AMERICA – AMERICA ANDINO-AMAZZONICA

GEOOGGI

I biocarburanti e il pericolo deforestazione

Il Brasile è il Paese in cui circola il maggior numero di veicoli alimentati a bioetanolo, un combustibile che fa parte della famiglia dei biocarburanti. Si tratta di risorse energetiche ottenute da masse organiche (cioè da vegetali) e non da riserve presenti nel sottosuolo (come il petrolio), perciò sono considerate rinnovabili. Il bioetanolo è semplice alcol, ricavato dalla trasformazione degli zuccheri presenti in alcune piante mediante un procedimento molto simile a quello impiegato per produrre determinate bevande alcoliche. I motori di automobili e altri veicoli, normalmente alimentati con la benzina e il gasolio, possono essere modificati per funzionare con questo carburante.
Il principale vantaggio rispetto ai derivati del petrolio è costituito dal fatto che il bioetanolo, bruciando, produce solo anidride carbonica (e in misura minore) e nessun’altra sostanza inquinante. Questo ha permesso alle città brasiliane di avere livelli di inquinamento atmosferico relativamente più bassi rispetto alle città di analoghe dimensioni nel resto del mondo. L’etanolo ha poi un valore strategico: grazie al suo uso, infatti, il Paese ha potuto ridurre in modo significativo la propria dipendenza energetica dal petrolio e risparmiare sui costi di importazione. Essendo un Paese a vocazione agricola, inoltre, il Brasile produce sul proprio territorio tutto l’etanolo che consuma, con ricadute positive sull’economia locale e sull’occupazione.
L’uso dei biocarburanti presenta tuttavia alcuni gravi svantaggi. I terreni impiegati per la coltivazione delle piante da cui si ricava l’etanolo, soprattutto canna da zucchero, vengono infatti sottratti alle coltivazioni destinate al consumo alimentare, come la soia, e ciò ha causato negli ultimi anni una diminuzione della produzione e un conseguente, costante aumento del prezzo di alcuni prodotti alimentari.
E gli aspetti negativi non finiscono qui: l’aumento della domanda di prodotti alimentari induce naturalmente gli agricoltori a incrementarne la produzione, e il modo più economico per farlo è estendere la superficie dei campi coltivati. Ma questa espansione va spesso a scapito delle foreste, che vengono disboscate per fare posto a nuovi terreni agricoli. La principale causa della deforestazione in Brasile non è infatti l’attività dell’industria del legname, bensì la domanda crescente di nuovi terreni fertili da adibire a pascolo o a campi coltivati. Le aree più a rischio sono la Selva amazzonica, il Pantanal e il Mato Grosso. In particolare, la superficie della Selva amazzonica, il “polmone verde” del pianeta, si è ridotta del 17% negli ultimi 50 anni. Nonostante il ritmo della deforestazione sia oggi diminuito, annualmente scompaiono ancora quasi 6000 km2 di foresta.
Secondo il WWF (World Wildlife Fund) la deforestazione contribuisce al 15% dei gas serra prodotti ogni anno nel pianeta, dal momento che riduce la quantità di piante che consumano anidride carbonica per compiere i loro processi vitali. L’abbattere alberi per incrementare la produzione di biocarburanti, che almeno in teoria inquinano meno rispetto ad altri combustibili come il petrolio, non sembra quindi la soluzione migliore per risolvere il problema dell’inquinamento e dell’effetto serra.

Geoblog - volume 3
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