2 - Caracalla: l’estensione della cittadinanza

Unità 9 ROMA: L’ETÀ IMPERIALE >> Capitolo 25 – L’impero verso la crisi

Il peso delle province e la crisi economico-finanziaria

Il ruolo sempre più importante che i provinciali avevano assunto nelle istituzioni era la logica conseguenza del crescente peso economico e politico acquisito dalle province, in concomitanza con la perdita di importanza della penisola italica. Tra gli abitanti delle aree periferiche dell’impero venivano ormai scelti non solo i membri del senato, gli ufficiali dell’esercito e i funzionari della burocrazia, ma a partire dal II secolo anche gli stessi imperatori.
Di questi mutamenti tenne conto la riforma amministrativa delle province voluta da Settimio Severo, che prevedeva la divisione delle vecchie ripartizioni territoriali in aree più ristrette. Il fine principale della riorganizzazione era quello di risanare le finanze statali, rendendo più efficiente la riscossione dei tributi ed evitando che i governatori locali, che controllavano le truppe stanziate ai confini, ottenessero un potere eccessivo e dunque pericoloso per la stabilità dell’impero.
Grazie all’incremento dei tributi, che gravavano prevalentemente sui grandi proprietari terrieri e, di conseguenza, sui coloni che lavoravano i campi alle loro dipendenze in una condizione ormai pressoché servile, Settimio Severo ottenne in effetti buoni risultati, risollevando le finanze statali duramente provate dagli enormi sprechi dell’età di Commodo.

Gli interventi di Settimio nella politica monetaria

L’aumento della pressione fiscale non fu il solo provvedimento adottato per tenere sotto controllo la gravità della crisi delle finanze statali. Settimio Severo (sull’esempio di altri suoi predecessori) decise di intervenire anche in merito alla politica monetaria. Le spese militari, quelle per mantenere la corte e l’apparato statale, quelle per ingraziarsi il consenso della plebe romana e quelle per l’edilizia pubblica impedivano la formazione di riserve monetarie. Settimio mantenne la separazione tra erario e fisco e intervenne sul conio delle monete. Per contrastare la scarsità di metalli preziosi causata dalla crisi economica, furono coniate monete con una quantità sempre più ridotta (fino al 50%) di oro e di argento e, dunque, con una diminuzione del loro valore nominale (tale valore infatti era dato dalla percentuale di metallo prezioso, oro o argento, in esse contenuta).
In questo modo l’imperatore poté ristabilire un certo equilibrio monetario ed economico, sufficiente a rinviare un’ulteriore crisi di qualche anno. Tuttavia, il risanamento economico dello Stato non comportò un reale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione poiché la maggior parte delle risorse imperiali continuò a essere impiegata per finanziare l’esercito.

I due gruppi sociali dell’impero: honestiores e humiliores

Durante il principato di Settimio Severo si approfondirono ancora di più le radicali disuguaglianze che da sempre caratterizzavano la società romana, rendendo ancor più sensibilmente visibile la divisione in due grandi gruppi:

  • gli honestiores, cioè, letteralmente, i cittadini “più dignitosi”, che costituivano la classe dirigente dell’impero. Ne facevano parte senatori, cavalieri, governatori locali, funzionari dell’amministrazione statale e dell’esercito;
  • gli humiliores, i “più poveri”, ossia i lavoratori delle campagne e delle città e i nullatenenti, che si trovavano in una situazione di inferiorità non solo dal punto di vista economico, ma anche giuridico, dal momento che per gli stessi reati erano previste pene diverse a seconda della classe di appartenenza.
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2. Caracalla: l’estensione della cittadinanza

Per assicurare la continuità della sua dinastia, dare stabilità al governo e impedire l’insorgere di nuove guerre civili, Settimio Severo utilizzò la consuetudine di associare al trono imperiale la figura del successore designato. A differenza di quanto era accaduto durante tutta l’epoca del principato adottivo, però, tale designazione non fu concordata con le altre istituzioni (e con il senato in particolare). In virtù del suo potere assoluto, infatti, nel 198 Settimio Severo associò al potere i due figli, avuti dalla moglie Giulia Domna: Lucio Settimio Bassiano (che nel 195 aveva cambiato il suo nome in Marco Aurelio Antonino, per suggerire una parentela con l’imperatore Marco Aurelio e legittimare l’ascesa al potere) e Publio Settimio Geta.

Un imperatore violento e vendicativo

Settimio Severo morì nel 211 ed entrambi i figli vennero proclamati imperatori, anche se Bassiano, più noto come Caracalla dal nome del mantello militare (il caracallis), l’anno successivo divenne di fatto l’unico imperatore, dopo aver assassinato il fratello con l’aiuto di alcuni pretoriani corrotti e averlo condannato alla damnatio memoriae ( p. 42). Nel 213 eliminò anche il prefetto del pretorio, il giurista Papiniano, uno dei principali consiglieri del padre, poiché temeva che potesse essere un concorrente al trono imperiale. Caracalla mostrò così la sua indole violenta e vendicativa, di cui è esempio significativo anche l’episodio avvenuto ad Alessandria d’Egitto: poiché un’opera satirica, lì diffusa, ridicolizzava la ragione da lui addotta per giustificare l’omicidio del fratello – la legittima difesa –, egli consentì alle sue truppe il saccheggio della città e lo sterminio della popolazione.
In politica interna Caracalla perseguì ambiziosi progetti edilizi per la capitale dell’impero, di cui restano, tra l’altro, le imponenti terme che portano il suo nome al centro di Roma.

L’estensione della cittadinanza

Nel 212 d.C., dopo aver dunque eliminato i suoi avversari reali o potenziali, Caracalla promulgò una “costituzione” (come erano chiamate le leggi emanate dall’imperatore), cioè un editto che aveva validità in tutti i territori dell’impero e che prese il nome di Constitutio antoniniana, dal nome Antonino che, come abbiamo visto, si era dato anni prima. Il provvedimento estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti delle province. In qualche modo era il riconoscimento dell’ormai consolidata parità tra Italici e provinciali e giungeva al termine di quel processo di “integrazione” che va sotto il nome di  romanizzazione.
Le vere motivazioni di tale provvedimento erano molto pratiche: tra queste vi era per esempio la necessità di rendere più agevole il compito degli uffici e dei tribunali uniformando lo stato giuridico delle popolazioni. Non secondarie erano le ragioni economiche e fiscali: infatti, l’estensione della cittadinanza comportava l’allargamento dell’ area dei contribuenti ai quali lo Stato poteva imporre il pagamento di tributi di varia natura, non solo quelli sul reddito ma, per esempio, anche quelli legati alle successioni ereditarie.
La Constitutio concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi delle province dell’impero, mentre continuavano a rimanerne esclusi gli schiavi e i dediticii, cioè coloro che facevano parte di popolazioni che si erano arrese a Roma e che, pur essendo insediate all’interno dei confini imperiali, erano ancora estranee alla cultura dominante greco-romana e non potevano perciò considerarsi romanizzate a tutti gli effetti. Era il caso, per esempio, degli abitanti di vaste aree rurali o di gruppi nomadi (come le tribù di origine germanica penetrate nell’impero ai tempi di Marco Aurelio). La cittadinanza romana restava quindi un privilegio che caratterizzava la condivisione di valori di riferimento, di modelli di comportamento e di vita quotidiana.

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La morte di Caracalla e il breve periodo di Macrino

L’allargamento dei contribuenti stabilito dalla Constitutio antoniniana non fu però sufficiente a risanare il bilancio imperiale. Gran parte dei tributi venne infatti assorbita dall’esercito, che richiedeva ingenti risorse non solo per il finanziamento delle campagne militari, ma anche per le frequenti elargizioni di denaro a favore dei soldati, necessarie per mantenere la loro fedeltà all’imperatore.
Caracalla dovette d’altronde affrontare numerose guerre contro le popolazioni che minacciavano i confini. Nel 212 si scontrò con gli Alemanni, una confederazione di tribù germaniche dell’Europa centrale, riuscendo a contenerne l’avanzata e stringendo con loro una pace duratura. Negli anni seguenti fu impegnato dalle operazioni militari nei Balcani, lungo la frontiera danubiana, dove riuscì a dominare la ribellione della Dacia e sconfisse i Quadi, i Goti e i Carpi (213-215).
Nel 215 organizzò una spedizione contro i Parti, che però non riuscì a portare a termine.
Nel 217, infatti, mentre si trovava a Carre (in Siria) per una seconda campagna militare, fu ucciso da una congiura organizzata dal prefetto del pretorio Marco Opellio Macrino.
Abbandonato il teatro di guerra, Macrino tornò a Roma e si fece incoronare imperatore.
Il suo principato durò però soltanto pochi mesi. La famiglia dei Severi, infatti, si riorganizzò e, per riconquistare il potere, utilizzò le immense ricchezze che aveva a disposizione, corrompendo l’esercito imperiale, fortemente insoddisfatto dalla politica di austerità intrapresa da Macrino. Nel 218, Giulia Mesa, potente cognata di Settimio Severo, approfittò della debolezza dell’avversario e, con l’appoggio dell’esercito, riuscì a rovesciare Macrino, facendo eleggere il giovane nipote Sestio Vario Avito Bassiano (218-222), passato alla storia con il nome di Elagàbalo.

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L’editto di Caracalla e la questione della cittadinanza

L’editto di Caracalla, con cui si tentò di dare uniformità di condizioni a tutti gli abitanti “liberi” dell’impero, si pone come snodo del lungo confronto interno alla società romana riguardante la questione della cittadinanza (problematica già affrontata con esiti diversi dall’imperatore Claudio e, prima ancora, da Mario e Cesare). Precedentemente, la scelta di procedere con la naturalizzazione a cittadini romani nei confronti di singoli individui, di alcuni o tutti gli abitanti di una città o di un insieme di città poteva avvenire per varie ragioni: per aver combattuto lealmente al fianco di Roma, per aver fatto da mediatori tra la propria città e Roma, per meriti speciali o al momento del congedo militare.
Un papiro egizio degli inizi del III secolo d.C. contiene il testo della solenne proclamazione dell’editto imperiale: «Do la cittadinanza romana a tutti gli stranieri che abitano l’ecumene, consentendo loro di conservare anche il diritto di cittadinanza [diritti di cittadinanza previsti dalle leggi delle loro città di origine], con la sola eccezione di coloro che si sono arresi [i dediticii] a Roma e che si sono posti sotto la sua protezione».
Le motivazioni economiche che spinsero Caracalla a promulgare il suo editto sono invece esplicitate dallo storico romano di lingua greca Cassio Dione, vissuto tra il II e il III secolo d.C.: «Caracalla dichiarò cittadini romani tutti coloro che erano sottomessi al suo potere, a parole per onorarli, in realtà per poter ottenere maggiori entrate grazie a questo provvedimento, poiché gli stranieri non pagavano gran parte dei tributi riservati ai cittadini».
Questo editto, pur nella sua stringata formulazione, ebbe conseguenze importanti e significative: per esempio, tutte le città furono di fatto poste sullo stesso livello e, quindi, qualsiasi località poteva essere prescelta a capitale dell’impero; inoltre, si sarebbe ottenuta una maggior integrazione degli usi e delle consuetudini locali, il diritto romano avrebbe prevalso come punto di riferimento giuridico per tutti, e i ceti dirigenti locali sarebbero stati coinvolti nella difesa dell’integrità e della dignità dell’impero. Fu dunque un provvedimento, oltre che realisticamente necessario, anche benefico e vantaggioso.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille