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Riscaldamento globale e Stati sommersi

Una catastrofe naturale sta per abbattersi su molti piccoli Paesi insulari del Pacifico, che rischiano di essere inghiottiti per sempre dall’oceano a causa dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. Negli ultimi decenni l’aumento della temperatura media del pianeta ha determinato un lento ma costante scioglimento delle calotte polari, che a sua volta ha provocato l’innalzamento del livello dei mari. Gli esperti prevedono che nei prossimi decenni si potrebbe verificare un aumento medio della temperatura globale di circa 2 °C, che porterebbe a un innalzamento degli oceani pari ad alcuni metri, sufficiente a sommergere moltissime isole e aree costiere del mondo, e a costringere decine di milioni di persone ad abbandonare le proprie case.
Tuvalu, Isole Salomone, Figi, Kiribati, Nauru, Vanuatu sono solo alcuni degli Stati dell’Oceania che rischiano di scomparire. Il territorio di questi micro-Stati è formato perlopiù da piccole e piccolissime isole di origine corallina, gli atolli, il cui terreno spesso si trova solo qualche metro al di sopra del livello medio dell’oceano. Ma per rendere queste isole inabitabili sarebbe sufficiente un innalzamento di qualche decina di centimetri, che causerebbe l’allagamento totale del loro territorio in caso di maree straordinarie e tempeste tropicali. E questi fenomeni atmosferici estremi si verificano con maggiore frequenza nella regione, sempre a causa del riscaldamento globale, che provoca un aumento della temperatura e quindi dell’energia trattenuta dalle acque e dall’atmosfera; energia che si scarica sotto forma di violenti cicloni.
Il 13 marzo 2015, per esempio, uno dei più potenti cicloni mai formatisi nel Pacifico ha colpito l’isola di Vanuatu causando gravi devastazioni e lasciando senza casa 75.000 persone.
I Governi degli Stati più colpiti, che spesso ospitano solo poche decine o centinaia di migliaia di abitanti, sono impotenti di fronte a tali fenomeni di scala mondiale.
Alcuni si stanno preparando a soluzioni estreme, come l’evacuazione di tutta la popolazione in Paesi vicini, e hanno iniziato ad acquistare lotti di terreno in Nuova Zelanda e Papua Nuova Guinea per affrontare un eventuale trasferimento di massa. È il fenomeno dei profughi climatici, che si prevede in aumento nel prossimo futuro a seguito di eventi atmosferici estremi.
Eppure c’è ancora la speranza che non si arrivi a tanto: nel 1990, 44 Stati insulari degli Oceani Pacifico, Atlantico e Indiano hanno formato l’AOSIS (Alliance of Small Island States, Alleanza dei Piccoli Stati Insulari) con l’obiettivo di dare voce ai problemi che li affliggono. Nel 2015, a Parigi, i capi di Governo dell’AOSIS hanno lanciato un drammatico appello nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP21): se tutti i Paesi del mondo non si fossero subito accordati per contenere l’aumento della temperatura globale sotto gli 1,5 °C, gran parte degli Stati insulari sarebbe stata condannata a scomparire nel giro di pochi decenni. Il successo della Conferenza, che ha accolto le richieste dell’AOSIS, ha rappresentato una vittoria per i Paesi del Pacifico. E non è un caso che il primo dei 178 Governi che hanno finora firmato gli Accordi di Parigi sul contrasto ai cambiamenti climatici sia stato proprio quello delle Isole Figi, nel febbraio 2016.


Per conoscere l’Alleanza dei Piccoli Stati Insulari: http://aosis.org

Geoblog - volume 3
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