1 - Il regno dei Franchi

Unità 12 LA RINASCITA CAROLINGIA E IL FEUDALESIMO >> Capitolo 32 – I Franchi

L’isolamento delle curtes e l’economia altomedievale

Il sistema curtense era parte dell’economia chiusa altomedievale. Le curtes erano insediamenti sparsi, isolati e mal collegati poiché le vie di comunicazione erano cadute in disuso ed erano rese pericolose dagli assalti dei briganti. I campi coltivati erano di solito i più vicini alle abitazioni; allontanandosi si incontravano le vigne e i prati e, tra un centro e l’altro, si estendeva il saltus. In molte aree d’Europa i vasti territori coperti da foreste e da paludi erano difficili da attraversare; questo da una parte proteggeva le ville curtensi dalle incursioni dei briganti o degli eserciti, ma dall’altra impediva l’espansione delle attività agricole e rendeva precari i collegamenti con gli altri centri.
La stessa frammentazione dei mansi ostacolava il coordinamento razionale dei lavori agricoli e comportava la perdita di grandi quantità di tempo negli spostamenti dei contadini. Nemmeno la presenza di piccoli mercati locali, nei quali i coloni scambiavano le proprie eccedenze o gli attrezzi realizzati con le loro rudimentali attività artigianali, prive della specializzazione professionale dell’antico artigianato urbano, era sufficiente a rompere l’isolamento economico e culturale delle ville curtensi. Gli scarsi guadagni ottenuti da questi limitati scambi, infatti, non creavano un’accumulazione monetaria, in quanto servivano prevalentemente per saldare i conti dei canoni d’affitto dovuti ai signori.

1. Il regno dei Franchi

Tra i regni romano-germanici affermatisi in Europa dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente, solo il regno dei Franchi era destinato a sopravvivere e a esercitare, per qualche tempo, un ruolo egemone nel continente, arrivando a occupare, nel VII secolo, una vasta area che si estendeva dai Pirenei alla valle del Reno.
Dopo l’unificazione delle diverse tribù, avvenuta attorno al 481 a opera del re Clodoveo, capo aggressivo e ambizioso, i Franchi diedero vita a uno Stato in cui si raggiunse un’integrazione relativamente rapida tra la popolazione germanica e quella di origine romana. Questo elemento, insieme a un apparato militare efficiente e a nuove forme di organizzazione politica, contribuirà a garantire la continuità e la potenza dello Stato franco.

Un’unione instabile

Le basi della solidità del regno franco vanno attribuite proprio a Clodoveo (salito al potere nel 481): nel 496 egli, facendosi battezzare dal vescovo di Reims Remigio, decise di convertirsi al cattolicesimo, anziché all’eresia ariana, come la maggior parte degli altri sovrani dei popoli germanici, ottenendo così l’appoggio dei potenti vescovi della Gallia. Nel vuoto di potere seguito alla crisi dell’impero romano, la gerarchia cattolica aveva acquisito infatti grande influenza nella società, in particolare sull’aristocrazia fondiaria gallica. Il sostegno del clero e delle strutture della Chiesa costituì un elemento di unificazione di una popolazione altrimenti molto disomogenea per etnia e costumi.
Sotto la dinastia dei Merovingi, di cui Clodoveo era membro in quanto discendente di un leggendario Meroveo, i Franchi estesero i propri domini su gran parte dell’Europa centroccidentale, conquistando i territori dell’antica Gallia romana e sconfiggendo Alemanni, Burgundi e Visigoti. Alla morte di Clodoveo, tuttavia, le lotte dinastiche provocarono la frammentazione del regno tra i suoi eredi. In un primo momento si riuscì comunque a evitare una frantumazione effettiva grazie in particolare alla figura di Clotario I, figlio quartogenito di Clodoveo, che per breve tempo riuscì ad assumere il controllo dell’intero regno. Alla sua morte, però, riemersero ancora più acutamente i conflitti tra le famiglie della nobiltà franca. Questa situazione di grande conflittualità interna proseguì nel VI e nel VII secolo e favorì le ribellioni dei Bàvari, dei Turingi e degli Alemanni, che approfittarono della debolezza del potere centrale per tornare di nuovo all’indipendenza. Nella Gallia meridionale nacquero allora dei ducati indipendenti, mentre nel Nord sorsero i regni autonomi di Neustria (a Occidente) e di Austrasia (a Oriente). L’autorità dei sovrani si era talmente compromessa da procurare ai Merovingi l’epiteto di “re fannulloni”.

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La nobiltà terriera

I re merovingi che si succedettero sul trono riuscirono in alcuni casi a ricomporre temporaneamente la divisione tra i due principali regni, ma il loro potere rimase sottoposto all’influenza dei grandi proprietari terrieri tra i quali si contavano anche le gerarchie ecclesiastiche, in grado di intervenire nelle scelte politiche dei re e di deporli nel caso non garantissero i loro interessi. Questa influenza era una diretta conseguenza delle caratteristiche della società franca: nell’assenza quasi totale di scambi commerciali, la ricchezza dei nobili dipendeva esclusivamente dal possesso della terra, che assicurava la produzione delle risorse alimentari e la disponibilità di uomini da impiegare come soldati in guerra.
Il potere della stessa monarchia era fondato sull’espansione dei patrimoni terrieri attraverso la conquista di nuovi territori, poiché per ottenere il sostegno politico e la fedeltà della nobiltà guerriera i re erano costretti a continue donazioni di terre. Questa consuetudine determinò però un grave indebolimento del potere regio, dal momento che i proprietari terrieri finirono per accumulare una ricchezza fondiaria superiore a quella dei sovrani.

I maestri di palazzo alla guida dei Franchi: l’ascesa dei Pipinidi

Nel corso del VII secolo si consolidò ulteriormente l’importanza della nobiltà, mediante il riconoscimento politico del loro ruolo: i re divennero sempre più figure di rappresentanza, prive di autorità politica effettiva, e il potere passò gradualmente nelle mani dei maestri di palazzo, ossia di nobili che esercitavano direttamente le attività di governo nella veste di ministri del re.
Nel regno orientale di Austrasia, durante la seconda metà del VII secolo, la carica di maestro di palazzo fu sempre assegnata a membri della dinastia dei Pipinidi, il cui capostipite era stato un ricco proprietario terriero, Pipino il Vecchio. Il loro ruolo crebbe progressivamente di importanza e, tra il 690 e il 714, Pipino di Héristal assunse pieni poteri, esautorando di fatto il sovrano e rendendo definitivamente ereditaria la carica. Per assicurarsi la fedeltà degli altri nobili, egli intraprese una politica di espansione territoriale che gli garantì la disponibilità di nuove terre da distribuire senza intaccare il proprio patrimonio fondiario. Dopo aver sottomesso nel 687 anche il regno di Neustria, Pipino di Héristal conquistò i territori dei Frisoni e dei Sassoni, nelle zone del basso corso del fiume Reno. In questo modo, oltre a riportare importanti conquiste, impegnò le forze militari dei nobili franchi in una guerra contro un nemico esterno, evitando così l’insorgere di conflitti locali per il predominio all’interno del regno.

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Un maestro di palazzo condottiero: Carlo Martello

Alla morte di Pipino di Héristal divenne maestro di palazzo il figlio illegittimo Carlo Martello. Egli dovette difendere i territori dei Franchi sia dalla minaccia degli Àvari, che organizzarono violente incursioni presso i confini orientali, sia da quella degli Arabi, che compivano frequenti saccheggi nelle aree meridionali della Gallia. Questi ultimi inoltre dalla penisola iberica miravano a espandersi verso nord attraverso i Pirenei e, nel 720, erano riusciti a penetrare in Provenza, conquistando Arles, Carcassonne e Narbona e assediando Tolosa. Carlo Martello riuscì a fermare entrambi gli invasori grazie alla forza di un esercito fondato sulla cavalleria, la cui potenza bellica trasse notevole beneficio da alcune innovazioni nell’equipaggiamento, come per esempio l’introduzione delle staffe e delle corazze di ferro, che conferivano ai cavalieri maggiore stabilità e protezione. La solidità dell’esercito fu garantita anche da importanti provvedimenti in ambito agrario: per assicurare ai cavalieri le risorse economiche necessarie al mantenimento dei cavalli, all’acquisto dell’armatura e al costante addestramento militare, Carlo Martello cedette loro temporaneamente terre che appartenevano al patrimonio fondiario della Chiesa e degli ordini monastici.
Contro gli Arabi Carlo Martello ottenne un’importante vittoria nel 732 nella battaglia di Poitiers ( p. 213), arrestando definitivamente la loro avanzata nell’Europa occidentale. Grazie a questa vittoria i Franchi acquisirono il controllo dell’Aquitania, premessa per l’espansione nella Gallia meridionale e in particolare in Provenza, regione che aveva raggiunto una certa prosperità grazie ai traffici commerciali del porto di Marsiglia.

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L’ultimo regno merovingio

Alla morte di Carlo Martello, nel 741, gli succedettero al potere i figli Carlomanno e Pipino il Breve. Nonostante i successi militari, il regno dei Franchi era indebolito dall’instabilità politica, dovuta ai contrasti con le gerarchie ecclesiastiche, colpite dalle requisizioni di terre attuate da Carlo Martello per finanziare la cavalleria, e dalla mancanza di un forte potere regio, dal momento che i Merovingi continuavano a mantenere il titolo di sovrani anche se erano stati di fatto esautorati dalla dinastia dei Pipinidi, maestri di palazzo.
I legami con la Chiesa furono riannodati da Carlomanno, che sostenne materialmente e politicamente il monaco inglese Bonifacio, al quale il papa aveva affidato il compito di evangelizzare le popolazioni germaniche dell’Europa centrale. Dopo il ritiro di Carlomanno in un monastero in Italia (747), il potere passò interamente nelle mani di Pipino il Breve, che nel 751, stringendo un’alleanza destinata a una straordinaria solidità con i potenti vescovi di Gallia, depose il re ponendo fine alla dinastia merovingia.

passato&presente

La costruzione del potere temporale della Chiesa

Derivata dal latino tempus in riferimento al “tempo” della vita terrena degli individui, l’espressione “potere temporale” indica la sovranità esercitata dal papa sui territori appartenenti alla Chiesa, che dal nucleo originario del Patrimonio di San Pietro risalente all’VIII secolo si estesero sino a formare il vasto Stato della Chiesa. Quest’espressione si affianca e si contrappone a “potere spirituale”, che indica l’autorità propriamente religiosa della Chiesa di Roma su tutti i cristiani cattolici.
All’VIII secolo risale probabilmente anche l’elaborazione di un documento falso, la cosiddetta “Donazione di Costantino” ( Constitutum Constantini), stilato all’interno degli ambienti papali e messo in circolazione dalle gerarchie ecclesiastiche allo scopo di confermare la legittimità del loro potere temporale. In tale documento, che riportava la data del 315, si affermava che l’imperatore romano Costantino avesse affidato a papa Silvestro I e ai suoi successori il dominio politico non solo sull’Italia, ma su tutto l’impero d’Occidente, mantenendo per sé solo il controllo dell’Oriente e trasferendo per questo motivo la capitale a Costantinopoli. La veridicità dell’editto fu confutata solo nel XV secolo, quando, sulla base di incongruenze lessicali e di evidenti anacronismi, ricorrendo a una disciplina che prese il nome di filologia, l’umanista Lorenzo Valla dimostrò l’impossibilità che quel documento risalisse al IV secolo. Per tutto il Medioevo, tuttavia, le gerarchie ecclesiastiche sfruttarono questo documento falso per rivendicare il diritto di governare vasti possedimenti territoriali.
Nel corso dei secoli, l’estensione dei territori della Chiesa ha subìto vari cambiamenti, intrecciandosi con le vicende politiche degli Stati e degli imperi affermatisi nel continente europeo, finché, durante il Risorgimento italiano, Roma fu invasa dai bersaglieri (si tratta dell’episodio noto come “breccia di Porta Pia”, avvenuto nel settembre del 1870) e annessa al Regno d’Italia, decretando la fine del potere temporale del papato. In seguito a ciò si determinò una rottura nei rapporti fra la Chiesa e lo Stato italiano, che fu sanata solo nel 1929 con la firma dei Patti Lateranensi. Essi sancirono ufficialmente il riconoscimento dello Stato italiano da parte della Chiesa e la rinuncia alle sue aspirazioni alla sovranità su Roma; il Regno d’Italia per parte sua riconobbe alla Chiesa una cospicua indennità come risarcimento per la perdita subìta e la sovranità del papa sulla Città del Vaticano, compresa entro l’area urbana romana.

L’intervento di Pipino il Breve in Italia

Il potere dei Pipinidi fu legittimato da papa Stefano II, che nel 754 consacrò il nuovo sovrano e i suoi due figli, Carlo e Carlomanno, con il titolo di “patrizi dei Romani”.
La mossa del pontefice rafforzava l’alleanza del papato con il regno dei Franchi, rivelandosi di enorme importanza alla luce dei conflitti che in quel periodo caratterizzavano il quadro politico in Italia. La Chiesa di Roma cercava infatti un appoggio sia per far fronte all’aggressività dell’imperatore d’Oriente, il quale attraverso le dispute dottrinali sull’iconoclastia tentava di estendere la propria autorità anche sul pontefice romano, sia per respingere la minaccia dei Longobardi.
Nel 728 il re longobardo Liutprando aveva donato a papa Gregorio II i territori che costituivano il cosiddetto Patrimonio di San Pietro; successivamente però, a seguito di una nuova politica di espansione inaugurata dal re Astolfo contro i possedimenti ecclesiastici, l’alleanza momentanea tra Longobardi e papato (unitisi contro i comuni nemici bizantini) si era incrinata, inducendo papa Stefano II a richiedere l’intervento del sovrano franco, che era invece in stretta alleanza con i vescovi locali. Pipino il Breve organizzò allora due spedizioni in Italia (nel 754 e nel 756) con le quali strappò ai Longobardi i territori dell’Italia centrale e ne fece dono al papato. Dal punto di vista formale, tali regioni avrebbero dovuto essere restituite non al pontefice romano ma ai Bizantini, che prima dell’espansione territoriale di Liutprando controllavano l’esarcato; tuttavia, sulla base dell’alleanza tra i Franchi e il papato, questi possedimenti si aggiunsero al Patrimonio di San Pietro, che si estendeva ormai su gran parte dell’Italia centrale – dal Lazio all’Umbria, alle Marche e alla Romagna – e che costituiva il nucleo dello Stato della Chiesa su cui i papi avrebbero esercitato il loro potere temporale ( Passato&presente, p. 252).
L’intervento di Pipino e la sconfitta di Astolfo riportarono una situazione di equilibrio in Italia e consentirono l’instaurarsi di relazioni diplomatiche pacifiche tra i Franchi e i Longobardi ( carta).

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille