Il colonialismo e la sua eredità
Se l’inizio del decollo dei Paesi avanzati si fa di solito corrispondere alla rivoluzione industriale che ha interessato l’Europa a partire dalla fine del XVIII secolo, non bisogna dimenticare che a quell’epoca era in corso da circa due secoli l’era del colonialismo
europeo, cioè il periodo (compreso approssimativamente tra il XVI e il XX secolo) durante il quale l’Europa esercitò una supremazia economica e politica su vaste regioni degli altri continenti.
Prima la Spagna e il Portogallo, poi l’Olanda e, soprattutto, la Francia e la Gran Bretagna, conquistarono vasti imperi coloniali in America, Africa, Asia e Oceania, forti di innovazioni tecnologiche come le armi da fuoco e le navi transoceaniche, e di politiche
commerciali e militari aggressive. In molti casi il rapporto tra le potenze colonizzatrici e le colonie fu di sostanziale sfruttamento, tanto delle risorse naturali (come i prodotti agricoli coltivati nelle piantagioni o i metalli estratti nelle miniere, la maggior parte dei quali veniva esportata in Europa) quanto di quelle umane (la riduzione in schiavitù delle popolazioni locali e il loro impiego come manodopera).
Con la decolonizzazione – il processo che ha portato all’indipendenza politica di gran parte delle colonie europee, avvenuto soprattutto intorno alla metà del XX secolo – se il
dominio politico dei Paesi un tempo colonizzati è terminato, non così si può dire del
dominio economico, tanto che in molti casi si parla dell’esistenza di una forma di neocolonialismo esercitata dai Paesi avanzati nei confronti di quelli in via di sviluppo. L’economia mondiale è infatti ancora fortemente basata sull’esportazione di grandissime quantità di materie prime dai Paesi più arretrati a quelli industriali, che le trasformano in prodotti finiti. I Paesi avanzati eserciterebbero quindi ancora una forte influenza sulle economie dei Paesi in via di sviluppo, tramite l’azione delle grandi multinazionali, così forti economicamente da poter stabilire i prezzi delle materie prime e imporre ai Paesi più deboli rapporti economici basati su scambi ineguali, cioè più svantaggiosi per questi ultimi. A questa posizione si ricollega la teoria della dipendenza, secondo la quale tutto ciò che possiede un valore, dalle materie prime al denaro, alla manodopera specializzata, si sposta naturalmente dalle aree di periferia (i Paesi in via di sviluppo) a quelle del centro (quelli avanzati), e questo movimento è necessario in un sistema economico basato sul capitalismo e il libero scambio. Si tratterebbe quindi di una forma di sfruttamento indispensabile per la crescita e il mantenimento degli alti livelli economici e di sviluppo dei Paesi più avanzati.
Secondo i sostenitori della teoria della dipendenza, quindi, non si potrà mai verificare la previsione sostenuta dalle teorie dello sviluppo economico come quella di Rostow, secondo cui tutti i Paesi del mondo arriveranno prima o poi a un livello di sviluppo elevato, proprio perché un “centro” non può esistere senza una “periferia” da sfruttare.