Il settore secondario in Europa

L’ECONOMIA

Il settore secondario in Europa

L’Europa, culla della Rivoluzione Industriale, è ancora oggi un continente largamente industrializzato, nonostante il settore secondario occupi ormai solo il 22% dei lavoratori. Alcuni ambiti, come quello tessile, l’alimentare e l’edilizia, continuano a impiegare una manodopera numerosa, ma in genere le capacità produttive via via crescenti, accumulate grazie alle macchine e alla tecnologia, fanno sì che a gestire i processi produttivi bastino ormai sempre meno persone.
Analizzando il settore secondario europeo, bisogna inoltre tenere presenti le forti differenze territoriali: accanto a Paesi come Germania, Regno Unito, Francia e Italia, che fanno parte del ristretto gruppo dei Paesi più industrializzati del mondo, esistono regioni, come il Portogallo e la Spagna Sud-Occidentale, l’Italia Meridionale, la Grecia, con un apparato industriale meno sviluppato.

Una grande varietà di comparti

Il settore industriale europeo comprende ogni genere di produzione industriale: sono presenti industrie di base (l’Europa ha il primato mondiale nell’industria chimica (11)); industrie di trasformazione (quella automobilistica, per esempio, è molto importante); settori di punta dell’industria avanzata, da cui dipende in buona parte la forza economica europea sul mercato mondiale. Tra questi ultimi sono fondamentali i comparti che producono macchinari ad alta tecnologia, le cui industrie possiedono storicamente importanti quote di mercato in tutto il mondo: per esempio, il comparto aerospaziale e quello della produzione di macchine industriali, delle quali la Germania è tra i primi esportatori al mondo.

GRANDI MULTINAZIONALI E IMPRESE MEDIO-PICCOLE

In Europa hanno sede molte imprese multinazionali, cioè grandi società che svolgono la loro attività in più Paesi, mantenendo in quello di origine solo alcune fasi di produzione (talvolta solo il controllo e l’amministrazione). L’Ikea, per esempio, leader mondiale dell’arredamento, è stata fondata in Svezia, ha la sua sede legale nei Paesi Bassi e punti vendita in tutta Europa.

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La forza industriale europea non è però data solo da questi “giganti” dell’economia: fondamentale è il peso economico di una ricca e variegata struttura di piccole (meno di 50 dipendenti) e medie imprese, che grazie alla qualità dei loro prodotti riescono a esportare in tutto il mondo.

LE PRINCIPALI REGIONI INDUSTRIALI EUROPEE

Come puoi vedere dalla carta, le industrie europee sono concentrate in alcune aree o regioni industriali.

  • Nel Regno Unito, in Belgio e soprattutto nella regione della Ruhr, in Germania, dove un tempo si trovavano i grandi giacimenti carboniferi, ci sono ancora oggi i maggiori stabilimenti siderurgici per la produzione di acciaio.
  • Molto industrializzate sono anche la vasta regione intorno al delta del Reno, da Anversa (in Belgio) a Groninga (nei Paesi Bassi), l’agglomerato di Parigi, la Lorena francese, l’Italia Centro-Settentrionale (in particolare la Pianura Padana). È la parte d’Europa dove si concentrano i maggiori porti, le grandi città, le più importanti vie di comunicazione.
  • Un terzo asse industriale comprende a est i poli di San Pietroburgo e Mosca (in Russia) e il bacino carbonifero del Donbass, in Ucraina.
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LE DIFFICILI SFIDE DELL’INDUSTRIA EUROPEA

Il settore secondario europeo sta conoscendo una profonda crisi, che si è aggravata soprattutto a partire dal 2010, con conseguenze pesanti su milioni di persone e un cambiamento nel modo stesso di concepire il mondo del lavoro.
Per comprendere la situazione attuale, non bisogna dimenticare che l’Europa è ormai inserita in un contesto economico globale: oggi prodotti, ricchezze, manodopera circolano rapidamente e facilmente da un Paese all’altro e, di conseguenza, le economie di tutti i Paesi del mondo sono interconnesse tra loro. L’Europa si trova così in competizione non solo con le economie storicamente più sviluppate, come quelle di Stati Uniti e Giappone, ma anche con quelle dei cosiddetti Paesi emergenti, che stanno acquisendo importanza sempre maggiore nel quadro mondiale. La Cina, per esempio, che ha un peso demografico enorme e straordinaria disponibilità di manodopera, ha conquistato rapidamente grandi fette di mercato in settori industriali come quello tessile o dell’abbigliamento, mentre l’India ha sopravanzato di gran lunga l’industria informatica europea.
Chi riesce a produrre merci a prezzi inferiori, cioè i Paesi dove il lavoro e le materie prime costano meno, o di qualità superiore, grazie alla specializzazione, alla ricerca, alla formazione, ha oggi la possibilità di venderle quasi ovunque grazie allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, “conquistando” i mercati di Paesi anche molto lontani e mettendo in difficoltà le industrie che vi operano e che producono a costi maggiori (o con una qualità inferiore).

Imprese “mobili” e “flessibili”

Per poter essere più concorrenziali sul mercato mondiale, già a partire dalla fine del secolo scorso le industrie europee, sempre meno legate alla vicinanza di miniere, di fonti di energia, di fiumi e di porti (la materia prima può essere portata anche da lontano), hanno cominciato a spostare altrove i loro stabilimenti in cerca di condizioni produttive migliori: molte aziende dell’Europa Occidentale, per esempio, hanno aperto fabbriche nei Paesi dell’Europa Orientale, dove gli operai sono pagati meno (12). Questo fenomeno è detto delocalizzazione.

Un’altra tendenza generale è inoltre quella di ridurre le dimensioni degli stabilimenti per accentuarne la flessibilità, cioè la capacità di cambiare rapidamente in relazione alle richieste del mercato: imprese più piccole, che impiegano meno lavoratori e che possono essere riorganizzate più velocemente, rispondono e si adeguano meglio alle tendenze di un mercato in continua evoluzione.

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Una nuova concezione del posto di lavoro

Con la crisi dell’industria europea, nei Paesi avanzati si è assistito a un aumento della disoccupazione (13). Lo stesso mondo del lavoro è cambiato: il posto fisso, che rimaneva lo stesso per anni o addirittura per tutta la vita lavorativa, è sempre più una rarità. Oggi i lavoratori sono spesso costretti ad affrontare condizioni di precariato e insicurezza e a cambiare lavoro frequentemente, talvolta con periodi di disoccupazione tra un impiego e l’altro; devono inoltre far fronte alla necessità di una formazione e di un aggiornamento continui per riqualificarsi e rimanere al passo con le conoscenze che evolvono rapidamente in ogni campo lavorativo (si parla di long life learning: apprendimento per tutta la durata della vita).
Per quanto riguarda l’impatto sul territorio, molte aree industriali, che un tempo erano sede di grandi impianti e stabilimenti, sono state dismesse e risanate, e i vecchi edifici sono stati demoliti o riconvertiti (14), cioè recuperati per altri usi, dando vita a zone residenziali, commerciali o che offrono servizi. I vecchi stabilimenti talvolta sono diventati anche siti di archeologia industriale: architettura e spazi vuoti che testimoniano in modo suggestivo una cultura industriale profondamente diversa da quella di oggi.

GUIDA ALLO STUDIO

FISSO I CONCETTI 

1 Qual è la percentuale di impiegati nel settore secondario in Europa? Quale realtà rispecchia questa percentuale?

2 Qual è la dimensione delle industrie europee?

3 Quali sono le principali regioni industriali europee?

4 Perché la tendenza è verso la delocalizzazione e la flessibilità?

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L’Italia e l’Europa