più giovani e con più figli rispetto alla media della popolazione.

Quella italiana si avvia dunque a diventare una società pienamente multiculturale, in cui convivono persone di origini diverse, ma questo processo genera anche reazioni negative, che in alcuni casi degenerano in episodi di intolleranza e razzismo nei confronti di persone appartenenti a etnie, razze o religioni minoritarie.

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Le città in Italia

La forma di stanziamento prevalente in Italia è quella della città, con la maggioranza della popolazione che risiede in centri urbani medi e grandi, e solo una percentuale minoritaria che vive in insediamenti rurali ( focus) o in piccoli abitati. Il tasso di urbanizzazione in Italia è pari al 68%, cioè quasi 7 italiani su 10 abitano in città, un dato in linea con la media europea. Esistono però importanti differenze tra il tessuto urbano italiano e quello degli Stati vicini, dovute soprattutto alla storia dei vari territori nazionali, che ha determinato diverse modalità di insediamento.

FOCUS

Gli insediamenti rurali
Se oltre due terzi degli italiani vive in città, poco meno di un terzo risiede ancora in insediamenti di altro tipo, accentrati o sparsi, concentrati soprattutto nelle aree agricole.Nelle campagne il tipo di insediamento ancora oggi prevalente dipende anche dalle diverse modalità con cui nel passato era organizzata l’agricoltura. Nella pianura Padana, per esempio, dove la proprietà terriera era gestita in modo da ottenere la massima resa, era richiesta una presenza costante e diffusa di abbondante manodopera. Ebbe perciò grande diffusione la struttura della cascina, una grossa fattoria disposta attorno a una corte, dove vivevano numerose famiglie contadine alle dipendenze del proprietario terriero o dell’imprenditore agrario che la gestiva; altra manodopera risiedeva in paesi, borghi e villaggi che punteggiavano la campagna. Nell’Italia centrale, invece, appezzamenti poco estesi, chiamati poderi, erano coltivati da singole famiglie contadine che abitavano in fattorie più piccole. Nell’Italia meridionale, infine, la diffusione del latifondo, cioè di proprietà molto vaste coltivate soprattutto a cereali, con scarsi investimenti e bassa resa, richiedeva una presenza ridotta della manodopera, se non in momenti particolari del lavoro agricolo (come il raccolto); si avevano così fattorie di medie dimensioni, dette masserie, in cui abitavano le poche famiglie contadine alle dirette dipendenze dei proprietari, e radi ma popolosi borghi rurali, dove risiedevano i lavoratori stagionali.

Veduta di una cascina in Piemonte.

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La terra dei cento campanili 

Il territorio italiano possiede una storia urbana assai antica, con molte città e centri urbani fondati secoli o addirittura millenni fa e tuttora esistenti. La quantità degli insediamenti presenti in epoca antica, unita alla densità della popolazione, che in passato era già molto alta rispetto a quella degli altri Paesi europei, ha portato il territorio italiano ad avere moltissime città piccole (fino a 20  000 abitanti) e medie (con un numero di abitanti compreso tra i 20  000 e i 200  000). È questa la caratteristica principale che distingue l’urbanizzazione italiana da quella del resto d’Europa, dove in genere le città sono meno numerose ma più grandi. Tale differenza ha contribuito ad alimentare l’immagine dell’Italia come “terra dei cento campanili”, con molti insediamenti vicini ma distinti, ciascuno dei quali fiero della propria identità e delle proprie tradizioni. Con la grande crescita demografica degli ultimi due secoli, e la parallela espansione degli insediamenti di tipo urbano in territori un tempo rurali, in molte regioni l’identità dei vari centri urbani è andata lievemente sfumando. Nelle aree metropolitane delle città più grandi, e lungo le più importanti vie di comunicazione, sono sorti vasti insediamenti e quartieri residenziali che non hanno un’identità ben definita (ossia che non possiedono la struttura e l’offerta di servizi tipiche di un centro urbano “tradizionale”); allo stesso tempo l’espansione urbana che ha caratterizzato molti piccoli centri vicini tra loro ha portato i rispettivi confini a toccarsi e a fondersi l’uno nell’altro, fino a formare un unico paesaggio urbano, a dispetto dei confini amministrativi tra i vari comuni del territorio.

Poche metropoli e una grande conurbazione 

In Italia sono presenti poche metropoli vere e proprie: Roma e Milano, le sole città italiane con più di un milione di abitanti, e Napoli e Torino, che superano i 900  000 abitanti. Anche le aree metropolitane dei più grandi centri italiani non si avvicinano ai record europei (che superano i 10 milioni di abitanti attorno a città come Mosca, Parigi o Londra): quelle di Roma, Milano e Napoli arrivano ai 3-4 milioni di abitanti, mentre quella di Torino a poco più di 2 milioni.

Solo la conurbazione padana – cioè l’esteso sistema di città grandi, medie e piccole che da Milano si allunga a ovest fino a Torino, a est fino a Padova e Venezia e a sud-est fino a Bologna –, che gli studiosi considerano come un unico grande tessuto urbano, costituisce un fenomeno di “proporzioni europee”, e infatti viene spesso considerata l’estrema propaggine meridionale della grande megalopoli europea, il cuore urbano ed economico del continente che parte dal Regno Unito e giunge in Italia passando per il Benelux e la Germania.

Oltre ai grandi centri e alla conurbazione, in Italia sorgono città che, sebbene di dimensioni inferiori alla media europea, hanno comunque una notevole importanza come centri economici e culturali e fungono da punto di riferimento per l’ampio territorio circostante, spesso anche perché si tratta di città capoluogo di regione ( ATLANTE, p. 40).

Città ricche di storia e di arte

Oltre ad avere quasi tutte origini molto antiche, le città italiane conservano molto spesso al loro interno un ricco patrimonio architettonico e artistico. Sono le tante città d’arte, che hanno avuto in passato un ruolo di primo piano nella storia europea e mondiale e che ora costituiscono alcune delle principali destinazioni turistiche italiane, attirando ogni anno milioni di visitatori da ogni parte del mondo (nel 2013 le città italiane più visitate dai turisti stranieri sono state, nell’ordine, Roma, Milano e Venezia).

GUIDA ALLO STUDIO

  • Perché si dice che la popolazione italiana possiede un saldo naturale negativo?
  • Quali sono le minoranze linguistiche in Italia?
  • In quali aree italiane è in vigore il bilinguismo?
  • Quali aspetti legati all’immigrazione hanno modificato le caratteristiche demografiche del nostro Paese?
  • Che cosa si intende con l’espressione “terra dei cento campanili”?
  • Che cos’è la conurbazione padana?
  • Dove si riscontrano le radici storiche dei centri urbani?

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana