La prima guerra punica

4.3 L’ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO

La prima guerra punica

I conflitti tra Roma e Cartagine sono definiti guerre puniche, dall’aggettivo latino punicus; a causa della loro origine fenicia, infatti, i Cartaginesi erano chiamati dai Romani Poeni (dal greco Phoínikes, “Fenici”). La prima guerra punica (264-241 a.C.) prese avvio da un piccolo conflitto locale scoppiato nella Sicilia orientale: il primo episodio di uno scontro che avrebbe sconvolto l’assetto politico del Mediterraneo.

Le premesse dello scontro 

Le origini del contrasto risalgono al 265 a.C., quando Gerone, il tiranno della città di Siracusa (che dominava la parte orientale della Sicilia), attaccò la città di Messina, da tempo occupata da alcuni mercenari originari della Campania. Questi ultimi si erano dati il nome di Mamertini in onore del dio Mamerte (corrispondente al Marte dei Latini) ed erano già intervenuti nell’infruttuosa spedizione siciliana di Pirro, nel 278 a.C., quando si erano offerti come alleati del re epirota contro i Cartaginesi.
Assediati dalle truppe di Gerone, i Mamertini chiesero aiuto ai Cartaginesi, che allontanarono la minaccia siracusana occupando però Messina. I Mamertini si rivolsero allora a Roma, che sfruttò l’occasione per iniziare la sua penetrazione nell’isola. L’arrivo dei legionari romani – che violava i patti sottoscritti con i Cartaginesi, in base ai quali l’isola sarebbe dovuta restare libera dall’influenza di Roma – provocò l’inizio del conflitto con Cartagine, alla quale si alleò anche l’antica rivale Siracusa, timorosa di un’eccessiva espansione romana. Le operazioni sulla terraferma videro subito una rapida avanzata delle legioni romane, che in breve tempo conquistarono Siracusa e Agrigento e inseguirono le truppe cartaginesi in fuga fino a Panormo (Palermo), Trapani e Lilibeo (Marsala), poste sotto assedio. La conquista di gran parte della Sicilia fu un importante successo, perché consentì a Roma di impadronirsi delle sue risorse granarie.

La guerra sui mari 

I rapidi successi sulla terraferma non furono però sufficienti ai Romani per vincere la guerra. Grazie alla supremazia della propria flotta, infatti, i Cartaginesi riuscirono a resistere all’assedio dei nemici, ottenendo agevolmente i rifornimenti via mare.
Per i Romani si rese dunque necessario un cambio di strategia. In poco tempo essi riuscirono ad allestire una flotta di 120 navi da guerra provviste di rostri per speronare le imbarcazioni nemiche e di ponti mobili, detti corvi ( LABORATORIO DELLE FONTI), installati sulla prua. Durante la navigazione i corvi venivano mantenuti in posizione verticale; in fase di avvicinamento alle navi nemiche, invece, venivano abbassati e agganciati, tramite un uncino ricurvo, al ponte dell’imbarcazione avversaria, che non poteva più allontanarsi. Il corvo fungeva così da passerella per i soldati, che potevano assaltare le navi cartaginesi e, una volta effettuato l’abbordaggio, combattere quasi come sulla terraferma, in una modalità di battaglia alla quale erano abituati.

L’esito del primo conflitto 

Sfruttando i corvi, la flotta romana comandata dal console Caio Duilio vinse la battaglia di Milazzo nel 260 a.C. Un nuovo successo fu conseguito dal console Attilio Regolo nel 256 a.C., al largo di capo Ècnomo (presso l’odierna Licata). L’entusiasmo provocato dalla vittoria spinse Attilio Regolo a tentare di attaccare Cartagine direttamente sul suo territorio: dopo aver riparato velocemente le navi danneggiate, la flotta si spinse verso le coste dell’Africa e i legionari sbarcarono nei pressi della città nemica. L’esito della battaglia sulla terraferma fu però sfavorevole ai Romani, anche perché i Cartaginesi potevano contare su un numero di soldati superiore e su forze più fresche. Durante la ritirata, inoltre, la flotta romana fu distrutta da una tempesta.
I ripetuti scontri con i Cartaginesi non erano stati sufficienti a determinare l’esito della guerra. Roma vi aveva investito ingenti risorse economiche, ricostruendo la flotta per ben cinque volte, senza riuscire a prevalere sull’avversario. Sotto la guida del generale Amilcare Barca (padre di Annibale, futuro protagonista della seconda guerra punica), le colonie cartaginesi in Sicilia continuavano a resistere al lungo assedio grazie ai rifornimenti che non smettevano di giungere loro dal mare.
La guerra proseguì dunque con un costante logoramento dei contendenti, che si indebolivano vicendevolmente. La situazione mutò solo nel 241 a.C., quando i Romani guidati dal console Lutazio Catulo vinsero una battaglia navale presso le isole Ègadi, al largo della costa occidentale della Sicilia. In seguito a questo episodio i Cartaginesi persero il controllo delle rotte navali che collegavano la madrepatria con le colonie e i Romani riuscirono finalmente a interrompere i loro approvvigionamenti marittimi. Le città assediate furono costrette ad arrendersi e Cartagine, stremata dalla lunga guerra, accettò dure condizioni di pace, che prevedevano il pagamento di un’elevata indennità di guerra e assegnavano ai Romani il dominio su tutta la Sicilia.

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Laboratorio DELLE FONTI I TESTI

L’impiego dei corvi a Milazzo

Sulla punta dei ponti mobili era installato un gancio di metallo la cui forma ricordava il becco dei corvi, caratteristica che spiega la denominazione di queste macchine belliche. Durante l’abbordaggio il gancio si conficcava sul ponte della nave nemica, limitandone i movimenti. In questo brano dello storico greco Polibio, vissuto nel II secolo a.C., viene descritto l‘uso dei corvi, da parte dei Romani, nella battaglia di Milazzo.

Venuto a sapere che i nemici saccheggiavano il territorio di Milazzo, Caio Duilio mosse con tutta la flotta in quella direzione. I cartaginesi allora, lieti ed entusiasti, salparono con 130 navi, pieni di dispregio per l’inesperienza romana; essi avanzavano con la prora rivolta ai nemici senza neppure schierarsi in ordine di battaglia. […] Avvicinatisi e visti sulla prora di ciascuna nave i corvi rivolti all’insù, i cartaginesi rimasero sulle prime incerti, stupiti per la novità di tali macchine; dopo un po’, tuttavia, le avanguardie ingaggiarono arditamente battaglia. Di mano in mano che cozzavano, però, le navi venivano attanagliate dalle macchine e subito per il rostro stesso i romani passavano a combattere sulle tolde delle navi avversarie; i cartaginesi in parte furono uccisi e in parte sconvolti per l’accaduto si arresero: la battaglia finì per divenire del tutto simile a un combattimento di fanteria.” 


Polibio, Storie, I, 23, trad. di C. Schick, Mondadori, Milano 1979.

Una nave cartaginese.


  • Da che cosa si comprende che i Cartaginesi avevano sottovalutato il pericolo romano? 
  • Quale fu la reazione dei Cartaginesi quando videro le navi romane con i corvi? 
  • Per quale scopo i Romani montarono i corvi sulle loro navi?

Le prime province romane 

Con la pace del 241 a.C. Roma creò un nuovo modello istituzionale e amministrativo per i territori conquistati. La Sicilia divenne infatti una prima provincia romana, sottoposta a un rigido controllo militare e a un pesante sfruttamento economico. Soltanto ad alcune città, come Siracusa, Messina e Segesta, fu riconosciuta la condizione di alleate. Il ridimensionamento dell’impero commerciale cartaginese, entrato in una fase di declino dopo la fine della prima guerra punica, permise inoltre ai Romani di espandere i propri domini in altre zone del Mediterraneo. Tra il 238 e il 237 a.C. essi conquistarono la Corsica e le coste della Sardegna, assoggettate come nuove province.
Le risorse economiche ricavate dai tributi delle province consentirono ai Romani di intraprendere una politica di espansione anche nell’Italia settentrionale, dove erano insediati i Celti. Nel 232 a.C. occuparono la pianura Padana, dove fondarono le colonie di Piacenza e Cremona, mentre Mediolanum (Milano) divenne un municipio romano. Nel 229 a.C., poi, si spinsero fino in Illiria (la Dalmazia, area costiera dell’attuale Croazia), ponendo fine alle scorrerie dei pirati che avevano base in quelle zone e che minacciavano i traffici commerciali nell’Adriatico.

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L’organizzazione delle province 

Le province erano guidate da governatori che comandavano i contingenti militari preposti alla loro difesa, amministravano la giustizia e l’economia e presiedevano all’organizzazione delle opere pubbliche.
Inizialmente furono i pretori, eletti dai comizi centuriati, a svolgere la funzione di governatori; quando però il numero delle province crebbe per effetto delle nuove conquiste territoriali, i pretori tornarono a svolgere soprattutto le funzioni legate all’amministrazione della giustizia e le province furono assegnate a personalità scelte dal senato tra coloro che avevano terminato la loro magistratura annuale (i proconsoli e i propretori). Il senato ne controllava l’attività attraverso apposite leggi e alla fine del loro incarico i governatori erano anche sottoposti a un esame del loro operato. Le condanne inflitte loro dai tribunali non impedirono comunque il dilagare della corruzione e dello sfruttamento delle popolazioni assoggettate.
Nell’ordinamento dello Stato romano gli abitanti delle province assumevano la condizione di sudditi, privi di diritti politici e in alcuni casi persino della libertà personale (potevano infatti essere venduti come schiavi). Non erano però costretti a prestare servizio militare e potevano conservare le loro tradizioni religiose e culturali se queste non rappresentavano un pericolo per l’ordine pubblico e per le istituzioni romane. Le loro terre venivano confiscate dallo Stato ed erano soggette al pagamento di pesanti tributi, la cui riscossione era affidata ai pubblicani, gli appaltatori delle tasse. Costoro, in cambio del monopolio nell’esazione delle tasse o nella gestione dei rifornimenti delle legioni, pagavano una certa somma allo Stato, che la utilizzava per allestire le flotte o per sostenere le spese dell’esercito. Questo meccanismo fiscale permetteva ai pubblicani di trarre grandi profitti, spesso ottenuti attraverso l’imposizione di tributi ingiusti ed esageratamente onerosi alla popolazione delle province. Il dominio romano recò però anche alcuni vantaggi alle province: fu infatti promossa la costruzione di acquedotti, strade e infrastrutture urbane (come le fognature) che migliorarono le condizioni di vita della popolazione e favorirono lo sviluppo dei commerci. 

GUIDA ALLO STUDIO

  • Perché Romani e Cartaginesi arrivarono allo scontro?
  • Quali furono le principali battaglie della prima guerra punica?
  • Quale tattica adottarono i Romani per combattere la potente flotta cartaginese?
  • Quale esito ebbe il conflitto e quali furono le conseguenze per i due contendenti?

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana