La guerra del Peloponneso e la decadenza ellenica

3.4 LA GRECIA CLASSICA

La guerra del Peloponneso e la decadenza ellenica

La politica imperialistica di Atene era mal sopportata dalle città mercantili concorrenti, come Corinto e Megara, che non tolleravano il controllo delle rotte nell'Egeo e il predominio nei commerci marittimi. Oltre alle questioni economiche, a dividere le città greche vi erano anche i contrasti politici che da tempo opponevano le città democratiche guidate da Atene alle póleis aristocratiche appartenenti alla lega di Sparta. Nella seconda metà del V secolo a.C. le tensioni sfociarono in un lungo conflitto, la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), che coinvolse anche la Magna Grecia. 

Atene si prepara alla guerra

Rafforzando il démos, le riforme di Pericle avevano stimolato le tendenze imperialistiche della politica ateniese, che rispondevano agli interessi popolari nella misura in cui allargavano l'influenza commerciale della città e creavano lavoro per le classi meno abbienti (nei cantieri navali e sulle navi da guerra). Quando i contrasti tra Sparta e Atene giunsero a un punto di rottura, l'orientamento che spingeva verso la guerra trovò consenso in città. 

L’inizio del conflitto

La causa immediata dello scoppio delle ostilità fu la richiesta di aiuto che Megara presentò a Sparta contro la decisione di Atene di impedire l'ingresso delle sue navi nei porti della lega delio-attica. Sparta intervenne nel 431 a.C., invadendo l'Attica e ponendo Atene sotto assedio. All'inizio del conflitto Atene attuò una tattica attendista: si rinchiuse tra le sue poderose mura, che proteggevano anche il porto del Pireo e assicuravano i rifornimenti via mare. Gli Ateniesi lasciarono che gli Spartani devastassero le campagne attorno alla città pur di evitare lo scontro terrestre, nel quale sarebbero stati sicuramente sconfitti dalla superiorità dell'esercito di terra spartano. Atene puntava infatti sulla propria supremazia marittima, che permetteva di attaccare le zone costiere e le navi mercantili nemiche e garantiva l'approvvigionamento di denaro, alimenti e materie prime necessarie alla prosecuzione della guerra. Questa strategia difensiva, che comportava quindi un enorme danno economico per i proprietari terrieri, venne osteggiata dalla fazione aristocratica, anche se fu comunque attuata grazie al prestigio di Pericle e alla sua capacità di persuadere il démos ateniese. 

Atene tra guerra e pace

Nel 430 a.C., la promiscuità e i problemi igienico-sanitari che l'assedio determinava ad Atene favorirono la diffusione di una grave epidemia ( FOCUS). Nel giro di un solo anno morirono molte migliaia di Ateniesi, tra i quali lo stesso Pericle.
Questi eventi minarono la compattezza politica e sociale della città proprio nel momento in cui era chiamata a reagire all'assedio dei nemici.
Nel 425 a.C. Cleone conquistò la città di Pilo, nel Peloponneso, prendendo in ostaggio i soldati spartani stanziati nella vicina isola di Sfacteria. Nel 424 a.C. fu però sconfitto a Delio, in Beozia, e ad Anfipoli, nella Grecia settentrionale.  
Il conflitto proseguì con fasi alterne, senza che nessuno dei contendenti riuscisse a prevalere. Per questo, nel 421 a.C. fu firmata la pace di Nicia (dal nome del suo promotore), che ripristinava le condizioni politiche precedenti allo scoppio del conflitto e stabiliva una tregua di cinquant'anni.

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FOCUS • IERIOGGI
PESTE 

II termine “peste” è genericamente usato per indicare i fenomeni epidemici che, sia nell'antichità sia in età moderna, provocavano grandi stragi tra le popolazioni, arrivando a stravolgere gli equilibri demografici ed economici di vaste aree geografiche. 
L'epidemia che colpì Atene nel 430 a.C. fu descritta accuratamente, nei suoi sintomi, dallo storico Tucidide. In base alla sua ricostruzione, gli epidemiologi moderni ritengono che a scatenarla possa essere stato il vaiolo o una forma di influenza virale che provocava un'elevata mortalità a causa dell'infezione polmonare che l'accompagnava. Probabilmente il morbo fu introdotto ad Atene da marinai che provenivano dal Mediterraneo orientale (casi di contagio si erano infatti già manifestati in Etiopia, in Persia e in Egitto) e trovò il contesto ideale per diffondersi nel sovraffollamento e nelle pessime condizioni igienico-sanitarie che caratterizzavano la pólis sotto assedio. 
Oltre a quella di Atene, altre epidemie della storia sono rimaste celebri, perché particolarmente virulente o perché legate a noti capolavori letterari: per esempio, nel Decameron di Giovanni Boccaccio e nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni si descrivono rispettivamente la "peste nera" che colpì l'Europa nel 1347-1348 e la peste di Milano del 1630, portata dall’esercito dei Lanzichenecchi.
Le cause della diffusione della peste propriamente detta, che comparve per la prima volta in Europa appunto nel 1347, furono scoperte solo alla fine del XIX secolo, quando fu isolato il batterio responsabile della malattia. 
Oggi la peste è stata quasi del tutto debellata nei Paesi occidentali, grazie anche a standard igienico-sanitari elevati e al miglioramento dell'alimentazione e in generale delle condizioni di vita; tuttavia ancora pochi decenni fa si sono verificati gravi epidemie di peste in alcuni Paesi asiatici e del continente africano. 
Nonostante i progressi raggiunti dalla medicina moderna, inoltre, le difficili condizioni di vita della popolazione nelle zone più povere del pianeta hanno favorito il ritorno di focolai di altre malattie epidemiche, come la tubercolosi, che si ritenevano erroneamente scomparse in seguito alla vaccinazione di massa e alla diffusione degli antibiotici: dopo decenni in cui non si erano più verificati casi di contagio, queste malattie sono oggi ricomparse anche nei Paesi più sviluppati, a causa probabilmente dei contatti commerciali favoriti dalla globalizzazione e dei flussi migratori che interessano il pianeta. 

La disastrosa spedizione di Alcibiade

Gli accordi  della pace di Nicia non furono però rispettati. Tra gli episodi che portarono alla riapertura delle ostilità vi fu il massacro compiuto dagli Ateniesi nell'isola di Melo (415 a.C.), colpevole di non essersi schierata al fianco di Atene. 
Nel 415 a.C. il fronte democratico, guidato dal giovane e ambizioso Alcibìade, nipote di Pericle, condusse l'esercito ateniese in Sicilia, in una pericolosa spedizione navale contro Siracusa, alleata degli Spartani ( CARTA).  Adducendo il pretesto di soccorrere i cittadini di Segesta, minacciati dai Siracusani, Alcibiade intendeva in realtà allargare l'area di influenza commerciale ateniese. La Sicilia produceva infatti grandi quantità di cereali e il suo controllo sarebbe stato molto utile per risollevare l'economia di Atene, stremata da decenni di guerra. 
La difficoltà dell'impresa fu però sottovalutata, e i Siracusani, con l'aiuto di Sparta, inflissero dure sconfitte al contingente militare ateniese. Nel 413 a.C. la flotta di Atene fu distrutta e gli opliti sterminati o gettati nelle latomìe, le prigioni ricavate dalle cave di pietra alla periferia di Siracusa, dove morirono di stenti e di fame.  
Nel determinare la sconfitta degli Ateniesi ebbe un peso anche l'assenza di Alcibiade, valido comandante militare, dal teatro di guerra. All'inizio della spedizione, infatti, egli fu richiamato in patria con l'accusa di aver ordinato il sacrilegio delle erme (le statue dedicate al dio Ermes, presenti in gran numero in città). In realtà, a danneggiare le statue erano stati i suoi oppositori politici che, contrari alla spedizione in Sicilia, intendevano screditarlo attribuendogli il misfatto. Temendo di essere condannato, egli rifiutò di tornare ad Atene e chiese ospitalità ai nemici spartani, probabilmente fornendo loro informazioni decisive per l'esito della guerra.  

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La caduta di Atene

Nel 412 a.C. Sparta strinse un importante accordo con il re persiano Dario II: gli Spartani acconsentirono che le póleis della Ionia cadessero sotto il suo controllo in cambio dell'oro necessario alla costruzione di una flotta in grado di contrastare quella ateniese. Minacciata nei suoi approvvigionamenti marittimi, Atene fu sempre più indebolita dalla crisi economica. L'influenza di Sparta fu inoltre determinante per la ribellione degli aristocratici ateniesi, che nel 411 a.C. abbatterono con la forza il governo democratico e instaurarono un regime oligarchico nella città. Il consiglio dei 400 nobili, guidato da Teramène, cancellò le riforme promosse da Pericle, ma ebbe vita breve: privi del consenso popolare, gli oligarchi furono presto spodestati dai democratici, che ripresero il potere l'anno successivo. Il cambiamento fu favorito dalla vittoria marittima della flotta ateniese a Cìzico, nell'Ellesponto (410 a.C.), che sotto la guida di Alcibiade, accolto nuovamente in patria dopo il disastro siracusano, inflisse una dura sconfitta agli Spartani e guidò i democratici alla riscossa. Le speranze degli Ateniesi di riconquistare l'egemonia nell'Egeo si infransero però nel 406 a.C. in seguito alla sconfitta nella battaglia navale di Nozio (presso Efeso, sulla costa anatolica). 
La successiva vittoria alle isole Arginuse, nell'Egeo settentrionale, non fu sufficiente a evitare la disfatta definitiva di Atene che, priva ormai dell'appoggio della lega delio-attica, fu sconfitta da Sparta nel 405 a.C. nella battaglia di Egospòtami, presso lo stretto dei Dardanelli ( CARTA, p. 216). Nel 404 a.C. gli Spartani occuparono la città, instaurando un nuovo governo oligarchico. Allo stremo delle forze, Atene accettò le durissime condizioni di pace, che imposero l'abbattimento delle mura difensive, il drastico ridimensionamento della flotta, la cessione dei territori al di fuori dell'Attica e l'adesione alla lega peloponnesiaca, sotto l'egemonia di Sparta. 

I Trenta tiranni e la morte di Socrate

Il nuovo governo ateniese fu composto da trenta aristocratici, guidati da Crizia, che furono definiti Trenta tiranni dagli oppositori democratici, vittime di epurazioni e ritorsioni. Questo regime ebbe comunque vita breve: la fazione democratica, guidata da Trasibulo, abbatté il governo oligarchico filospartano nel 403 a.C. Atene aveva ormai perso la forza economica e politica raggiunta durante l'età di Pericle. Iniziò così un periodo di decadenza, caratterizzato tra l'altro dalla ricerca di un capro espiatorio sul quale scaricare le frustrazioni per la sconfitta e per il declino della città. Vittima illustre di questo clima fu il filosofo Socrate, uno dei più grandi pensatori dell'antichità, condannato a morte nel 399 a.C. con l'accusa di corrompere i giovani e di voler sovvertire i valori tradizionali della città.  

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La Grecia nelle mani di Sparta

La guerra del Peloponneso aveva liberato le città greche dall'imperialismo ateniese, ma esso fu ben presto sostituito dal dominio spartano, che impose governi aristocratici e il pagamento di ingenti tributi a tutte le città sottomesse (denaro ma anche soldati e navi). L'egemonia spartana non poteva però durare a lungo: la città non aveva risorse economiche sufficienti per sostenere i costi delle continue spedizioni militari necessarie a controllare il territorio greco, costantemente esposto al rischio di ribellioni. Le rivolte minacciavano la stessa città di Sparta: il numero degli spartiati era piuttosto diminuito a causa delle perdite in guerra, ed essi avevano sempre più difficoltà a mantenere gli iloti in una situazione di soggezione. Come era già avvenuto durante la guerra del Peloponneso, gli Spartani decisero allora di accettare l'aiuto in oro offerto dai Persiani, il cui unico scopo era però quello di accrescere la discordia tra le città greche, per evitare che si unissero nuovamente contro di loro. Nel 395 a.C., infatti, i Persiani riuscirono a stabilire un accordo con le città di Atene, Tebe, Corinto e Argo per contrastare la supremazia spartana. Iniziò così la cosiddetta guerra di Corinto, che per circa dieci anni impegnò le póleis elleniche in un nuovo e sanguinoso conflitto. L'impossibilità, per Sparta, di esercitare il proprio controllo su tutta la Grecia risultò evidente nel 394 a.C., quando la sua flotta fu sconfitta presso Cnido (sulla costa anatolica) da quella persiana, alleata di Atene e delle altre città ribelli. 
Questi continui mutamenti politici contribuirono ad accelerare il declino della civiltà ellenica. Nel 386 a.C., con la pace del re (detta anche di Antalcida, dal nome del negoziatore spartano che la firmò) terminò la guerra di Corinto. L'accordo riconobbe l'egemonia persiana sulle città greche dell'Asia minore, mentre Sparta mantenne la supremazia sulla Grecia continentale grazie a una clausola che impediva alle città greche di allearsi tra loro. L'unico ad avvantaggiarsi di questo trattato di pace fu dunque l'impero persiano, tornato a rivestire un ruolo egemone nel mar Egeo. Del resto già da tempo i Greci, irrimediabilmente divisi al loro interno da rivalità politiche e divergenti interessi economici, avevano perso l'opportunità di opporsi al comune nemico valorosamente sconfitto un secolo prima. 

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L’effimera egemonia tebana

Negli anni successivi si susseguirono nuove guerre e trattati di pace che non riuscirono però ad arrestare la decadenza delle città greche. Nel 382 a.C. Sparta conquistò la Beozia e la sua città principale, Tebe, instaurandovi un regime oligarchico, mentre Atene ricostituì nel 377 a.C. una nuova lega marittima. Le condizioni economiche e politiche erano però mutate e l'alleanza, sciolta nel 355 a.C., fu ininfluente per le sorti della Grecia. Nel 371 a.C., a Lèuttra, in Beozia, gli Spartani vennero sconfitti da Tebe e dalla lega delle città alleate. La vittoria dei Tebani, guidati da Epaminonda, fu possibile grazie alla nuova tattica con cui egli manovrò la falange oplitica. Essendo disposta in senso obliquo, la falange tebana lasciava penetrare il nemico al centro dello schieramento, mentre l'ala sinistra, formata dai soldati migliori, lo accerchiava e lo colpiva sul fianco. L'egemonia tebana riportò al potere i governi democratici nelle città greche, ma questa situazione fu di breve durata. Nel 362 a.C. Tebe sconfisse a Mantinea la lega delle altre città greche, tra cui vi erano anche Sparta e Atene, alleate per combattere la nuova pólis egemone, ma dopo questa battaglia (nella quale perse la guida di Epaminonda) non riuscì a mantenere il predominio sulla Grecia ( CARTA). Il risultato di queste continue guerre fu quello di indebolire irrimediabilmente le città greche, rendendole incapaci di resistere alle nuove minacce provenienti dall'esterno. Fu così che, nella seconda metà del IV secolo a.C., protagonista delle vicende greche divenne una regione dell'area più settentrionale della penisola Ellenica, fino a quel momento rimasta ai margini della storia: il regno di Macedonia

GUIDA ALLO STUDIO

  • Quali furono le cause scatenanti della guerra del Peloponneso?  
  • Quali conseguenze derivarono, nell'assetto politico della Grecia, dalla guerra del Peloponneso?  
  • Quale ruolo svolse l'impero persiano nei conflitti tra le città greche?  
  • Quale città divenne egemone alla fine della guerra?  

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana