TEMA 2b I SETTORI ECONOMICI E LA GLOBALIZZAZIONE

2.6 Il settore primario

La sopravvivenza e il benessere della popolazione mondiale dipendono in modo diretto dalle attività produttive, che fin dalle origini dell’umanità hanno impegnato gli esseri umani nella ricerca e nella produzione di risorse alimentari e nella fabbricazione di manufatti per migliorare le proprie condizioni di vita. Tali attività sono tradizionalmente suddivise in tre grandi settori: il settore primario, al quale appartengono l’agricoltura, l’allevamento, la pesca, la caccia e le attività estrattive; il settore secondario, che comprende le produzioni industriali; il settore terziario, che riguarda i servizi offerti alla comunità.

L’agricoltura tradizionale 

Le attività del settore primario riguardano prevalentemente lo sfruttamento delle risorse naturali; l’agricoltura, in particolare, per vari millenni a partire dal 9000 a.C. circa, è stata la principale fonte di sostentamento dell’umanità.

Fino a pochi secoli fa si continuavano a utilizzare sistemi di coltivazione antichi e tradizionali, basati sull’uso di strumenti semplici, come la zappa e l’aratro, sul lavoro manuale degli esseri umani (quindi su una scarsa meccanizzazione) e sul ricorso a strategie di coltivazione derivate dall’esperienza diretta, come la rotazione delle colture. L’attività agricola caratterizzata dall’utilizzo prevalente di questi sistemi è definita agricoltura di sussistenza, poiché il raccolto nella maggior parte dei casi è destinato all’autoconsumo e non permette di accumulare scorte alimentari da utilizzare come merce di scambio. L’agricoltura di sussistenza, ancora oggi presente in molte parti del mondo dove mancano strumenti e strategie di coltivazione nuovi, può essere suddivisa nelle seguenti categorie ( CARTA):

  • l’agricoltura primitiva, tuttora praticata, insieme alla pastorizia, da popolazioni nomadi dell’Africa e della Cina settentrionale;
  • l’agricoltura pluviale, diffusa nell’Asia sudorientale, che sfrutta la disponibilità di grandi quantità di acqua piovana nelle stagioni delle piogge per usufruire al massimo della capacità produttiva dei terreni;
  • l’agricoltura secca, che viene praticata soprattutto in Africa e in Asia centrale, dove, nonostante l’aridità dei terreni causata dalla scarsità di piogge e la bassa resa dei singoli campi, si ottengono complessivamente produzioni sufficienti a sfamare una buona quantità di individui poiché le coltivazioni sono estese su vaste porzioni di territorio.

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L’agricoltura commerciale 

A partire dalla rivoluzione industriale, tra il XVIII e il XIX secolo, si sono diffusi metodi di coltivazione nuovi e più produttivi, che prevedono l’utilizzo di macchine agricole, di impianti per l’irrigazione, di prodotti chimici (come i concimi e gli antiparassitari) e di nuove varietà ibride; questa innovazione dei sistemi agricoli è stata chiamata rivoluzione verde. La maggiore produttività dei terreni e la conseguente maggiore disponibilità di prodotti hanno decretato il prevalere dell’agricoltura commerciale, che ha come obiettivo l’incremento costante della produzione per avere a disposizione una quantità sempre più elevata di merci da destinare alla vendita. L’uso di sistemi più innovativi presuppone ingenti investimenti di capitali: per questo motivo l’agricoltura commerciale si è sviluppata soprattutto nei Paesi economicamente più avanzati e solo in misura minore nelle nazioni più svantaggiate. Dal punto di vista delle tipologie l’agricoltura commerciale comprende le seguenti categorie ( carta):

  • l’agricoltura intensiva, tipica dei Paesi europei, interessa generalmente superfici abbastanza ridotte ed è caratterizzata da una produttività molto elevata per ogni singola unità di terreno coltivato; questi risultati richiedono notevoli investimenti economici, che consentono di utilizzare mezzi tecnologici sofisticati per sfruttare al massimo le capacità produttive dei suoli;
  • l’agricoltura estensiva, tipica delle vaste praterie americane, consente di ottenere grandi quantità di prodotti agricoli anche con minori investimenti di capitale, poiché sfrutta l’ampia estensione dei terreni, coltivati con mezzi tecnologici moderni;
  • l’agricoltura di piantagione, caratteristica dei Paesi tropicali dell’America centromeridionale, dell’Africa e dell’Asia, si fonda su una produzione specializzata nella coltivazione di un solo tipo di pianta (per esempio caffè, tè, banane, cotone) per mezzo di strumenti agricoli moderni. Questo sistema è definito monocoltura ed è destinato esclusivamente all’esportazione, mentre la produzione per il consumo alimentare dei lavoratori locali resta vincolata a forme di agricoltura di sussistenza, svolta ancora secondo le tecniche agricole tradizionali.

Vantaggi e svantaggi 

La meccanizzazione dell’agricoltura, con l’utilizzo di strumenti sempre più complessi ed efficienti, ha consentito di ridurre sensibilmente i tempi delle attività agricole permettendo a singoli contadini di coltivare terreni sempre più estesi: per esempio, l’agricoltura estensiva fa sì che un solo lavoratore possa occuparsi di terreni centinaia di volte più ampi rispetto a quelli che un intero gruppo di agricoltori sarebbe in grado di lavorare con i sistemi tradizionali; inoltre, un campo che richiederebbe un mese intero di lavoro tradizionale, con i mezzi agricoli moderni viene arato o mietuto in poche ore.

Questa trasformazione ha comportato una notevole diminuzione dei lavoratori addetti al settore primario: attualmente nei Paesi più progrediti la percentuale dei lavoratori agricoli varia dal 2 all’8% sul totale della popolazione attiva, mentre nelle aree più povere dell’Asia e dell’Africa resta ancora al di sopra del 50%.

Anche la diffusione delle monocolture comporta diverse conseguenze: se da un lato questo sistema di coltivazione garantisce un’alta redditività, dall’altro assicura notevoli guadagni soltanto alle compagnie multinazionali (così chiamate perché controllano le produzioni in vari Stati del mondo). I Paesi in cui è praticata l’agricoltura di piantagione dipendono infatti economicamente dai cospicui investimenti di capitali delle multinazionali e sono costretti ad accettare politiche produttive e mercantili penalizzanti. Per esempio, il fatto che i prodotti coltivati a monocoltura siano indirizzati esclusivamente al mercato estero rischia spesso di privare i Paesi produttori di un’importante fonte di sostentamento alimentare. Grazie alla loro importanza economica, inoltre, le compagnie multinazionali riescono a imporre prezzi di vendita molto bassi, che compromettono lo sviluppo economico dei produttori locali. Infine, i costi di queste merci sono vincolati alle fluttuazioni dei mercati internazionali, quindi un eventuale improvviso crollo dei loro prezzi provocherebbe una grave crisi economica nei Paesi produttori.

L’agricoltura commerciale, oltre a svantaggi più prettamente socioeconomici, comporta anche problemi ambientali causati dall’uso sempre più massiccio di prodotti chimici (concimi e antiparassitari) e di carburanti per le macchine agricole, che inquinano i suoli, le acque e i cibi di cui ci nutriamo.

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Cibo in eccesso e carestie 

Le caratteristiche produttive ed economiche dei sistemi agricoli attuali sono tra i fattori responsabili dei gravi squilibri nel sostentamento alimentare della popolazione mondiale, poiché contribuiscono a una distribuzione non equa delle risorse del pianeta: una minoranza di individui, residente nei Paesi economicamente più avanzati, consuma in media il 40% in più del proprio fabbisogno giornaliero, con eccessi alimentari che possono anche provocare gravi problemi di salute.

Con l’attuale capacità produttiva agricola della Terra, infatti, sarebbe possibile nutrire circa 12 miliardi di persone, fornendo loro il fabbisogno energetico sufficiente per vivere in salute. Poiché, come abbiamo già visto, la popolazione mondiale si aggira intorno ai 7 miliardi di individui, sembrerebbe dunque semplice poter sconfiggere il problema della fame nel mondo. Invece, attualmente, muoiono ogni anno per malnutrizione e denutrizione circa 30 milioni di individui.

Un’altra causa della crescente insufficienza alimentare è rappresentata dalle carestie, che solitamente vengono divise in congiunturali e strutturali.

Le carestie congiunturali sono provocate da fenomeni naturali temporanei come alluvioni o siccità, che danneggiano la capacità produttiva e l’economia dei Paesi e determinano un’improvvisa insufficienza di risorse alimentari. Particolarmente colpite da questi fenomeni atmosferici distruttivi sono le regioni delle aree tropicali.

Le carestie strutturali, invece, determinano una cronica mancanza di cibo: nei Paesi più economicamente arretrati la scarsità di risorse alimentari si aggrava in modo progressivo a causa dell’inarrestabile crescita demografica, impedendo così alle popolazioni locali di uscire dal vortice della fame.

Le carestie congiunturali si possono contrastare attraverso gli interventi umanitari, che mirano a fornire in tempi rapidi cibo e generi di prima necessità alle popolazioni colpite: se ne occupano alcune organizzazioni internazionali, come la Fao (Food and Agriculture Organization), un’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura che attraverso il programma alimentare mondiale (World Food Program) cerca di intervenire dove è necessario per garantire la sopravvivenza delle popolazioni e per stabilire progetti di recupero delle capacità produttive dei Paesi colpiti da queste catastrofi.

Molto più difficili da combattere sono invece le carestie strutturali, poiché nel loro caso non si tratta di gestire emergenze, ma di creare le condizioni per lo sviluppo economico delle nazioni più povere, attraverso la costruzione di infrastrutture, come pozzi e canali per l’irrigazione, e l’utilizzo di strumenti tecnologici, come i macchinari agricoli, che richiedono però enormi investimenti.

L’obiettivo è quello di permettere a ogni nazione di raggiungere l’autosufficienza alimentare, senza dover più ricorrere ad aiuti esterni per sfamare la propria popolazione.

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Le biotecnologie e gli Ogm 

Negli ultimi decenni si è cercata una nuova strada per sopperire alla mancanza di risorse alimentari attraverso le biotecnologie: manipolando in laboratorio la struttura genetica degli organismi viventi, gli scienziati hanno creato artificialmente nuove specie di vegetali con valori nutrizionali molto più elevati, allo scopo di ridurre la fame nel mondo. Gli alimenti prodotti con queste ricerche, tra cui vi sono nuovi tipi di ortaggi o di frutti, sono definiti organismi geneticamente modificati (Ogm). Questi non deperiscono e sono immuni dai parassiti presenti in natura; garantiscono perciò una resa produttiva più elevata delle coltivazioni agricole tradizionali e limitano l’impiego di sostanze chimiche nei campi.

Riguardo all’introduzione di queste novità tecnologiche, però, ci sono alcune perplessità: in primo luogo la loro diffusione potrebbe creare squilibri irrimediabili negli ecosistemi, provocando l’estinzione di altre specie naturali; inoltre, la loro assunzione potrebbe risultare in futuro nociva per la salute degli esseri umani.

Le altre attività del primario

Al settore primario appartengono anche altri tipi di attività tradizionali, che un tempo costituivano le principali fonti di sostentamento delle comunità umane e oggi invece sono state quasi completamente sostituite da nuove occupazioni. Tra queste rientrano l’allevamento di bestiame, la pesca, la caccia e le attività estrattive dei minerali dal sottosuolo.

L’allevamento, oltre a fornire risorse alimentari, serve a produrre materie prime, come pelle e lana. Per far fronte alla maggiore domanda di carne, negli ultimi secoli i processi produttivi si sono evoluti e ammodernati. In alcune aree, però, permangono ancora forme più arretrate di allevamento, come la pastorizia nomade.

La pesca, sia di acqua dolce sia di acqua salata, in alcuni Paesi dell’Africa subsahariana e dell’Asia orientale costituisce la base dell’apporto proteico nella dieta della popolazione. La Cina, che ne detiene il primato, produce ogni anno circa 16 milioni di tonnellate di pescato, quasi interamente destinato al consumo interno. Vi sono invece alcuni Paesi industrializzati, come il Giappone, la Norvegia e gli Stati Uniti, nei quali lo sfruttamento delle risorse ittiche degli oceani e dei mari freddi, caratterizzati da grandi quantità di pesce, è destinato prevalentemente all’esportazione. Si tratta di attività ormai inserite in cicli di lavorazione industriale, che da tempo hanno sostituito i metodi di lavorazione tradizionale, consentendo un notevole sviluppo del settore ittico.

La caccia, fin dall’antichità, è stata una delle attività più diffuse tra gli esseri umani per procurarsi il cibo e le materie prime, ossia per garantirsi la sopravvivenza. Oggi ha questa stessa importanza soltanto per alcune comunità che vivono in aree dove le condizioni climatiche non consentono di praticare l’agricoltura o l’allevamento. Nei Paesi industrializzati invece, dove il reperimento di cibo avviene in maniera indiretta, acquistando i prodotti di cui si ha bisogno, la caccia è praticata esclusivamente come attività “sportiva” ed è sempre più osteggiata dalle associazioni ambientaliste che tutelano le specie animali.

L’estrazione dei minerali, sottoposti poi a trasformazione in varie produzioni industriali e manifatturiere, è rimasta fiorente solo in alcune aree del mondo, come il continente americano e la Russia, in quanto ricche di giacimenti minerari; al contrario Europa occidentale e Giappone sono le zone meno dotate di queste risorse.

GUIDA ALLO STUDIO

  • Che cos’è il settore primario? Quali attività comprende?
  • Quali sono le caratteristiche dell’agricoltura tradizionale?
  • Quali novità furono introdotte dalla rivoluzione verde? In quale periodo?
  • Che cosa sono le biotecnologie? Quali vantaggi e quali rischi comportano?

Il nuovo Storia&Geo - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana