PERCORSO L’EUROPA

1. Lo spazio fisico dell’Europa

L’ Europa è uno dei 6 continenti in cui sono suddivise le terre emerse, di cui costituisce solo il 7%, con una superficie di circa 10,4 milioni di km2. Presenta un’estensione di circa 4200 km da nord a sud, considerando come estremi i punti situati rispettivamente presso Capo Nord, in Norvegia, e sull’isola di Gavdos, vicino a Creta, e di circa 5400 km da ovest a est, con Dunmore, in Irlanda, a segnare l’estremità occidentale e le coste del mare di Kara, nella Russia settentrionale, quella orientale.
Se i confini europei sono netti e segnati dalle acque a nord, a ovest e a sud, a est la questione del confine con l’Asia è più complessa, poiché i due territori non sono separati da oceani o mari, ma costituiscono un unico blocco continentale: l’Eurasia.
A differenziare i due continenti, più che elementi geografici, sono principalmente fattori storici e culturali, legati alle vicende che li hanno caratterizzati: per questo motivo i confini tra Europa e Asia sono fissati in gran parte per una convenzione in base alla quale si è proposto di spostare verso settentrione il confine sudorientale dell’Europa, dal crinale della catena montuosa del Caucaso fino alla depressione creata dal corso dei fiumi Kuma e Manyč tra il mar Nero e il mar Caspio.
Questa suddivisione convenzionale, però, non coincide con i confini amministrativi degli Stati: la Federazione Russa infatti risulta appartenente all’Europa per la sua parte occidentale e all’Asia per il resto del suo vastissimo territorio; inoltre si tende a considerare come parte dell’Europa le repubbliche caucasiche, Georgia, Armenia e Azerbaigian, situate a sud del Caucaso, e la Turchia.
La vastità del continente fa sì che le sue caratteristiche fisiche e climatiche siano molto differenziate nelle varie zone, dal clima freddo generato dal circolo polare artico alla dolcezza delle temperature dell’area mediterranea.

La corrente del Golfo

La corrente del Golfo è una corrente oceanica calda generata dalla differenza di calore e di salinità tra le acque situate nel golfo del Messico; il suo percorso è determinato dai venti e dalla rotazione della Terra (infatti le acque della corrente vengono “trascinate” dalla Terra nella sua rotazione verso est). All’inizio del suo percorso la corrente è larga oltre 100 km e ampia dagli 800 ai 1200 m. Si muove a una velocità variabile dai 3 ai 6 km/h e ha acque tiepide: la sua temperatura è costante per tutto l’anno ed è compresa tra i 20 e i 27 °C circa, paragonabile a quella delle acque del Mediterraneo d’estate. La Corrente sale dal golfo del Messico verso il Canada, poi attraversa diagonalmente l’oceano Atlantico e a sud dell’Islanda si divide in tre rami: uno prosegue perdendosi tra i ghiacci della Groenlandia; uno, dal mar di Norvegia, curva da un lato verso il mare del Nord, dall’altro verso le isole Svalbard e il mar di Barents; il terzo, infine, si piega a lambire le coste inglesi. La presenza della corrente del Golfo è il principale fattore che spiega perché le temperature medie di certe regioni dell’Europa occidentale, come la Gran Bretagna, sono più alte rispetto a quelle di regioni poste alla stessa latitudine ma dall’altro lato dell’oceano, come le coste orientali degli Stati Uniti e del Canada, non toccate dalla corrente del Golfo bensì da correnti fredde, come la corrente del Labrador, che svolgono un’azione opposta.

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2. La ricchezza linguistica e religiosa del continente

La lingua e la religione sono, oggi come nei secoli passati, i fattori più importanti che contribuiscono a formare l’identità di un popolo, influenzandone profondamente la storia, la cultura, l’arte e molti aspetti della vita quotidiana. Nella storia europea non sono purtroppo mancati, e in alcuni casi si manifestano ancora oggi, attriti, tensioni e vere e proprie guerre causate da differenze linguistiche e religiose tra gruppi residenti nella stessa regione o in regioni confinanti. Nonostante ciò, rispetto alle altre zone del mondo, nei Paesi europei le diversità linguistiche e religiose sono ben tollerate, e in molti casi sono tutelate dagli stessi governi tramite apposite leggi.

La famiglia indoeuropea e le sue particolarità

La maggioranza delle lingue europee appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea. Si tratta di un gruppo di lingue che, secondo gli studiosi, deriva da una radice comune: la lingua parlata dai popoli che intorno al 2000 a.C. migrarono dalle steppe dell’Asia, stabilendosi in parte nella valle dell’Indo e in parte nell’Europa meridionale e occidentale. Queste lingue presentano diverse somiglianze nel vocabolario, nella grammatica e nella sintassi, tutti elementi che hanno permesso ai linguisti di stabilire la loro origine comune. Tra le lingue indoeuropee parlate in Europa (non considerando quindi quelle diffuse in Asia e in particolare nel subcontinente indiano, come l’hindi) si distinguono tre gruppi linguistici principali, o “sottofamiglie”: le lingue neolatine, le lingue germaniche e quelle slave. Le lingue neolatine sono la traccia lasciata dalla conquista romana dell’Europa. Derivano infatti dalla fusione del latino, parlato dai Romani, con le lingue dei popoli assoggettati. Le principali sono l’italiano, il francese, il portoghese, lo spagnolo e il rumeno. Le lingue germaniche derivano dalle lingue degli antichi popoli germanici stanziati fin dal I millennio a.C. nell’Europa centrosettentrionale (le popolazioni chiamate “barbari” dai romani).
Comprendono il tedesco, l’olandese, il fiammingo, le lingue scandinave (danese, norvegese, svedese, islandese) e l’inglese. Le lingue slave si sono diffuse in seguito all’espansione di antichi popoli provenienti dalle pianure dell’attuale Russia verso le aree dell’Europa orientale, allora quasi completamente disabitate. Comprendono russo, bielorusso, ucraino, ceco, slovacco, polacco, bulgaro, sloveno, serbo-croato e macedone. In Europa si parlano inoltre lingue indoeuropee appartenenti a “sottofamiglie” oggi meno diffuse, come le lingue celtiche, parlate in Irlanda, Scozia, Galles e Bretagna, e le lingue baltiche, così chiamate perché parlate in Lettonia e Lituania, Paesi che si affacciano sul mar Baltico.
Nel continente sopravvivono però anche lingue che non derivano dall’indoeuropeo e che sono probabilmente più antiche degli idiomi appartenenti a questa famiglia. Si tratta del basco, parlato nella regione dei Paesi Baschi tra il Nord della Spagna e il Sud della Francia; del turco, parlato in Turchia e in alcune aree dell’Europa orientale; e delle lingue appartenenti alla famiglia ugro-finnica, così chiamata perché comprende l’ungherese e il finlandese, oltre all’estone. Il basco, in particolare, è una lingua di grande interesse per gli studiosi perché è un idioma “isolato”, che non appartiene ad alcuna delle famiglie linguistiche conosciute. L’ipotesi prevalente è che si tratti dell’unica sopravvissuta delle antichissime lingue parlate in Europa prima dell’arrivo degli indoeuropei, e per questo viene considerata l’unica rappresentante dell’ipotetica famiglia delle lingue pre-indoeuropee.
In quasi tutti i Paesi europei esistono poi minoranze linguistiche, cioè gruppi di individui che parlano, storicamente, una lingua diversa da quella usata dalla maggior parte della popolazione. In molti casi queste minoranze sono riconosciute ufficialmente e nelle regioni dove queste sono particolarmente consistenti può essere adottato il bilinguismo, cioè l’impiego di due lingue ufficiali. Vi sono poi Paesi definiti plurilingui, dove la popolazione è quasi equamente divisa in due o più gruppi che parlano lingue diverse, tutte riconosciute ufficialmente. È il caso della Svizzera, dove al tedesco (parlato nella parte centrosettentrionale del Paese) si affiancano il francese (nella Svizzera occidentale), l’italiano (nel Canton Ticino) e il reto-romancio, lingua di origine neolatina parlata in alcune vallate montane; oppure del Belgio, dove la lingua ufficiale è il francese, ma si parlano anche il vallone (un dialetto francese) e il fiammingo (simile all’olandese). Infine, oltre alle lingue parlate in un Paese, sono sempre più numerose le lingue “importate” dagli immigrati che vi si trasferiscono da altri Stati e continenti. Tra le lingue di origine non europea parlate oggi con maggior frequenza nei Paesi europei ci sono l’arabo e il cinese.

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Vecchie e nuove religioni

La religione più diffusa in Europa è il cristianesimo, divisa in tre confessioni principali, storicamente praticate nel continente: quella cattolica, quella ortodossa e quella protestante, che a sua volta è suddivisa in più confessioni. Esistono inoltre altre confessioni cristiane, a cui aderiscono un numero minore di persone, che spesso hanno un’origine più recente, come i testimoni di Geova e i mormoni. In Europa sono praticate anche le altre due grandi religioni monoteiste, l’ebraismo e l’islam. Piccole comunità ebraiche sono presenti in quasi tutta l’Europa, anche se oggi gli ebrei sono meno numerosi di un tempo (fino alla prima metà del XX secolo gli ebrei europei erano svariati milioni, concentrati soprattutto nell’Europa centrale e orientale), in seguito al genocidio perpetrato dalla Germania nazista durante la seconda guerra mondiale e all’emigrazione, negli anni precedenti o seguenti il conflitto, in altri continenti, soprattutto negli Stati Uniti e in Israele.
È in crescita il numero dei musulmani: agli abitanti di Paesi dove l’islam è diffuso da secoli, come l’Albania, la Macedonia e la Bosnia-Erzegovina, nei quali questa religione è un’eredità della secolare dominazione dell’impero ottomano, si sono aggiunti negli ultimi anni gli immigrati arrivati in Europa dai Paesi a maggioranza musulmana, come gli Stati arabi del Mediterraneo e del Medio Oriente. In tempi recenti è aumentato anche il numero di coloro che si avvicinano a religioni o forme di pensiero provenienti dall’Oriente, come il buddismo e l’induismo. Un fenomeno importante è infine l’aumento di coloro che non aderiscono ad alcuna religione.

3. Popolazione e insediamenti in Europa

Oggi in Europa vivono più di 700 milioni di persone e fin dall’antichità il continente europeo è stato densamente abitato. La ragione di questa folta presenza è semplice: la maggior parte del territorio europeo presenta condizioni ambientali favorevoli, che hanno permesso alle comunità umane di prosperare. È infatti caratterizzato da terre fertili e ricche di corsi d’acqua e da climi per lo più di tipo temperato, senza estremi di caldo e freddo. Questi elementi hanno consentito lo sviluppo dell’agricoltura, requisito indispensabile per la nascita di comunità e insediamenti numerosi come quelli europei. Una presenza umana così massiccia e storicamente attestata ha portato all’espansione in quasi tutto il continente di una fitta rete di centri urbani, la maggior parte dei quali di antica fondazione.

Un continente densamente popolato

L’Europa ha una superficie molto inferiore a quella di Asia, America e Africa, ma in rapporto a essa la sua popolazione è molto numerosa. La densità della popolazione europea è infatti molto alta, pari a 68 ab/km2, un dato che, tra i continenti, è secondo soltanto a quello dell’Asia. Non va però dimenticato che si tratta di un dato medio, e che in realtà la distribuzione della popolazione europea non è uniforme: vi sono infatti regioni con una densità inferiore a 5 ab/km2 e altre in cui questo dato supera i 1000 ab/km2.
Sono densamente abitate le regioni pianeggianti comprese nella fascia che si estende dal sud della Gran Bretagna al centro dell’Europa (Paesi Bassi, Belgio, Germania, Svizzera), che sono anche quelle in cui si registra la maggiore concentrazione di città e altri centri urbani. Si tratta di zone quasi interamente occupate da edifici residenziali, industriali, commerciali e da infrastrutture di ogni genere, oltre che da una fitta rete di vie di comunicazione. Sono invece poco abitate le regioni settentrionali della Scandinavia e della Gran Bretagna, le aree montuose e buona parte dell’Europa orientale.
Qui il territorio è caratterizzato per lo più da insediamenti rurali, aree agricole, boschi e vegetazione spontanea.
Dalla rivoluzione industriale (tra il XVIII e il XIX secolo) agli anni Sessanta del Novecento si è verificata nel continente europeo una vertiginosa crescita della popolazione, causata da molti fattori, tra cui il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, i progressi della medicina e l’aumento della produzione agricola. Negli ultimi decenni, nonostante le condizioni di vita della popolazione siano ulteriormente migliorate, si è assistito però a un’inversione di tendenza. Oggi il numero delle nascite in Europa è diminuito, tanto che in alcuni Paesi supera di poco quello delle morti, mentre in altri, tra cui l’Italia, è addirittura inferiore. La crescita demografica europea è quindi più bassa rispetto a quella di altri continenti, primi fra tutti Africa e Asia. Il miglioramento complessivo delle condizioni di vita in Europa ha portato d’altro canto a un allungamento della durata media della vita. Mentre il numero dei giovani diminuisce per effetto del calo delle nascite, aumenta invece la fascia di persone con oltre 65 anni: questo fa registrare un rapido invecchiamento della popolazione europea, un fenomeno che è solo in parte controbilanciato dall’arrivo in Europa di molti immigrati provenienti da altri continenti.

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La fitta rete delle città

Fra tutti i continenti, l’Europa è considerata il “continente delle città” per eccellenza. Il tipo di insediamento di gran lunga prevalente è infatti quello urbano, e il tasso di urbanizzazione supera il 70%, ossia oltre 70 europei su 100 vivono in una città. Mediamente, però, le città europee più grandi non raggiungono le dimensioni e il numero di abitanti delle principali metropoli degli altri continenti, in particolare dell’Asia e dell’America. Solo tre metropoli europee sono classificabili come megacittà, cioè centri urbani con oltre 10 milioni di abitanti: sono Mosca, con circa 15 milioni di abitanti nel suo agglomerato urbano, Parigi e Londra, entrambe con circa 10 milioni di abitanti. La popolazione europea risiede invece per lo più nelle numerosissime città piccole e medie, che si estendono sul continente sino a formare un fitto reticolo urbano, particolarmente denso nelle regioni centroccidentali. In queste aree lo sviluppo degli insediamenti, delle vie di comunicazione e delle relazioni tra centri diversi ha fatto sì che numerose città siano divenute parte della stessa conurbazione, cioè di uno stesso sistema urbano. In Europa si possono identificare conurbazioni molto estese, con decine di milioni di abitanti: le principali sono la conurbazione inglese, quella olandese e quella renana.

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• SOTTO LA LENTE • CIVILTÀ

L’Europa: terra di immigrazione

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, l’Europa visse un periodo di intense migrazioni interne, soprattutto dai Paesi dell’Europa orientale e meridionale, più arretrati economicamente, verso gli Stati della parte centrale e settentrionale del continente. I flussi migratori dall’Europa orientale verso la parte centroccidentale non si sono arrestati, e anzi sono aumentati in seguito all’entrata nell’Unione europea di numerosi Paesi dell’Est (nel 2004 e 2007).
Negli ultimi decenni l’Europa è passata da essere terra di emigrazione a destinazione di immigrati provenienti da altri continenti, soprattutto Asia, Africa e America Latina. In diversi Paesi europei gli abitanti di origine straniera hanno raggiunto e superato il 10% della popolazione totale, e in molti casi le loro società possono essere definite autenticamente multietniche, essendo composte da individui di svariate nazionalità, razze e culture. La presenza e il continuo arrivo di immigrati controbilancia in parte il calo demografico di molti Paesi europei, la cui popolazione aumenta solo grazie all’immigrazione, e mitiga anche l’invecchiamento della popolazione, in quanto gli immigrati sono in media più giovani e posseggono famiglie più numerose. Da una parte, l’immigrazione contribuisce a migliorare il saldo demografico di molti Paesi europei, cioè la variazione nella popolazione residente da un anno all’altro, calcolata tenendo conto delle nascite, delle morti e degli arrivi (immigrati) e partenze (emigrati) da e verso altri Paesi, e costituisce inoltre un’importante risorsa per le loro economie. D’altra può generare problemi e tensioni sociali, che si manifestano sotto forma di episodi di intolleranza e razzismo nei confronti degli immigrati.

4. La storia del continente: dalle origini al primato mondiale

Le origini delle tradizioni culturali che accomunano i popoli europei risalgono ai Greci, i quali colonizzarono, in competizione con i Fenici, le coste del Mediterraneo tra l’VIII e il VI secolo a.C. Anche se i Greci non unificarono mai sotto il loro dominio le regioni che oggi appartengono al continente europeo (a eccezione di alcune), posero il fondamento delle tradizioni culturali nelle quali le attuali nazioni europee si riconoscono.

Il primato europeo nel mondo

Il processo di formazione delle nazioni europee vide durante il Medioevo e l’età moderna la nascita dei primi Stati nazionali, come la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, il Portogallo e l’Olanda. Furono questi i promotori dell’espansione coloniale europea nel mondo, in seguito alla scoperta dell’America (1492) e alle altre grandi esplorazioni geografiche del XVI-XVIII secolo. Questi Stati crearono vasti imperi coloniali, che facilitarono lo sviluppo commerciale del continente attraverso lo sfruttamento delle risorse economiche e della popolazione delle terre sottomesse. Il dominio coloniale fu favorito anche dalla rivoluzione industriale che, come abbiamo visto, iniziò in Inghilterra alla fine del XVIII secolo e interessò progressivamente tutte le principali nazioni dell’Europa nordoccidentale. Furono queste le premesse dell’intenso sviluppo economico dei Paesi europei industrializzati dell’area nord-occidentale, che tra la metà del XVIII e il XX secolo stabilirono il proprio primato politico, militare e commerciale su tutto il mondo, mentre diversi Stati delle aree meridionali e orientali del continente restarono in condizioni di arretratezza.

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La fine del primato europeo

Le due guerre mondiali videro la perdita della centralità europea mentre cresceva la nuova supremazia politica ed economica delle due superpotenze degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Nel 1945 L’Europa fu divisa in due blocchi politico-economici e poco dopo iniziò anche il processo di decolonizzazione, che condusse all’autonomia politica delle ex colonie europee negli altri continenti.
Con la fine della Guerra Fredda, sancita dalla caduta del muro di Berlino (1989), che divideva simbolicamente i due blocchi contrapposti, e dalla disgregazione dell’Unione Sovietica (1991), i Paesi europei hanno superato gran parte dei loro contrasti e sono tornati a collaborare sul piano economico e politico. Tale rinnovato spirito di unità si è manifestato con il rafforzamento politico dell’Unione europea e il suo allargamento a diversi Paesi facenti precedentemente parte del blocco sovietico. Nel frattempo, la Federazione Russa, nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica, negli ultimi anni si è imposta come una delle potenze economiche emergenti sulla scena mondiale.

5. L’Unione europea

Le terribili distruzioni che i due conflitti mondiali avevano provocato, con gravissime conseguenze per la maggior parte della popolazione, diffusero nell’opinione pubblica europea l’aspirazione a nuove relazioni tra le nazioni, improntate alla pace e all’integrazione economica e culturale. Per questo i principali Stati dell’Europa inaugurarono una collaborazione durata decenni che è culminata nella formazione dell’Unione europea (Ue), a cui attualmente aderiscono 28 Stati. L’Ue è un’entità politica dalla natura particolare, in quanto si trova a metà strada tra una confederazione (un’associazione di Stati che collaborano conservando però la piena sovranità sui loro rispettivi territori) e una federazione (un’entità politica in cui i singoli Stati cedono completamente al governo centrale la loro sovranità e le loro competenze riguardo a determinati aspetti, come la politica estera o le politiche economiche; gli Stati Uniti d’America sono un esempio di federazione). Con l’adozione da parte degli Stati dell’Ue di trattati vincolanti e improntati a una stretta collaborazione reciproca, come il trattato di Lisbona del 2009, i Paesi europei si stanno progressivamente avvicinando al modello politico della federazione, ed è possibile che in un prossimo futuro essi giungano effettivamente a unirsi in un’unica entità politica pienamente sovrana, una sorta di Stati Uniti d’Europa.

Dalle ceneri della guerra mondiale i primi trattati europei

Nel secondo dopoguerra i principali Stati dell’Europa centroccidentale si impegnarono per stabilire i primi accordi economici, premessa per una futura unità politica. In questa fase si distinsero, per la loro instancabile opera nel promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati europei, Robert Schuman (ministro degli Esteri del governo francese), Konrad Adenauer (cancelliere della Germania occidentale) e Alcide De Gasperi (presidente del Consiglio del governo italiano), oggi considerati i “padri fondatori” dell’Unione europea. Nel 1951 fu fondata la Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), che stabilì il primo mercato comune, all’interno del quale i prodotti delle industrie siderurgiche potevano essere commerciati liberamente tra gli Stati membri senza il pagamento di dazi alle frontiere.
Vi aderirono Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
Con i trattati di Roma del 1957 i sei Stati della Ceca diedero poi vita alla Cee (Comunità economica europea), che prevedeva l’istituzione di un’unione doganale, cioè l’abolizione di tutte le tasse che gravavano sull’importazione e l’esportazione delle merci da un Paese membro all’altro. Si trattava di un importante passo avanti verso l’integrazione economica delle nazioni europee, che avrebbe favorito la libera circolazione delle merci e dunque lo sviluppo economico degli Stati appartenenti alla Comunità. Contemporaneamente fu fondato l’Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), per coordinare la ricerca nel settore dell’energia nucleare. Nel 1967 Ceca, Cee ed Euratom si riunirono in un organismo chiamato semplicemente Comunità europea.
La Comunità europea raggiunse ottimi risultati nel campo della cooperazione economica e si allargò progressivamente anche ad altre nazioni europee: nel 1973 vi aderirono la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Danimarca, mentre negli anni Ottanta del XX secolo si aggiunsero anche la Grecia (1981), la Spagna e il Portogallo (1986).
Un passo importante verso l’integrazione politica si ebbe nel 1979, quando per la prima volta i cittadini degli Stati aderenti elessero i loro rappresentanti al Parlamento europeo. Nel 1986 la Comunità europea cominciò a usare la bandiera europea con dodici stelle gialle in campo blu che è ancora oggi lo stemma dell’Ue.
Dal 1° gennaio 1993, la Cee mutò la propria denominazione in Unione europea (Ue), in accordo con il trattato di Maastricht (Paesi Bassi) firmato l’anno precedente. Fin dal 1990, con la firma del trattato di Schengen (Lussemburgo), era stata raggiunta la cooperazione economica, con la libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali finanziari e dei servizi; l’organismo comunitario europeo era dunque sempre più indirizzato all’unificazione amministrativa, politica e sociale degli Stati aderenti, cioè alla definizione di un’Europa dei cittadini, e non più solo dei mercati economici.
Da allora molti altri Stati europei hanno aderito all’Ue: nel 1995 sono entrate Austria, Svezia e Finlandia; nel 2004 si sono aggiunti Malta, Cipro e, evento estremamente importante per i destini politici dell’Europa, 8 Paesi precedentemente appartenenti al blocco comunista: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Altri ingressi si sono avuti nel 2007, con l’adesione di Bulgaria e Romania, e nel 2013, con l’ingresso della Croazia.

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Le tappe dell’unificazione monetaria

Il trattato di Maastricht del 1992 prevedeva anche l’unione monetaria degli Stati aderenti, con l’adozione di una moneta comune, l’euro, che entrò in vigore il 1° gennaio 1999 per le transazioni finanziarie e il 1° gennaio 2002 per gli scambi con monete e banconote. Le forti differenze tra le economie dei Paesi dell’Ue, soprattutto tra quelli di recente adesione e quelli dell’Europa centroccidentale, hanno fatto sì che l’euro non venisse adottato subito da tutti gli Stati membri. Per entrare a far parte dell’Eurozona, come è chiamato il gruppo dei Paesi che usano l’euro, è infatti necessario attuare politiche rigorose per assicurare la stabilità economica del proprio Paese. Attualmente la moneta unica è adottata solo in 19 dei 28 Paesi comunitari. Ai Paesi che non hanno ancora adottato l’euro perché le loro economie non sono giudicate sufficientemente solide, si aggiungono poi gli Stati che hanno scelto di non adottarlo ancora per timore che esso possa essere controproducente per le loro economie. Un altro passaggio previsto dal trattato di Maastricht era l’istituzione della Banca centrale europea, entrata in funzione nel 1999, che si occupa di gestire l’emissione della moneta unica.

Verso la Costituzione europea

Se l’unificazione economica degli Stati membri dell’Ue è ormai una realtà, la piena unificazione politica non è stata ancora raggiunta. Le resistenze alla creazione di un’Europa unita anche dal punto di vista politico derivano soprattutto dalle differenti organizzazioni statali che contraddistinguono le nazioni fondatrici da quelle che vi hanno aderito di recente. A questi problemi si aggiungono i dubbi di vaste fasce delle popolazioni dei Paesi dell’Ue riguardo alla possibilità che la sovranità nazionale dei singoli Stati venga affidata a un organismo sovranazionale. Sono questi i motivi che hanno ostacolato la stesura e la ratifica di una Costituzione europea, cioè una carta che fissi definitivamente la forma politica e le competenze dell’Ue, sebbene fin dal 2004 il trattato di Roma, che non è mai entrato in vigore per il rifiuto di alcuni Paesi, prevedesse la sua adozione. Un importante passo in avanti per l’unificazione politica è stato compiuto nel 2007 con la firma del trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009. Il trattato istituisce formalmente un nuovo organo dell’Ue, il Consiglio europeo, e stabilisce che, nelle votazioni a cui partecipano i Pae si per definire determinati aspetti delle politiche dell’Ue, per fare approvare una deliberazione sia sufficiente la maggioranza qualificata dei voti e non più l’unanimità. Con questa riforma gli Stati membri cedono di fatto una parte della loro sovranità a un altro organismo politico, l’Ue.

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Segnali di crisi

Nonostante tutti questi passi importanti e la fitta rete di trattati, negli ultimi anni la crisi economica e l’arrivo nel continente di grandi quantità di persone che da diverse zone dell’Africa e del Medio Oriente cercano di sfuggire alle guerre e alla povertà e chiedono rifugio nei vari paesi europei ha visto la nascita di movimenti che chiedono la chiusura delle frontiere e assumono un atteggiamento assai critico verso le istituzioni europee e lo stesso “senso” di unione del continente. Nel 2016 un referendum nel Regno Unito ha visto la vittoria di coloro che desideravano uscire dall’Unione Europea (Brexit), un risultato che ha sorpreso e preoccupato i vertici istituzionali dell’Unione e che tuttora sta facendo discutere sul futuro del continente.

6. Le istituzioni dell’Ue e le politiche comunitarie

Pur non essendo un vero e proprio Stato federale, l’Ue possiede un ordinamento politico analogo a quello di un’entità statale a tutti gli effetti, con organi che esercitano i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, e istituzioni responsabili di delineare e mettere in pratica all’interno degli Stati membri le politiche comunitarie in ambito economico, sociale, politico e culturale.

I principali organi dell’Ue

Oltre che da alcuni organismi finanziari, come la già citata Banca centrale europea e la Banca europea degli investimenti – che gestisce il finanziamento dei progetti di sviluppo nell’Ue e in Paesi extraeuropei economicamente arretrati –, l’Unione europea è regolata dall’attività di vari organismi comunitari, che si occupano sia di definire le politiche dell’Unione e di farle rispettare, sia di assicurare l’equilibrio tra gli interessi comuni e quelli di ogni singolo Stato membro. Vediamoli nel dettaglio.

  • Il Consiglio dell’Unione europea (o Consiglio dei ministri) è composto dai ministri dei vari governi degli Stati aderenti, che si riuniscono in base agli argomenti di volta in volta trattati: per esempio, se si devono prendere decisioni relative a un singolo aspetto (le politiche agricole, il turismo, gli investimenti culturali), è prevista la convocazione dei soli ministri competenti nelle materie da discutere. È l’organismo più importante dell’Unione europea, perché coordina le politiche economiche complessive dei vari Stati aderenti, stabilisce le scelte di politica estera e in materia di sicurezza ed esercita il potere legislativo insieme al Parlamento europeo. La presidenza di questo consiglio è affidata ogni sei mesi a rotazione ai rappresentanti del governo di ciascun Paese membro.
  • Il Parlamento europeo, con sede a Strasburgo, è formato da 751 deputati e viene eletto ogni cinque anni dai cittadini di tutti gli Stati aderenti in misura proporzionale alla loro popolazione. Condivide con il Consiglio dei ministri il potere legislativo, controlla le attività delle altre istituzioni comunitarie e ha la facoltà di approvare o respingere la nomina del presidente della Commissione europea.
  • La Commissione europea, con sede a Bruxelles, rappresenta il potere esecutivo dell’Unione europea: propone le leggi e ne verifica la loro attuazione, tutelando gli interessi comuni a tutta l’Europa rispetto alle istanze dei singoli Paesi aderenti.
    Amministra il bilancio comunitario e ha ampi poteri nel coordinamento e nella gestione dei provvedimenti. I commissari sono uno per ogni Stato membro e vengono eletti ogni cinque anni dai governi dei vari Paesi aderenti, rispetto ai quali godono di ampia autonomia.
  • Il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, è stato un organo informale fino al 2009, quando il trattato di Lisbona lo ha ufficialmente istituito. Da allora ha assunto un ruolo sempre più importante nello stabilire gli indirizzi politici di fondo della politica comunitaria e nel definire le emergenze più pressanti da affrontare, come le conseguenze della crisi economica mondiale iniziata nel 2008 sull’economia dei Paesi dell’Ue. È inoltre il principale organo diplomatico dell’Unione.
  • La Corte di giustizia europea esercita il potere giudiziario: garantisce che le leggi approvate rispettino il diritto comunitario e interviene nelle controversie tra i singoli Stati relative alle applicazioni dei trattati.
  • La Corte dei conti europea controlla il bilancio e la gestione delle attività finanziarie dell’Unione.
  • Il Comitato economico e sociale europeo tutela gli interessi dei cittadini europei in campo economico e sociale nei confronti degli organi istituzionali dell’Unione europea (Consiglio dei ministri, Parlamento e Commissione).
  • Il Comitato delle regioni tutela le identità locali e verifica che le leggi comunitarie rispettino l’autonomia e le peculiarità delle tradizioni culturali dei vari Paesi aderenti.
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Le politiche di solidarietà

Come suggerisce il nome, queste politiche hanno lo scopo di “accompagnare” il processo di formazione del mercato unico, riducendo gli squilibri economici fra i vari Paesi. È un intervento indispensabile per la coesione dell’Ue, soprattutto dopo l’ingresso degli ultimi 12 Paesi – caratterizzati da economie ancora giovani e immature – e la crisi economica degli ultimi anni che ha provocato gravi casi di recessione anche in aree dove in precedenza si era raggiunto un elevato sviluppo industriale, la cui riqualificazione è anch’essa uno degli obiettivi fondamentali dell’azione dell’Ue. Le politiche di solidarietà stabiliscono misure strutturali e stanziano fondi per lo sviluppo delle regioni più arretrate, dei settori industriali in difficoltà, delle aree coinvolte in trasformazioni economiche. Promuovono inoltre la competitività e l’occupazione all’interno delle regioni e stimolano la cooperazione territoriale, cercando di offrire soluzioni comuni a problemi comuni in ambiti come lo sviluppo urbano, rurale e costiero, le relazioni economiche e la creazione di piccole e medie imprese.
Lo stanziamento viene effettuato tramite il Fondo di coesione, che finanzia progetti ambientali e le infrastrutture nel settore dei trasporti, e due fondi strutturali: il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e il Fondo sociale europeo (Fse).

Le politiche agricole

La Politica agricola comune (Pac) tutela le attività degli addetti al settore primario e garantisce la stabilità dei prezzi delle derrate alimentari, evitando che squilibri strutturali o avvenimenti imprevisti possano provocare drammatiche crisi economiche e difficoltà di approvvigionamento nei vari Paesi dell’Unione. Nel 2013 circa il 32% dei fondi a disposizione dell’Ue è stato destinato ai progetti nell’ambito della Pac, una percentuale molto rilevante.
La politica agricola è finanziata attraverso il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (Feoag), che si occupa di prevenire l’eccessivo inquinamento dei suoli, provocato dall’uso indiscriminato di fertilizzanti chimici, e di salvaguardare l’ambiente attraverso la diffusione di pratiche agricole sostenibili, la tutela dei prodotti tipici delle varie tradizioni regionali e delle risorse ittiche.
Per favorire le attività agricole, in passato l’Unione europea ha incrementato i dazi previsti per l’importazione dei prodotti provenienti dai Paesi extra Ue, con lo scopo di favorire il consumo di quelli coltivati all’interno della comunità. Altre misure a sostegno dell’agricoltura hanno introdotto gli aiuti finanziari ai produttori in caso di calamità naturali o di eccessivi ribassi dei prezzi di vendita, così come procedure che prevedono un rimborso per il ritiro delle eccedenze alimentari nei casi di sovrapproduzione.

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Le politiche sociali e di innovazione

Anche nel settore sociale gli interventi delle istituzioni dell’Unione europea sono finalizzati alla compensazione degli squilibri che emergono tra i vari Paesi aderenti: sono contemplati sia finanziamenti diretti per sostenere soggetti che si trovano in difficoltà economica (a causa della disoccupazione o di situazioni di disagio sociale), sia l’approvazione di normative che garantiscano a tutti i cittadini europei alcuni diritti fondamentali, come quello all’istruzione, alle cure sanitarie e alla previdenza. A questo proposito nel 1989 il Consiglio europeo ha adottato la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, poi inclusa nella Carta dei diritti fondamentali, entrata in vigore con il trattato di Lisbona del 2009, che stabilisce alcune norme valide per tutti i lavoratori dell’Unione europea, tra le quali il diritto alla libera circolazione, a un’equa retribuzione, la parità di trattamento economico per un medesimo impiego tra uomini e donne, la sicurezza e l’igiene sui luoghi di lavoro, la tutela dei minori, degli anziani e dei disabili.
Le politiche di innovazione riguardano quegli ambiti e interventi volti a favorire nel lungo periodo lo sviluppo economico, sociale e culturale degli Stati membri, nonché ad aumentare il livello di benessere dei loro cittadini: l’ambiente e lo sviluppo sostenibile, le politiche energetiche, l’innovazione tecnologica, l’istruzione, la cultura e la ricerca, il potenziamento del sistema dei trasporti.

7. Il futuro dell’Ue tra Est e Mediterraneo

Con l’introduzione della moneta unica, che ha dato vita a uno dei più grandi mercati comuni del mondo, l’integrazione economica dei Paesi aderenti all’Ue si è rafforzata, nonostante gli ostacoli sorti nell’attuazione della sua unificazione politica in relazione alla ratifica della Costituzione europea. I vantaggi economici derivati dal far parte dell’Unione europea, sebbene al suo interno sia sbilanciata a favore dei Paesi occidentali, attira del resto molti altri Stati europei e dell’area mediterranea, che ambiscono a farne parte, e ha dato avvio a un ampio dibattito sulle opportunità che l’allargamento dell’Unione comporta e sulle regole da prevedere per l’ingresso di nuovi Stati.

I criteri per accedere all’Unione europea

Le richieste dei Paesi che intendono far parte dell’Unione europea, per essere ufficializzate, devono essere accettate all’unanimità dai Paesi membri: l’opposizione anche di un solo Stato è sufficiente per far cadere la loro candidatura. Per essere ammessi, sono necessari i seguenti requisiti:

  • le istituzioni del Paese candidato devono essere fondate sui princìpi democratici e garantire lo Stato di diritto (nel quale cioè l’azione del governo avviene nel rispetto della Costituzione nazionale), la tutela dei diritti umani e il rispetto delle minoranze (etniche, linguistiche, religiose) presenti sul suo territorio;
  • il Paese deve reggersi su un’economia di mercato che sia pienamente funzionante e in grado di competere con quella degli altri Stati dell’Ue, in base a rigidi princìpi di equilibrio del bilancio finanziario;
  • il governo del Paese deve essere in grado di far applicare da parte delle sue istituzioni e dell’amministrazione pubblica la legislazione comunitaria.
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Le richieste di adesione

Un Paese che da molto tempo aspira a far parte dell’Unione europea è la Turchia, che ha presentato la propria domanda di adesione nel lontano 1987. I Paesi dell’Ue hanno però esitato a lungo prima di accettare ufficialmente la sua candidatura, e i negoziati per l’adesione sono iniziati solo nel 2004. Da allora tra gli Stati membri è in corso un vivace dibattito sull’opportunità di ammettere la Turchia nell’Ue, con alcuni che si dichiarano d’accordo e altri che esprimono forti riserve. I dubbi non riguardano soltanto il fatto che, dal punto di vista strettamente geografico, la maggior parte del territorio turco si trova fuori dal continente europeo, in Asia, ma derivano soprattutto dal fatto che il governo turco deve dare ancora sufficienti garanzie sul rispetto delle regole democratiche e sulla tutela dei diritti umani all’interno del Paese. Inoltre le perplessità derivano anche dal fatto che la Turchia sarebbe il primo Stato con una popolazione a maggioranza islamica a entrare nell’Ue.
Altri Stati che ambiscono a entrare nell’Ue sono quelli nati dalla disgregazione della ex Iugoslavia dopo la guerra che ha interessato la regione negli anni Novanta del XX secolo: la Macedonia, la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro e la Serbia, ai quali si aggiunge l’Albania. Dei Paesi dell’ex Iugoslavia, gli unici che hanno finora completato il lungo iter di adesione all’Ue sono la Croazia, entrata ufficialmente nel luglio 2013, e la Slovenia, che era già stata accolta nel 2004. Per tutti gli altri Paesi di quest’area, l’entrata nell’Unione europea rappresenterebbe un’opportunità per accelerare il processo di ricostruzione delle loro economie, seriamente compromesse dal conflitto.

I rapporti con l’Est e il Mediterraneo

Interesse nei confronti dell’adesione all’Ue è stato espresso anche da alcuni Paesi dell’Est Europa che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica e che ancora gravitano nell’orbita della Federazione Russa, come la Georgia, l’Ucraina e la Moldavia. Per tutti questi Paesi il problema principale consiste nella fragilità delle loro economie, ancora piuttosto lontane dai parametri necessari per poter entrare a far parte dell’Ue.
Ulteriori ostacoli potrebbero sorgere dalla reazione che l’adesione di questi Stati provocherebbe nel loro principale partner commerciale, la Russia. Diverso è invece il discorso relativo ai Paesi dell’Africa, come il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e l’Egitto. Con questi Stati nel 2008 l’Ue ha firmato un trattato di collaborazione che ha dato vita all’Unione per il Mediterraneo, un organismo internazionale a cui attualmente aderiscono 43 Paesi; ispirato al modello dell’Unione europea, ha lo scopo di favorire le relazioni commerciali tra le nazioni che si affacciano sul mar Mediterraneo e potrebbe rappresentare un primo passo verso una più stretta cooperazione.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille