L’espansione a Oriente e la terza guerra punica

4.3 L’ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO

L’espansione a Oriente e la terza guerra punica

Dopo la sconfitta di Cartagine, Roma era ormai padrona del Mediterraneo occidentale. In tale situazione, era quasi inevitabile che l’espansione territoriale proseguisse anche verso il Mediterraneo orientale.
L’influenza dei Romani si estendeva già sui regni orientali, ancora indipendenti ma privi della forza economica e militare per contrastare la loro influenza diplomatica. Nel corso della prima metà del II secolo a.C., Roma avrebbe piegato ogni resistenza residua.
Prima di intraprendere nuove guerre, però, dovette risolvere alcune questioni al suo interno.

Le nuove tendenze della politica romana

La vittoria nella seconda guerra punica liberò i Romani dalla minaccia cartaginese, ma fece emergere i contrasti tra i gruppi sociali più influenti nella Roma dell’inizio del II secolo a.C.

  • Da una parte vi erano i senatori appartenenti all’antica aristocrazia dei grandi proprietari terrieri, di cui il censore Marco Porcio Catone era uno degli esponenti più autorevoli. Essi si erano arricchiti notevolmente grazie alle terre confiscate ai popoli sottomessi e temevano che nuove guerre in Oriente potessero danneggiare l’economia (in particolare il settore dell’agricoltura, come era avvenuto durante lo scontro contro Annibale).
  • Un’altra parte del senato era invece legata alle élites militari rappresentate da ex consoli come Scipione l’Africano, interessati ai bottini di guerra e quindi favorevoli a una politica espansionistica in Oriente.

La contrapposizione tra i due “partiti” aveva anche un fondamento politico e ideologico poiché era connessa alla considerazione che nutrivano per la cultura greca. Mentre i sostenitori dell’espansione a Oriente guardavano alla cultura greca con rispetto e ammirazione, la posizione di Catone accomunava i senatori più legati alla cultura romana tradizionale, che temevano l’influenza della civiltà greca su Roma. Essi ritenevano che la mentalità greca, portatrice di valori che esaltavano l’individuo, avrebbe causato la decadenza dei costumi romani e corrotto gli ideali patriottici, che privilegiavano gli interessi della collettività su quelli del singolo. Ponendo le premesse per l’instaurazione di un regime autoritario, questa deriva culturale avrebbe condotto al crollo delle istituzioni repubblicane.

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L’ascesa politica dei cavalieri 

I senatori favorevoli alle guerre in Oriente erano sostenuti anche dalla classe dei cavalieri, membri dell’ordine equestre. Si trattava di ricchi mercanti plebei che avevano raggiunto la prosperità grazie ai commerci e che vedevano nell’apertura di nuovi mercati l’occasione per ulteriori guadagni. Il nome con cui erano identificati derivava dalle prime centurie dell’esercito, quelle degli equites, in cui erano inquadrati i cittadini più ricchi. In quest’epoca, infatti, i redditi più elevati erano ormai quelli dei plebei che si dedicavano ai commerci e non più dei senatori, i cui patrimoni erano legati al possesso delle terre (meno redditizie delle imprese mercantili). Molti cavalieri, inoltre, erano pubblicani che ottenevano grandi guadagni dagli appalti per le forniture alle legioni o per la riscossione dei tributi delle province; l’espansione militare costituiva dunque per loro una grande opportunità di arricchimento.
Nel II secolo a.C., l’ascesa economica dei cavalieri portò alla loro affermazione anche nella vita politica. La ricchezza ottenuta dai commerci generava però sospetti e pregiudizi presso l’élite senatoria romana, che da sempre considerava i traffici mercantili come attività poco sicure rispetto ai ricavi dei patrimoni terrieri. Per questo, la legge Claudia del 218 a.C. vietò ai senatori di impegnare le proprie ricchezze nelle spedizioni mercantili marittime.
A partire dalla prima guerra punica, tramite il sistema degli appalti, i cavalieri avevano fornito allo Stato i fondi necessari per armare la flotta e l’esercito. Senza la riscossione dei tributi e gli approvvigionamenti per l’esercito garantiti dai pubblicani, inoltre, Roma non avrebbe potuto gestire i propri domini territoriali in continua espansione. In questo contesto, la crescente importanza economica dei cavalieri costituì una minaccia per la supremazia politica del senato. Agli inizi del II secolo a.C., essi erano in grado di incidere sulle decisioni politiche dello Stato, orientandone le scelte nell’organizzazione economica, nei comizi e nell’esercito.

Il partito trasversale della guerra 

I due orientamenti politici presenti nel senato divergevano sull’obiettivo delle nuove guerre, ma non sulle guerre in sé, che erano caldeggiate da molti senatori indipendentemente dalle loro posizioni politiche e culturali. I successi militari costituivano infatti il modo più efficace per accelerare la carriera politica, intesa sempre più come strada sicura per arricchirsi invece che come servizio reso alla comunità. Inoltre, i bottini di guerra e le terre confiscate ai nemici potevano essere utilizzati per finanziare le campagne elettorali, attraverso la distribuzione di denaro o di derrate alimentari alle classi più povere.
L’espansione territoriale apriva anche nuove opportunità ai senatori che, una volta divenuti consoli o pretori, potevano essere nominati governatori delle nuove province.
Al di là delle contrapposizioni ideologiche, quindi, gli interessi delle classi sociali più influenti di Roma convergevano sull’opportunità di una politica di espansione militare. I cavalieri sostenevano l’espansionismo indipendentemente dall’area verso cui sarebbe stato indirizzato. I senatori della cerchia degli Scipioni, invece, puntavano alla conquista del Mediterraneo orientale, mentre il gruppo che faceva riferimento a Catone intendeva attaccare e distruggere Cartagine, sia per evitare nuove minacce dagli antichi nemici, sia perché riteneva che questo obiettivo avrebbe distolto le energie romane dalla guerra in Oriente, ritenuta pericolosa.

Le vittorie in Oriente 

L’insieme di questi interessi determinò l’inizio di una politica imperialistica estesa su tutto il mar Mediterraneo.
La prima regione a essere attaccata dalle legioni romane fu la Grecia continentale. Approfittando delle contrapposizioni tra i regni ellenistici per la supremazia nel Mediterraneo orientale, nel 197 a.C. Roma sconfisse nella battaglia di Cinoscéfale, in Tessaglia, il re macedone Filippo V, già battuto pochi anni prima in Illiria.
Con la caduta del regno di Macedonia le città greche riacquistarono la propria autonomia. Nel 192 a.C. esse si unirono nella lega etolica e si allearono con il re seleucide Antioco III per contrastare la crescente influenza romana nella regione. Le truppe della coalizione furono però sconfitte dalle legioni romane alle Termopili, nel 191 a.C., e a Magnesia, l’anno successivo. Nel 188 a.C. i Seleucidi accettarono le condizioni della pace di Apamea, che imponeva loro la cessione di alcuni territori della Tracia al regno degli Attalidi e all’isola di Rodi, alleati dei Romani.
Per il momento, Roma si accontentò di influire sulla situazione politica della regione senza occuparla in modo diretto, non avendo ancora forze sufficienti per dominare militarmente questi territori.

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Le guerre in Occidente e in Grecia 

Oltre che sul fronte orientale, infatti, le legioni romane erano impegnate a combattere anche in altre aree. Tra il 200 e il 191 a.C. esse riconquistarono il controllo della pianura Padana, dove i Galli erano tornati indipendenti durante la seconda guerra punica, e fondarono la nuova provincia della Gallia cisalpina (cioè della Gallia “al di qua delle Alpi”). Tra il 193 e il 176 a.C. occuparono anche i territori dei Veneti e dei Liguri, annessi alla nuova provincia. Negli stessi anni dovettero fronteggiare anche la ribellione della penisola Iberica, dove nel 197 a.C. furono crea­te le due nuove province della Spagna ulteriore e citeriore.
Tra il 171 e il 167 a.C. i Romani furono di nuovo impegnati in una campagna militare contro il re macedone Perseo, successore di Filippo V, che aveva tentato di sottomettere tutta la Grecia: dopo la vittoria romana a Pidna, nel 168 a.C., la Macedonia fu suddivisa in quattro piccoli regni, per evitare che rappresentasse ancora una minaccia alla stabilità della regione. Un nuovo intervento si rese però necessario nel 148 a.C., quando la Macedonia divenne a tutti gli effetti una provincia romana.
Lo stesso destino attese la penisola Ellenica: dopo la repressione della rivolta delle città elleniche riunite nella lega achea e la distruzione di Corinto nel 146 a.C., la Grecia perse definitivamente la sua indipendenza e fu assoggettata come nuova provincia, con il nome di Acaia. Molti abitanti delle sue città furono condotti a Roma come schiavi; tra questi vi erano numerosi intellettuali, come lo storico Polibio, che avrebbero animato i circoli culturali filoellenici della nobiltà romana.

La terza guerra punica 

Se l’espansione militare in Oriente aveva soddisfatto gli interessi dei senatori legati al circolo degli Scipioni, una nuova campagna in Africa era fortemente voluta, come abbiamo visto, dalla cerchia del censore Catone, passato alla storia, tra le altre cose, proprio per la sua imperiosa e ripetuta richiesta: delenda Carthago, “Cartagine deve essere distrutta”.
Per dare avvio alle ostilità, i Romani sfruttarono il pretesto di un incidente diplomatico. Nel 149 a.C, infatti, i Cartaginesi reagirono agli attacchi dei Numidi, alleati dei Romani, contravvenendo così alle condizioni di pace stabilite dopo la fine della seconda guerra punica (che impedivano a Cartagine di dichiarare guerra senza l’approvazione di Roma). Il senato ne approfittò per intervenire, preoccupato anche dal fatto che la città era guidata da un nuovo governo democratico, ostile a Roma e fortemente intenzionato a creare le condizioni per una ripresa economica di Cartagine. Furono queste le premesse della terza guerra punica (149-146 a.C.), che pose termine definitivamente all’antico conflitto tra le due potenze rivali.
Nonostante l’indiscussa superiorità militare di Roma, però, la guerra si protrasse per alcuni anni. Dopo un lungo assedio, il console Scipione Emiliano espugnò e distrusse Cartagine nel 146 a.C. Per impedire qualsiasi rinascita della civiltà cartaginese, i campi che circondavano la città furono cosparsi di sale, e i suoi territori divennero parte della nuova provincia d’Africa.

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Il Mediterraneo romano 

Nei decenni successivi, la conquista romana del Mediterraneo si completò ( CARTA). Nel 133 a.C. il re di Pergamo, Attalo III, privo di successori, lasciò in eredità il proprio regno anatolico alla repubblica romana. Il lascito si ricollegava all’antica alleanza che il padre, Eumene II, aveva stabilito con i Romani e che, nel 188 a.C., dopo la pace di Apamea, aveva fruttato al regno degli Attalidi l’annessione di vaste regioni dell’Anatolia. La ribellione di alcuni dignitari di corte, riluttanti a diventare sudditi dei Romani, fu domata dalle legioni, e nel 129 a.C. fu creata la provincia dell’Asia minore. Sempre nel 133 a.C. i Romani soffocarono la rivolta delle popolazioni iberiche e conquistarono la città di Numanzia, nella Spagna citeriore. Infine, nel 123 a.C., sottomisero la Gallia meridionale, dove fu costituita la provincia della Gallia narbonese, dal nome dalla città di Narbona (nell’attuale Provenza, che deriva proprio dal termine latino provincia).  

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali novità politiche emersero a Roma dopo la seconda guerra punica?
  • Chi erano i cavalieri e quale ruolo sociale e politico avevano?
  • Come si svolse l’espansione romana nel Mediterraneo orientale?

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana