4.4 LE GUERRE CIVILI

IL RACCONTO DELLA STORIA

Lo scontro tra Mario e Silla

I concetti chiave

  • La riforma dell’esercito e l’aumento del potere personale dei generali
  • Ottimati e popolari
  • La guerra civile
  • Le rivolte servili
  • Il primo triumvirato
  • L’ascesa di Giulio Cesare

Dopo il fallimento delle riforme dei Gracchi, le divisioni interne alla classe dirigente romana si esacerbarono ulteriormente. Gli ottimati, autori della sanguinosa repressione del movimento graccano, dominavano ormai la vita politica ed economica, ma i popolari, sostenuti dai piccoli contadini, dalla plebe urbana e dai cavalieri, riuscirono a riprendere l’iniziativa politica grazie a un uomo molto determinato e spregiudicato: Caio Mario.

Un “uomo nuovo” al comando 

Pur essendo legato alla famiglia nobile dei Metelli, Caio Mario non apparteneva all’aristocrazia romana. Di origine italica (era nato ad Arpino, nel Lazio), era un homo novus: prima di lui, nessun membro della sua famiglia era mai riuscito a entrare nel senato. Nonostante questo, egli riuscì a raggiungere le cariche più alte dello Stato, in una rapida carriera politica resa possibile dai suoi successi militari.
La sua prima importante campagna fu la guerra contro Giugurta, re della Numidia. Roma aveva inviato l’esercito in Africa nel 111 a.C., in seguito alla distruzione della città di Cirta a opera dei Numidi. In quell’episodio, numerosi mercanti romani erano stati uccisi e avevano subito la confisca dei beni; con la spedizione militare, il senato intendeva ripristinare la propria influenza strategica e commerciale sulla regione. Giugurta, tuttavia, riuscì a corrompere i generali romani e a mantenere la propria indipendenza.
Nel 109 a.C., il senato affidò allora il comando di una nuova spedizione a un personaggio autorevole, noto per la sua integrità morale, il console Quinto Cecilio Metello. Fu in qualità di suo luogotenente che Mario si distinse per le capacità strategiche e militari.
Nel 107 a.C. la fama dei suoi successi sui campi di battaglia ne favorì l’elezione a console, sostenuta dai popolari e dai cavalieri. Costoro, contro l’opinione degli ottimati, riuscirono a ottenere la prosecuzione della guerra contro Giugurta, motivata esclusivamente dalla tutela dei loro interessi commerciali nella regione.
Mario succedette dunque a Metello nel comando delle operazioni militari e nel 104 a.C. sconfisse definitivamente i Numidi, imponendo loro un governo alleato dei Romani.

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Le altre vittorie di Mario

Altri importanti successi furono ottenuti da Mario nella guerra contro i Cimbri e i Tèutoni, tribù nomadi di origine germanica che erano penetrate nell’Italia settentrionale intorno al 113 a.C., in cerca di nuove terre in cui insediarsi a seguito dell’incremento della loro popolazione. I tentativi di fermare la loro avanzata erano stati duramente frustrati dalla gravissima sconfitta subita dalle legioni romane ad Arausio, nella Gallia narbonese, nel 105 a.C. Così, l’anno successivo il senato si rivolse a Mario, forte delle recenti imprese compiute in Africa ed eletto console per il quinto anno consecutivo. Dopo aver riorganizzato l’esercito, nel 102 a.C. Mario vinse i Teutoni in Provenza, presso Aquae Sextiae (l’odierna Aix-en-Provence), e nel 101 a.C. sconfisse i Cimbri ai Campi Raudi (presso Vercelli) ( CARTA, p. 323). Queste prestigiose vittorie, oltre ad allontanare da Roma e dalla penisola la minaccia di una nuova invasione straniera, assicurarono a Mario il sostegno di buona parte della classe dirigente romana.

La riforma dell’esercito 

I successi militari furono ottenuti da Mario grazie alla forza di un esercito completamente riorganizzato. Egli trasformò la tradizionale leva obbligatoria basata sul censo (esistente fin dai tempi del re Servio Tullio) in un arruolamento volontario, aperto anche ai proletari e agli Italici. Questo radicale cambiamento consentì di reclutare un numero maggiore di soldati, compensando la diminuzione dei legionari dovuta alla crisi economica che aveva colpito i piccoli proprietari terrieri.
I soldati, inoltre, ricevettero uno stipendio abbastanza elevato e l’equipaggiamento venne loro procurato dallo Stato. Veniva definitivamente meno il problema di conciliare le attività economiche con il servizio militare: la paga era sufficiente per vivere, mentre il mantenimento dell’esercito, che gravava sulle casse dello Stato, era assicurato dal lavoro degli schiavi e dai tributi provenienti dalle province.
Il nuovo ordinamento dell’esercito rispondeva agli interessi di tutti i ceti sociali: i nullatenenti avevano la possibilità di sfuggire alla miseria entrando nelle legioni, mentre i ricchi possidenti potevano evitare il servizio militare più facilmente, poiché abbondavano le richieste di arruolamento tra i plebei. Infine, la riforma di Mario prevedeva l’assegnazione di una parte delle terre conquistate ai veterani (i soldati congedati dal servizio attivo per limiti d’età), garantendo loro la sicurezza economica nella vecchiaia.
La riforma riguardò anche la composizione delle legioni e la loro disposizione sul campo di battaglia. Alla vecchia suddivisione in velites, principes, hastati e triarii subentrò una distinzione tra fanteria pesante (composta da soldati armati tutti nello stesso modo) e fanteria leggera (costituita da truppe ausiliarie). Le legioni, formate ognuna da 6000 uomini, furono organizzate in dieci coorti suddivise in tre manipoli di 200 soldati ciascuno.

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Le conseguenze della riforma 

La riforma dell’esercito voluta da Mario determinò un cambiamento epocale nella vita politica e militare della repubblica. Con la creazione di un esercito di professionisti, il servizio militare non venne più considerato un dovere civile dei cittadini romani, come era avvenuto fino ad allora, ma un’opportunità per arricchirsi con i bottini di guerra. Le legioni si trasformarono sostanzialmente in un esercito di mercenari, interessati alle ricompense economiche che le nuove conquiste garantivano.
Allettati dalle elargizioni di denaro e di terre, infatti, i soldati erano disposti a seguire i loro comandanti in qualsiasi impresa, anche contro le leggi della repubblica, se necessario. Il potere personale dei comandanti, che riponevano nella carriera militare le speranze di soddisfare le loro ambizioni politiche, aumentò notevolmente, contribuendo al grave indebolimento delle istituzioni repubblicane. Come vedremo, i generali più spregiudicati avrebbero di lì a poco approfittato della fedeltà dei soldati e del prestigio e delle ricchezze che si erano procurati con le campagne militari per imporsi nella vita politica, svuotando di senso i meccanismi istituzionali della repubblica.
Si crearono inoltre condizioni favorevoli a una politica di costante espansionismo territoriale, volta a soddisfare le brame di potere dei generali e la fame di terre e di ricchezze delle loro milizie. Questa situazione acuì i contrasti tra l’aristocrazia dei grandi proprietari terrieri, gli ottimati, contrari a investire risorse dello Stato in dispendiose spedizioni militari, e popolari e cavalieri, interessati a espandere i traffici commerciali e gli affari legati alla concessione degli appalti nelle nuove province.

La guerra contro gli alleati italici 

Dopo le minacce dei Cimbri e dei Teutoni, sventate da Mario, Roma dovette affrontare la ribellione degli alleati italici, che da tempo sostenevano il peso delle campagne militari e, come era già emerso all’epoca dei Gracchi, pretendevano di conseguenza la concessione della cittadinanza romana. Acquisendo i diritti politici e civili a essa legati, infatti, sarebbero stati esentati dalle tasse e avrebbero potuto partecipare alle assegnazioni delle terre e alle distribuzioni gratuite di grano.
Nel 91 a.C. il tribuno della plebe Marco Livio Druso, recuperando il programma politico di Caio Gracco, tentò di introdurre una nuova riforma agraria, insieme ad altre leggi sostenute dai popolari e dai ceti sociali più poveri, come l’apertura del senato ai cavalieri e la vendita del grano a prezzi calmierati per i proletari. Gli ottimati, contrari a questi provvedimenti, non erano tuttavia in grado di opporvisi senza l’appoggio di altre forze sociali. Così, non appena Druso avanzò la proposta di estendere la cittadinanza a tutti gli Italici, i senatori ne approfittarono per sobillare la popolazione di Roma contro il tribuno, sfruttando – come era già accaduto ai tempi di Caio Gracco – i timori popolari di perdere i propri privilegi in favore degli Italici.
Nei disordini organizzati dagli ottimati per bloccare la proposta di legge, il tribuno Livio Druso fu assassinato. Gli alleati italici, vedendo ancora una volta deluse le loro speranze, scatenarono a quel punto la cosiddetta guerra sociale (ossia la guerra dei socii, gli “alleati”). Numerose città dell’Italia centrale e meridionale si riunirono in una confederazione, la lega italica, creando addirittura uno Stato indipendente con capitale Corfinio (oggi in Abruzzo).
Tra il 91 e l’89 a.C. le legioni romane furono dunque duramente impegnate per combattere i nemici interni. Solo dopo gravi perdite in termini umani ed economici Roma riuscì a prevalere, grazie al valore dei comandanti Lucio Cornelio Silla e Gneo Pompeo Strabone.
La vittoria militare si accompagnò però a un sostanziale cedimento alle richieste dei socii: la pace sottoscritta nell’88 a.C. ristabilì infatti il controllo romano sulla penisola, ma accordò importanti riconoscimenti agli Italici, tra cui la concessione della cittadinanza romana. Per evitare che le proposte politiche dei popolari fossero sostenute dai nuovi cittadini italici (che, fin dai tempi dei Gracchi, avevano trovato in questa fazione una sponda alle loro rivendicazioni), gli ottimati imposero che essi venissero iscritti soltanto in 8 delle 35 tribù in cui erano suddivisi i comizi tributi. In questo modo, nonostante fossero dieci volte più numerosi dei cittadini romani prima dell’estensione della cittadinanza, gli Italici non avrebbero potuto essere determinanti nelle votazioni, che venivano espresse per tribù e non per testa.

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L’ascesa di Silla 

Alla fine della guerra sociale Roma appariva sempre più divisa dai contrasti tra i popolari, guidata da Mario, e gli ottimati, raccolti attorno alla figura di Lucio Silla, che aveva acquisito grande notorietà e prestigio proprio nel conflitto con gli Italici.
Agli inizi della sua carriera militare, Silla era stato luogotenente di Mario nella guerra contro Giugurta. In considerazione delle sue capacità militari, nell’88 a.C. fu scelto dal senato come comandante della spedizione contro Mitridate, re del Ponto (regno dell’Anatolia settentrionale affacciato sul mar Nero). Costui, presa la guida della rivolta dell’Asia minore contro le sopraffazioni dei mercanti e dei pubblicani romani, minacciava i territori della provincia con le sue mire espansionistiche ( CARTA).
La scelta di Silla, anziché di Mario, era stata motivata dai timori che gli ottimati nutrivano nei confronti dell’ambizione di potere di quest’ultimo: un ulteriore successo militare avrebbe infatti accresciuto il suo già enorme prestigio politico. Tuttavia, mentre le legioni di Silla si trovavano nell’Italia meridionale, pronte a imbarcarsi per l’Asia minore, Mario, con il sostegno di popolari e cavalieri, impose con la forza al senato di affidargli il comando delle truppe.
Silla guidò allora l’esercito contro Roma, costringendo alla fuga l’avversario, uccidendo i suoi seguaci e ristabilendo i poteri del senato.
Una volta riacquistata la legittimità del suo ruolo di comandante della spedizione, Silla partì con le legioni verso l’Oriente. Approfittando della lontananza dell’avversario, nell’87 a.C. Mario riprese il potere a Roma, scatenando una campagna di persecuzione contro gli ottimati. Egli morì però l’anno successivo, e la guida dei popolari fu assunta dal figlio, Mario il Giovane.

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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

Le liste di proscrizione

In questo brano lo storico greco Plutarco (I-II secolo d.C.) descrive il clima politico che caratterizzò la penisola Italica nell’età di Silla.

Veniva proscritto anche chi occultava un proscritto in casa propria e non si facevano eccezioni per fratelli, figli o genitori: così la morte veniva fissata come punizione per un atto di umanità. Chi viceversa uccideva un proscritto riceveva due talenti per l’omicidio commesso, anche se era uno schiavo che ammazzava il padrone o un figlio che ammazzava suo padre. […] Le proscrizioni non interessarono solo Roma: ne avvennero in ogni città d’Italia. […] Mariti furono sgozzati nelle braccia delle mogli, figli nelle braccia delle madri. Le persone uccise per passione o inimicizia politica rappresentarono la minima parte di coloro che furono massacrati allo scopo di ap­propriarsi dei loro beni. Agli uccisori stessi capitava di dire: «Costui l’ha ucciso la sua ricca casa; costui il giardino; quest’altro i bagni caldi». Quinto Aurelio, per esempio, era un uomo pacifico; credeva che, dei mali che accadevano, a lui non ne dovesse toccare alcuno, se non la pietà per gli altri sventurati. Un giorno si recò però nel foro e lesse la lista dei proscritti: tra i loro nomi trovò anche il suo. «Ohimè infelice - esclamò - la mia tenuta di Alba mi perseguita».
E non aveva fatto pochi passi che cadde scannato da un tale, il quale l’aveva seguito fin là.
” 


Plutarco, Vita di Silla, 31, in Vite parallele, trad. C. Carena, Mondadori, Milano 1974.


  • Quali esempi estremi cita Plutarco per descrivere il clima instaurato dalle liste di proscrizione?
  • Per quale motivo, secondo Plutarco, alcuni ricchi personaggi furono inseriti nelle liste di proscrizione?
  • Che significato hanno le parole pronunciate in punto di morte da Quinto Aurelio?
  • Dove venivano pubblicate le liste di proscrizione?

La guerra civile dell’82 a.C. 

Mentre Roma era saldamente nelle mani dei popolari, Silla proseguì la sua campagna militare in Asia minore. Dopo aver sconfitto Mitridate, nell’84 a.C. stipulò la pace di Dardano (nella Troade, Anatolia nordoccidentale) e organizzò il ritorno in patria, sapendo di poter affrontare gli avversari politici con la forza delle sue legioni e contando sul prestigio acquisito grazie alla vittoria e sulle ingenti ricchezze sottratte ai nemici ( CARTA, p. 323).
Nell’83 a.C. Silla giunse in Italia e coalizzò intorno a sé quel che restava del partito degli ottimati e la nobiltà delle città italiche, da sempre alleata dell’aristocrazia senatoria. Ebbe così iniziò una guerra civile (82 a.C.) che coinvolse la penisola, la Sicilia e l’Africa. L’esercito di Silla, guidato da Gneo Pompeo Magno, figlio di Strabone, ebbe il sopravvento. Lo scontro decisivo si svolse nei pressi di Porta Collina, sotto le mura di Roma; qui, Mario il Giovane tentò inutilmente di fuggire attraverso i sotterranei della città e infine si uccise per non cadere nelle mani dei nemici.
I sostenitori dei popolari continuarono per qualche tempo a combattere in Spagna, alla guida di Quinto Sertorio, parente di Mario. Con l’appoggio delle popolazioni locali, egli riuscì a creare uno Stato indipendente che resistette fino al 72 a.C., prima di soccombere alle legioni romane. Nel frattempo, in Italia, Silla concentrò nelle proprie mani tutti i poteri.

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La dittatura sillana

Subito dopo la fine della guerra civile, Silla si fece proclamare dittatore a tempo indeterminato, in aperto contrasto con la consuetudine secondo cui la dittatura era una magistratura straordinaria e temporanea. Si trattò del primo passo verso l’affermazione di un potere personale autoritario, che consentì a Silla di modificare l’organizzazione politica e istituzionale dello Stato romano. Per impedire che i sostenitori di Mario minacciassero di nuovo le istituzioni, egli fece eliminare migliaia di avversari politici e condannò a morte coloro che erano sfuggiti alle stragi di massa. I loro nomi furono pubblicati nelle liste di proscrizione esposte nei luoghi pubblici, in modo che chiunque potesse ucciderli impunemente e impossessarsi dei loro beni, con i quali egli riuscì anche a ricompensare i suoi seguaci ( LABORATORIO DELLE FONTI).
Il programma di Silla non mirava comunque all’instaurazione di una monarchia, ma era improntato al consolidamento dell’autorità del senato. Egli rafforzò il controllo dei senatori sui consoli, privati del comando militare nelle province e della possibilità di essere rieletti per più di un anno consecutivo. Fece inoltre approvare leggi che rallentavano la carriera politica degli homines novi, costringendoli a ricoprire tutte le cariche. Abolì il diritto di veto dei tribuni della plebe e sottopose le loro proposte di legge alla preventiva approvazione del senato, cancellando le norme previste dalla legge Ortensia del 287 a.C. I tribunali per i reati di corruzione tornarono a essere assegnati esclusivamente ai senatori, il cui numero fu raddoppiato grazie all’ingresso di nuovi membri provenienti dall’aristocrazia italica.
Silla aveva conquistato il potere con mezzi illegali, utilizzando l’esercito per i suoi fini politici. Consapevole dei rischi che il suo esempio avrebbe potuto costituire per il futuro della repubblica, egli impose anche una legge che limitava l’ingresso dell’esercito in armi nella penisola: il confine invalicabile dalle legioni armate (il cosiddetto pomerium) fu spostato da Roma al fiume Rubicone, in Emilia.
Convinto di aver raggiunto lo scopo delle sue riforme – tutte motivate dalla volontà di rendere più stabili le istituzioni repubblicane attraverso il rafforzamento del senato –, Silla si ritirò a vita privata nel 79 a.C. e morì l’anno seguente.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali conseguenze derivarono dalla riforma dell’esercito voluta da Caio Mario?
  • Quali furono le cause e le conseguenze della guerra sociale?
  • Quali fazioni si affrontarono durante le guerre civili?
  • Di quali riforme politiche fu autore Silla? A quale scopo?

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
Il nuovo Storia&Geo - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana