La religione nella Roma arcaica

4.2 LE ORIGINI DI ROMA

La religione nella Roma arcaica

Nell’epoca più arcaica della sua storia, Roma subì una forte influenza culturale etrusca, evidente tra l’altro nelle affinità fra le tradizioni religiose delle due civiltà. Le divinità etrusche, in parte corrispondenti a quelle greche, furono fatte proprie dai Romani, che ereditarono dagli Etruschi anche alcuni caratteri della pratica religiosa. Tra questi, rivestivano una certa importanza i rituali che, prima di ogni manifestazione o iniziativa pubblica – l’apertura dei comizi, la fondazione di nuove città, l’inizio delle spedizioni militari –, miravano a ottenere la protezione divina. La consultazione degli dèi avveniva attraverso gli aruspici e gli àuguri, gli indovini incaricati di trarre gli auspìci, ossia di interpretare la volontà divina.

Una religione pubblica 

La religione romana aveva una funzione pubblica e politica. Abbiamo visto come in età monarchica il re detenesse sia il potere politico, sia quello religioso; anche in età repubblicana i sacerdoti erano titolari di cariche pubbliche, sia pure di carattere parzialmente diverso dalle altre magistrature che costituivano il cursus honorum. I più importanti sacerdoti preposti alle cerimonie pubbliche, sempre appartenenti alle famiglie aristocratiche, erano chiamati pontefici. Essi erano i depositari delle antiche tradizioni e delle norme giuridiche tramandate oralmente, oltre che i responsabili dei riti religiosi che garantivano il favore degli dèi e quindi il buon andamento dei raccolti o la vittoria nelle battaglie.
I pontefici stabilivano, sulla base del calendario ereditato dagli Etruschi, i periodi dell’anno in cui era lecito e opportuno svolgere le attività produttive. Il sommo sacerdote, il pontefice massimo, compilava inoltre gli annali, gli elenchi dei fatti accaduti durante l’anno, che venivano esposti al pubblico affinché tutti ne fossero informati.

Il pantheon dei Romani 

I culti più arcaici erano legati ai fenomeni naturali. In seguito ai contatti con Etruschi e Greci, molte delle divinità naturali furono associate agli dèi che, nel pantheon greco ed etrusco, avevano caratteristiche simili. Giove, Giunone e Minerva, per esempio, corrispondevano a Zeus, Era e Atena. Aveva un legame con il nome di una divinità greca (Estía), anche Vesta, protettrice del focolare, che era però, con tutta probabilità, un culto indigeno, originario della civiltà romana. La stessa cosa si può dire a proposito del culto di Giano, il custode delle porte e dei passaggi, raffigurato con una testa a due facce.
Accanto alle divinità principali, i Romani veneravano un numero elevatissimo di dèi minori, legati a tutti gli aspetti della vita quotidiana e dell’esistenza umana. A queste divinità venivano offerti sacrifici rituali che, nella concezione utilitaristica della religione tipica dei Romani, erano considerati una strategia efficace per ottenere da loro vantaggi e favori.

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Il culto degli antenati 

Oltre ai culti religiosi pubblici, ogni famiglia romana celebrava quotidianamente cerimonie private per i propri antenati, ai quali era dedicato un piccolo altare in ogni abitazione. Questa tradizione derivava dalle antiche usanze dei popoli latini, tramandate all’interno delle gentes patrizie come modo per riconoscersi in origini comuni. Le divinità della famiglia erano venerate in tre diverse forme:

  • i Penàti erano gli spiriti che proteggevano i membri della famiglia; erano custoditi nelle parti più interne della casa (penita), in cui si conservavano le scorte di cibo e le ricchezze familiari;
  • i Lari, identificati con il focolare domestico, erano i protettori della casa;
  • i Mani erano le anime stesse degli antenati, che dall’aldilà continuavano a essere benevolmente partecipi delle vicende familiari.

Le feste religiose e il calendario

La religione romana influenzava anche il calendario, che derivava per molti aspetti dalla cultura etrusca. Le feste religiose scandivano le stagioni ed erano connesse alle attività contadine. In occasione di queste feste si sacrificavano agli dèi le primizie agricole o giovani animali, per assicurarsi buoni raccolti e prosperità economica.
Nella festa dei Saturnali si celebrava Saturno, il dio dei campi, che, secondo la leggenda, aveva regnato nella cosiddetta “età dell’oro”, un passato mitico in cui la terra produceva spontaneamente i suoi frutti e gli uomini vivevano in pace. Durante queste feste, che duravano una settimana a partire da metà dicembre, i Romani sospendevano le attività lavorative e si scambiavano piccoli doni, un’usanza che sarebbe stata ereditata dal cristianesimo.
Anticamente, per il calendario romano l’anno cominciava in marzo, mese dedicato a Marte, dio della guerra e dell’agricoltura. All’inizio della primavera, infatti, l’esercito riprendeva le campagne militari, sospese durante i mesi più freddi, e la natura si risvegliava dopo l’inverno. Solo in seguito l’inizio dell’anno fu fatto coincidere con il mese dedicato a Giano (da cui deriva il nome del mese di gennaio, ianuarius), periodo in cui le giornate riprendono ad allungarsi dopo il solstizio d’inverno.
I Romani dividevano gli anni in 12 mesi di 22 o 25 giorni ciascuno, con uno scarto rispetto all’anno solare effettivo che fu corretto soltanto nel I secolo a.C. dalla riforma del calendario promulgata da Giulio Cesare (calendario giuliano), che introduceva l’anno bisestile.
I mesi erano scanditi da alcune date particolari, calcolate in base alle fasi lunari: le calende (da cui deriva il termine “calendario”) erano il primo giorno del mese; le none il quinto o il settimo giorno, a seconda dei mesi; le idi il tredicesimo o il quindicesimo. I giorni erano inoltre divisi in fasti e nefasti, ossia adatti o meno allo svolgimento delle attività quotidiane.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali influenze della cultura etrusca sono riscontrabili nella religione romana?
  • In che senso la religione romana aveva un carattere “pubblico”?
  • Come era strutturato il calendario romano?

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana