3 - La rinascita culturale carolingia

Unità 12 LA RINASCITA CAROLINGIA E IL FEUDALESIMO >> Capitolo 33 – Carlo Magno e il nuovo impero

3. La rinascita culturale carolingia

Nei secoli successivi al crollo dell’impero romano, monasteri e istituzioni ecclesiastiche erano rimasti gli unici centri in grado di conservare e tramandare il sapere, non solo quello religioso, ma anche quello laico e pagano, salvando dall’oblio parte del patrimonio culturale dell’antichità classica. Carlo Magno, consapevole dell’importanza della diffusione della cultura, si appoggiò dunque ai  chierici per incoraggiare l’apertura di nuove scuole e favorire una maggiore alfabetizzazione. Egli stesso promosse alcune iniziative in quest’ambito, a partire dalla fondazione della Schola palatina. Sebbene fosse uomo d’armi e non di cultura, Carlo comprese l’importanza di riprendere una tradizione di studi e scambi culturali, che era stata una manifestazione qualificante dell’impero romano e che, con la crisi dell’impero e le invasioni barbariche, rischiava di svanire. Gli storici posteriori hanno definito “rinascita carolingia” questa ripresa degli studi e periodo di fermento culturale, una fase che avrebbe esercitato un’influenza fondamentale su tutta l’epoca successiva.

La vivace corte culturale dell’imperatore

Carlo Magno si circondò di eruditi che restituirono dunque vita agli scambi culturali.
Anche tra i suoi consiglieri vi erano numerosi intellettuali provenienti dai territori conquistati: il longobardo Paolo Diacono, il monaco sassone Alcuino, il visigoto Teodolfo d’Orléans. La capitale Aquisgrana divenne il polo d’attrazione dei maggiori uomini di cultura del tempo.
L’interesse di Carlo Magno per la cultura aveva anche e soprattutto un significato politico: solo con un’adeguata preparazione, infatti, si sarebbe potuta formare una classe dirigente in grado di amministrare l’impero in modo efficiente. Per favorire l’alfabetizzazione, egli stabilì dunque che le scuole dei monasteri potessero essere frequentate anche dai laici; lui stesso ne fondò numerose, la più importante delle quali ebbe sede nella reggia di Aquisgrana e fu per questo definita Schola palatina (cioè “scuola del palazzo” imperiale). La gestione fu affidata ad Alcuino e aveva in particolare lo scopo di fornire una solida formazione ai figli dei funzionari imperiali, cui venivano impartiti gli insegnamenti delle sette arti liberali – che costituivano il sapere letterario e scientifico del tempo –, divise nel trivio (grammatica, retorica e dialettica) e nel quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia).
L’imperatore franco diede insomma un notevole impulso alla diffusione della cultura e favorì anche lo sviluppo delle arti, allo scopo di testimoniare la ricchezza e la grandezza del suo impero. Nonostante questo impegno, tuttavia, l’istruzione rimase sostanzialmente un privilegio delle classi sociali più elevate, dal momento che contadini e artigiani – vale a dire la maggioranza della popolazione – erano privi delle risorse necessarie per permettere ai loro figli di frequentare le scuole.

La Schola palatina

La Schola palatina era chiamata anche “Accademia palatina” per richiamare idealmente, attraverso un chiaro riferimento all’Accademia platonica, la tradizione culturale dell’antica Grecia. L’istituzione era costituita da un circolo di intellettuali che si riunivano presso la corte di Carlo Magno e che provenivano da ogni parte dell’impero. Tra i suoi fondatori vi erano alcuni tra i dotti più importanti dell’epoca, come il monaco inglese Alcuino di York e gli storici Eginardo e Paolo Diacono. Sebbene gli intellettuali del tempo appartenessero prevalentemente al mondo ecclesiastico, i loro studi non si limitavano alla religione, ma spaziavano in tutti gli ambiti disciplinari classici, come la grammatica, la retorica, il diritto e lo studio della letteratura antica e contemporanea.
Questi studi avevano un’ampia ricaduta anche sull’istruzione dei funzionari di corte, favorendo il consolidamento delle loro competenze.

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Nasce la scrittura carolina

La rinascita culturale si accompagnò alla diffusione di un nuovo tipo di scrittura – la minuscola carolina, come è stata chiamata in onore dell’imperatore – caratterizzata da segni più semplici rispetto alle grafie impiegate fino ad allora. L’introduzione della nuova scrittura corsiva facilitava l’opera dei copisti, coloro che copiavano i testi antichi e con il loro paziente lavoro permettevano la trasmissione del sapere: copiare diveniva più agevole e veloce, e contribuiva a rendere più leggibili i manoscritti antichi, indecifrabili per i più, dopo secoli di decadenza. Carlo Magno promosse però anche una maggiore attenzione alla lingua dal punto di vista grammaticale e lessicale, sollecitando i chierici, in particolare, a un uso corretto del latino, sebbene ormai molto diverso da quello con cui erano stati scritti i testi classici o le opere degli stessi Padri della Chiesa.

L’imperatore “difensore della cristianità”

Carlo Magno attribuì grande importanza anche alla diffusione della fede cristiana. Oltre ad andare incontro alle richieste del suo principale alleato, il papa di Roma, questa scelta aveva lo scopo di unificare, attraverso la religione, un impero molto eterogeneo dal punto di vista etnico e culturale. L’opera di evangelizzazione fu rivolta soprattutto alle popolazioni delle campagne, dove, dopo secoli di diffusione del cristianesimo, ancora erano assai diffuse le pratiche pagane; questo processo di cristianizzazione permetteva di integrarle più facilmente nella compagine imperiale. L’evangelizzazione ebbe però un ruolo importante anche nel motivare ideologicamente le imprese militari sia contro le popolazioni germaniche ancora legate ai culti tradizionali, sia contro i musulmani in Spagna. Proprio in virtù di questo atteggiamento e delle guerre combattute contro gli Arabi, Carlo Magno venne considerato come il “difensore della cristianità”.
Il tema della difesa della cristianità ispirò nei secoli successivi la composizione di numerosi poemi epici, come la già citata Chanson de Roland, che esaltavano le imprese dei cavalieri franchi, i paladini (dal latino comes palatinus, “conte di palazzo”). Poiché queste opere letterarie avevano la funzione di legittimare il potere imperiale, esse fornivano un’immagine idealizzata dei cavalieri carolingi, attraverso un’esaltazione di tipo propagandistico delle loro gesta e delle loro caratteristiche personali. Non è dunque un caso che i cavalieri siano descritti come eroi integerrimi e irreprensibili, votati a una fedeltà incondizionata al sovrano e al servizio esclusivo degli interessi della religione cristiana. Si tratta tuttavia di raffigurazioni distanti dalla verità storica e in evidente contraddizione con una realtà che era invece spesso caratterizzata dall’anarchia politica e dalle violente razzie compiute dai cavalieri ai danni delle popolazioni con cui essi entravano in contatto.

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TESTIMONIANZE DELLA STORIA

L’IMPORTANZA DI SALVARE IL PATRIMONIO LETTERARIO

In questo capitolare diretto ai vescovi (788) Carlo difende l’importanza della salvaguardia dei testi antichi e del patrimonio culturale.



«Avendo a cuore che sempre più migliori lo stato delle nostre chiese, e volendo con cura assidua risollevare la cultura delle lettere, che è quasi interamente morta per inerzia dei nostri antenati, noi incitiamo, col nostro stesso esempio, allo studio delle arti liberali tutti coloro che possiamo attirarvi. Così abbiamo già, col costante soccorso di Dio, esattamente corretto i libri dell’antica e della nuova alleanza, corrotti dall’ignoranza dei copisti. […] Noi non possiamo tollerare che, nelle letture divine, in mezzo ai sacri uffizi, s’insinuino errori grammaticali, e abbiamo intenzione di riformare le suddette lettere. Abbiamo incaricato di tale lavoro il diacono Paolo,1 nostro cliente familiare. Gli abbiamo ordinato di scorrere attentamente gli scritti dei padri cattolici, di scegliere, in queste fertili praterie, qualche fiore, e dei più utili di formare, per così dire, una sola ghirlanda. Premuroso d’obbedire alla nostra altezza, egli ha riletto i trattati e i discorsi dei diversi padri cattolici, e scegliendo i migliori, ci ha offerto, in due volumi, delle letture pure da errori, convenientemente adattate ad ogni festa, e che basteranno per tutto l’anno. Noi abbiamo esaminato i testi di questi volumi con la nostra sagacità; li abbiamo decretati per nostra autorità e li trasmettiamo alla vostra religione per farli leggere nelle chiese del Cristo.»


Capitolare ai vescovi, in F. Guizot, Storia generale della civiltà in Europa, Bonfanti, Milano 1841



1. diacono Paolo: si tratta di Paolo Diacono, longobardo e monaco, qui definito “cliente” all’antica maniera romana.


PER FISSARE I CONCETTI
  • A che cosa sono paragonati i testi antichi e per quale motivo?
  • Quale ruolo riveste Paolo Diacono nelle parole di Carlo?

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille