3 - La nascita dell’impero islamico

Unità 11 TRA ORIENTE E OCCIDENTE >> Capitolo 30 – La civiltà araba

3. La nascita dell’impero islamico

La situazione geopolitica del Vicino Oriente

Alla fine del VI secolo nel Vicino Oriente dominavano da un lato l’impero bizantino e dall’altro l’impero sasanide di Persia.
Come abbiamo visto, le invasioni dei popoli germanici – in particolare Avari e Unni – che avevano interessato anche parte del Vicino Oriente nel IV e nel V secolo, avevano costretto i Bizantini e i Persiani a mettere da parte i loro conflitti per difendere i rispettivi confini. Terminata l’ondata delle grandi migrazioni da est e da nord, però, l’impero persiano era tornato a farsi minaccioso e aveva ripreso la propria espansione territoriale sotto la guida di re Cosroe I (531-579). Questi, dopo aver firmato una “pace eterna” con Giustiniano nel 532, aveva ripreso le ostilità nel 540 e aveva impegnato i Bizantini in un lungo conflitto, costringendoli a richiamare numerose truppe dall’Occidente: al termine del conflitto Cosroe era riuscito a conquistare l’intera Mesopotamia e la città di Antiochia, la cui popolazione venne deportata.
I Bizantini, per porre fine al conflitto, sottoscrissero con i Sasanidi un trattato di pace cinquantennale pagando un oneroso tributo. Cosroe però non arrestò la sua politica espansionistica e, dopo aver conquistato lo Yemen, condusse una nuova campagna contro Costantinopoli assoggettando nel 572 la Cappadocia e la Siria. Alla sua morte, nel 579, Cosroe lasciò un impero solido, ma dopo di lui i Persiani vennero indeboliti da una lunga serie di contese dinastiche, che provocarono il declino dell’impero.

Dopo la morte di Maometto: l’istituzione del califfato

La rapida affermazione della religione islamica aveva trasformato in modo altrettanto rapido la società araba, rafforzandone in primo luogo l’unità: era un segno che il processo di innovazione avviato dalla nuova religione era in profonda sintonia con il comune sentire di molta parte della popolazione. Così i legami sociali, un tempo dominati dai feroci conflitti fra tribù, vennero rinsaldati dagli ideali di solidarietà e fratellanza contenuti nel Corano. Tale mutamento si rivelò una delle più importanti premesse per la costruzione di un grande impero. La religione fornì la motivazione ideologica e, allo stesso tempo, la legittimazione dell’espansione territoriale che vide protagonisti gli Arabi tra il VII e l’VIII secolo.
Nella sua storia ormai millenaria, questa è considerata l’epoca d’oro della civiltà islamica, anche se molto presto si manifestarono le prime fratture interne. Alla morte di Maometto, nel 632, si pose il problema di chi avrebbe guidato politicamente e spiritualmente gli Arabi, finalmente riuniti in una grande confederazione. L’aristocrazia mercantile della Mecca sostenne che il potere dovesse essere trasmesso per via ereditaria, e indicò come successore di Maometto il genero Alì, marito della figlia Fatima.
Questa soluzione fu però avversata dai discepoli che erano stati più vicini a Maometto, i quali proponevano che il successore fosse scelto mediante elezione tra i suoi più autorevoli e fedeli compagni. Quest’ultima posizione prevalse e nello stesso anno della morte del profeta fu eletto il primo califfo (dall’arabo khalifa, “successore”), carica che assommava in sé le prerogative di capo politico e religioso.

L’espansione araba

Tra il 632 e il 661 si succedettero quattro califfi: Abu Bakr, Omar, Othman e lo stesso genero di Maometto, Alì, che morì assassinato (come i suoi due predecessori) nel 661. In questo periodo gli Arabi conquistarono vasti territori, tra cui l’Egitto, la Mesopotamia, la Persia, la Palestina e la Siria, strappandoli all’impero bizantino e a quello sasanide, che fu travolto dall’espansione araba e crollò definitivamente nel 652. Tra il 632 e il 645 gli Arabi conquistarono anche le coste settentrionali dell’Africa, fino alla Libia. Le conquiste furono rapide, anche perché spesso favorite dai contrasti religiosi all’interno dell’impero bizantino, oltre che dalla debolezza politica dei due grandi schieramenti: per esempio, l’immenso Egitto fu conquistato da un esercito di soli 12 000 soldati, aiutati dall’ostilità che i cristiani copti e siriaci nutrivano verso l’ortodossia di Costantinopoli.
In questo periodo però l’islam si mantenne lontano dal Mediterraneo: le sue direzioni di espansione, oltre all’Arabia, erano la Persia a est e la Nubia a sud.

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La resistenza della Nubia cristiana

Ma fu proprio in Nubia che si arrestò l’avanzata araba. Questa regione comprendeva la parte meridionale dell’Egitto e la parte settentrionale dell’odierno Sudan, tra la prima e la quarta cateratta del Nilo, ed era prevalentemente desertica e montuosa. Il territorio era stato occupato da una popolazione che aveva dato vita alla cultura di Ballana e i cui re, verso la metà del VI secolo, si erano convertiti al cristianesimo al quale sarebbero rimasti fedeli per oltre mille anni, respingendo i tentativi di conquista da parte degli Arabi musulmani e bloccandone l’espansione a sud.

L’affermazione degli Omayyadi

Nel frattempo, nel 661, alla morte di Alì, si era imposta ai vertici della società islamica la dinastia degli Omàyyadi, appartenenti all’aristocrazia mercantile, che scelsero come capitale Damasco, in Siria. Con loro il califfato cessò di essere elettivo e diventò dinastico. Gli Omayyadi diedero un nuovo impulso all’espansione verso Occidente: tra il 661 e il 750 gli Arabi conquistarono anche il resto dell’Africa settentrionale e la Spagna, occupando i territori dei Bizantini e dei Visigoti.
La perdita di questi territori rappresentò per l’impero bizantino un durissimo colpo: all’improvviso veniva interrotto il commercio di grano verso Costantinopoli, che in questo modo perdeva non solo una delle sue risorse fondamentali ma anche i ricchi benefici ricavati dalle tasse.

L’avanzata araba non supera i confini del continente europeo

Una volta attestatisi saldamente su questi avamposti (Africa e Spagna) gli Arabi tentarono, solo cento anni dopo la morte di Maometto, di penetrare attraverso la Francia anche in Europa centrale, ma vennero fermati dai Franchi sui Pirenei. La battaglia che si svolse a Poitiers (732) è stata giudicata in vari modi dagli storici. Ritenuta marginale dai contemporanei, che la considerarono poco più di una scaramuccia dalla quale gli Arabi si erano defilati abbandonando il bottino, quella battaglia appare invece determinante, sotto il profilo strategico e storico, non solo perché, come vedremo, consentì al vincitore, il re Carlo Martello, di porre le basi per la costruzione di un regno più vasto di quello dei Franchi, ma soprattutto perché segnò l’ultimo e definitivo tentativo da parte degli Arabi di penetrare militarmente in Europa, anche se non rinunciarono alle scorrerie e qualche tempo dopo riuscirono a conquistare le città provenzali di Avignone e Arles (744). La sconfitta di Poitiers e quella della Nubia segnarono i confini di espansione dell’islam.
Gli Omayyadi indirizzarono quindi i loro sforzi verso Oriente, dove ottennero grandi successi, conquistando vasti territori fino al fiume Indo. L’unica resistenza alla loro espansione fu rappresentata dall’impero bizantino, che, per quanto indebolito e minacciato nel cuore stesso dei suoi possedimenti – la capitale Costantinopoli fu assediata, prima nel 674 e poi nel 717 –, riuscì a resistere alla pressione araba. I Bizantini seppero approfittare delle temporanee difficoltà che gli Arabi incontrarono nella conquista dell’Africa settentrionale a causa della resistenza opposta dai Berberi, popolazione orgogliosamente legata alle antiche tradizioni pagane che si stava convertendo all’islam con scarsa convinzione.

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Le motivazioni della spinta espansionistica dell’islam

Gli storici hanno discusso sulle cause dell’espansionismo arabo e sulle ragioni del successo che accompagnò la diffusione dell’islam in aree così vaste. Le conquiste territoriali rappresentarono probabilmente una valvola di sfogo per tensioni che avrebbero altrimenti indebolito il califfato: l’annessione di terre straniere impegnò infatti le bellicose tribù di beduini verso l’esterno, neutralizzando l’insorgere di conflitti interni alla società araba.
Alla base dell’espansionismo arabo ci furono anche potenti motivazioni religiose, in primo luogo il desiderio di diffondere l’islam oltre la penisola Arabica e di convertire i popoli non musulmani alla “vera” fede – come lo stesso Maometto aveva esortato a fare in punto di morte – attraverso il  jihad, la “guerra santa” da combattere contro gli infedeli. Le difficili condizioni di vita dei beduini del deserto li avevano abituati a combattere per la spartizione delle scarse risorse e a lottare, forti di uno spirito comunitario che le popolazioni urbanizzate avevano in larga misura perso o dimenticato. A questa mentalità tradizionale dava un ulteriore sostegno la fede islamica che prometteva una felice esistenza ultraterrena a chi si fosse sacrificato per il bene comune; i guerrieri islamici quindi combattevano con un entusiasmo che era invece assente negli eserciti nemici, composti prevalentemente da mercenari.
Le vittorie degli Arabi furono senza dubbio favorite anche dalla debolezza degli avversari: l’impero bizantino attraversava una fase di crisi economica e politica e l’impero persiano era indebolito dalle lotte dinastiche interne. I sudditi di entrambi erano ridotti in miseria dal peso dell’imposizione fiscale, necessaria per mantenere gli eserciti e gli apparati burocratici e per finanziare le continue guerre di frontiera. Così, le popolazioni dei territori conquistati non opposero praticamente alcuna resistenza all’arrivo degli invasori, sperando al contrario che i musulmani potessero alleviare la loro condizione.

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L’atteggiamento degli Arabi nei confronti delle popolazioni conquistate

Ancor più importante nel determinare il successo islamico fu l’atteggiamento che gli Arabi tennero nei confronti delle popolazioni sottomesse, caratterizzato dalla tolleranza verso le diverse culture e dalla concessione di ampie libertà: i cristiani e gli ebrei (i dhimmi, letteralmente “sudditi non musulmani”), per esempio, poterono continuare a professare la propria religione in cambio del pagamento di una speciale tassa (jizyah), dalla quale erano invece esentati coloro che si convertivano all’islam, peraltro molto numerosi, soprattutto tra la popolazione contadina e i ceti meno abbienti.
Tale atteggiamento non si esplicò soltanto in ambito religioso: gli Arabi infatti evitarono anche di espropriare i possidenti locali, lasciando loro le proprietà terriere in cambio del versamento di un tributo.
Senza queste concessioni, difficilmente gli Arabi sarebbero riusciti a tenere sotto controllo tutti i territori conquistati.
La gerarchia sociale vigente nelle terre conquistate fu modellata in buona parte sull’identità etnica della popolazione. Al vertice della società vi erano i funzionari di governo (ufficiali dell’esercito, amministratori statali, giudici) di origine araba. Artigiani e commercianti formavano la classe intermedia, mentre il grosso della popolazione era costituito dai contadini di etnia locale. Alla base della piramide sociale vi erano infine i nullatenenti, che sopravvivevano grazie a lavori occasionali e alle sovvenzioni pubbliche, e gli schiavi, prigionieri di guerra o individui rapiti sulle coste mediterranee dai pirati arabi. Gli schiavi costituirono a lungo un bacino di manodopera gratuita molto importante per l’economia dell’impero.
I diritti politici (tra cui la possibilità di entrare a far parte dell’amministrazione statale) erano riservati agli Arabi, mentre i musulmani di origine non araba godevano soltanto dei diritti civili. Erano, come ha scritto Bernard Lewis, importante studioso del Medio Oriente e dell’islam, «cittadini di seconda classe, ma cittadini». Totalmente privi di diritti erano invece gli schiavi e i sudditi non convertiti.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille