4 - Il ruolo sociale e culturale della Chiesa

Unità 11 TRA ORIENTE E OCCIDENTE >> Capitolo 29 – I Longobardi nella penisola e l’affermazione della Chiesa

4. Il ruolo sociale e culturale della Chiesa

Le riforme di Gregorio Magno

Nella situazione di instabilità politica, di insicurezza sociale e di grande cambiamento culturale che caratterizzò l’alto Medioevo, la Chiesa dunque assunse un’importanza sempre maggiore; le strutture ecclesiastiche supplirono al vuoto di potere seguito al crollo delle istituzioni statali dell’impero romano, rappresentarono un sicuro punto di riferimento nella società grazie al loro ruolo economico e ai compiti assistenziali verso la popolazione più bisognosa e, infine, garantirono la conservazione e la trasmissione del patrimonio culturale antico. In questo lento processo di consolidamento delle strutture cristiane un ruolo fondamentale assunse la figura del vescovo di Roma, il papa.
Dalla fine del V secolo era andato crescendo il conflitto tra papato e imperatore, a cominciare dall’attrito sorto tra papa Gelasio I (492-496) e l’imperatore bizantino Anastasio per il riconoscimento del primato del papa di Roma nella Chiesa. Verso la fine del VI secolo, però, il papa venne riconosciuto da tutte le comunità cristiane d’Occidente come la suprema autorità politica e religiosa. Non si adottò ancora un atto formale, che sarebbe arrivato solo con il secondo concilio di Nicea (787) quando si ebbe la proclamazione della Chiesa di Roma come “guida di tutte le chiese”, ma di fatto il papa di Roma assumeva una centralità indiscussa. La sua figura, l’unica in grado di elevarsi al di sopra delle contese che contrapponevano i regni romano-germanici, cominciò ad affermarsi come una guida morale e politica per tutta la popolazione europea. Già prima della formazione di uno Stato della Chiesa come entità politica e territoriale, il ruolo del papato si concretizzò nell’influenza esercitata sui sovrani dei regni romano-germanici. Da questo punto di vista, come abbiamo visto, una delle figure più importanti dell’epoca fu Gregorio Magno, che sostenne attivamente la conversione dei Longobardi al cattolicesimo. Il papato di Gregorio Magno non è però ricordato soltanto per la sua azione politica e diplomatica nell’Europa del tempo. Egli dimostrò grandi capacità anche nell’amministrazione del patrimonio economico ecclesiastico e impegnò le strutture della Chiesa in ambito sociale, dando impulso alle tradizionali forme di solidarietà e impiegando il clero e le sue ricchezze nell’assistenza alle popolazioni colpite dalla crisi economica e sociale. Gregorio attuò inoltre un’importante riforma del clero, cacciando i vescovi che si erano macchiati di abusi di potere e violenze. Infine, introdusse rilevanti cambiamenti nella liturgia, tra i quali va ricordata la sistemazione e la catalogazione dei canti utilizzati durante la messa, fino ad allora tramandati solo oralmente, chiamati in seguito “canti gregoriani”.

Cresce il prestigio ecclesiastico

La forza della Chiesa non era però limitata al ruolo politico e sociale – pur rilevantissimo – del suo vertice; grazie alla ormai secolare presenza sul territorio attraverso l’organizzazione capillare delle diocesi, essa assunse un posto sempre più importante all’interno di tutti i nuovi Stati romano-germanici. I vescovi, cioè i capi religiosi delle chiese locali, acquisirono presto, accanto alla loro funzione di guida spirituale delle comunità cristiane, importanti compiti politici, sociali e amministrativi. Sulla scorta dell’operato di Gregorio Magno, la presenza della Chiesa nella società fu particolarmente rilevante nei periodi di crisi: in molti casi il clero costituì l’unica difesa della popolazione più debole, offrendo protezione da saccheggi e distruzioni provocati dalle guerre e garantendo la distribuzione di cibo durante le frequenti carestie.
Il prestigio sociale acquisito dalla Chiesa in questo modo contribuì a rafforzare anche la sua potenza economica. Come già negli ultimi secoli dell’impero romano, nei regni romano-germanici il clero era esente dalle tasse; il patrimonio economico ecclesiastico, inoltre, continuò a crescere grazie alle donazioni di beni e terre a opera dei ceti più abbienti.

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Eremiti e monaci

Mentre una parte della Chiesa era impegnata direttamente nella società, nell’ambito del cristianesimo orientale e occidentale si affermarono altre forme di religiosità e di impegno spirituale e sociale. Si trattava in particolare di forme di religiosità eremitica o monastica che si andarono via via strutturando in modo sempre più diffuso.
Alcuni fedeli – gli eremiti, come vennero chiamati dal termine greco éremos, “solitario” – si ritirarono in luoghi isolati, come per esempio i deserti della Siria e dell’Egitto, per cercare un contatto spirituale con Dio. Altri cristiani, pur vivendo in luoghi lontani dalle città, formarono comunità di preghiera insieme ad altri fedeli. Essi furono chiamati  monaci perché pur conducendo una vita di gruppo con altri confratelli trascorrevano gran parte del proprio tempo nel raccoglimento interiore, pregando o svolgendo le attività quotidiane necessarie al loro sostentamento in solitudine.
In Oriente si erano da tempo diffuse pratiche e costumi di vita che si richiamavano alla  ascesi e all’isolamento, oltre a esperienze di vita comunitaria e isolata che in parte anticiparono il modello di vita monastico. Per esempio sulla costa occidentale del mar Morto si erano formate, a partire dal 150 a.C. circa, le comunità degli Esseni, il cui stile di vita era basato sulla comunione dei beni, su rigide regole ascetiche, sulla castità, povertà e infine sul silenzio.
Con il progressivo imporsi del cristianesimo, alcune di queste esperienze si diffusero anche tra i cristiani d’Oriente; qui alcuni fedeli, richiamandosi all’esperienza dei primi martiri cristiani e all’esempio di Gesù, fra il III e il IV secolo presero a condurre una vita ascetica fatta di preghiera e lunghi digiuni e segnata dalla rinuncia completa ai beni terreni. Tra questi, Antonio e l’eremita Paolo, che diedero vita alla forma  anacoretica del monachesimo cristiano. Si deve invece a Pacomio la forma  cenobitica, cioè comunitaria: alla sua morte (348) si contavano già undici monasteri (due dei quali femminili) nell’Alto Egitto.

I monaci evangelizzatori

A partire dal V secolo il monachesimo si diffuse anche in Occidente, in particolare in Italia e in Gallia. Alla base dell’impegno religioso dei primi monaci vi fu in molti casi l’opera di evangelizzazione dei popoli germanici. Sulle orme di Ulfila, il vescovo ariano che alla fine del IV secolo era riuscito a convertire i Goti, nel V secolo il monaco britannico san Patrizio si era recato in Irlanda, evangelizzandone la popolazione. Sull’isola sorsero poi numerosi monasteri che, tra il VI e il VII secolo, diffusero il cristianesimo in tutta la Britannia. Nello stesso periodo altri monaci evangelizzarono l’Europa centrale, mentre nel IX secolo i monaci greci Cirillo e Metodio avrebbero convertito al cristianesimo anche le tribù nomadi di Slavi insediate nell’Europa orientale e nei Balcani.
Mentre nelle regioni orientali a diffondere la fede cristiana fu comunque soprattutto la Chiesa guidata dal patriarca di Costantinopoli, nel mondo occidentale il monachesimo ebbe in tal senso un ruolo determinante. Qui i monaci, spingendosi come missionari pressoché in ogni parte d’Europa, compirono un’impresa fondamentale per l’affermazione politica e sociale della Chiesa e per la formazione dell’identità religiosa europea.
Gli evangelizzatori cristiani incontrarono ovviamente molte resistenze anche nell’Europa mediterranea tra le popolazioni rurali di origine romana, da secoli legate al paganesi mo e rimaste in buona parte escluse dalla prima diffusione del cristianesimo, che aveva interessato prevalentemente i centri urbani. Nelle campagne, i riti pagani – in particolare i culti propiziatori tradizionali, legati alla fertilità dei campi, le credenze popolari sugli spiriti e sulle divinità dei boschi, i gesti divinatori che risalivano a secoli lontani – resistettero ancora a lungo. In molti casi alla religione cristiana non restò che assorbirli, adottandoli e adattandoli, senza però riuscire a far perdere loro le originarie caratteristiche: il culto di molti santi cristiani nasconde in realtà la più antica venerazione di divinità pagane legate ai cicli delle stagioni o alle attività agricole, come anche le ricorrenze di molte festività rinviano a riti pagani, su tutte il Natale, che coincideva con la festività che celebrava la resurrezione di Mitra.
La diffusione del monachesimo ebbe però un ruolo decisivo nella conversione di intere comunità contadine, anche perché l’opera dei monaci, inizialmente benedettini e più tardi cistercensi, si svolgeva a stretto contatto con le popolazioni delle campagne, anche quando il loro messaggio e stile di vita coinvolgeva soggetti delle classi dirigenti: come nel caso del re longobardo Ratchis e del franco Carlomanno, diventati monaci a Montecassino, o della figlia e della moglie di Ratchis, ritiratesi nel monastero di Santa Maria a Piombarola.

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La Regola di Benedetto da Norcia

Se l’importanza del monachesimo fu in origine legata alla diffusione del cristianesimo tra i Germani, nel corso dell’alto Medioevo i monaci acquisirono un ruolo sempre più importante nella vita economica e sociale di tutti i territori un tempo appartenuti all’impero romano d’Occidente.
Le residenze dei monaci, i monasteri, erano organizzate secondo severe regole di disciplina. I religiosi vi rimanevano per tutta la vita, rinunciando a qualsiasi proprietà personale e mantenendo un atteggiamento di obbedienza totale nei confronti dell’abate, che veniva eletto da tutti i monaci a capo della comunità. Vestiti sobriamente e dediti a un’esistenza caratterizzata dal voto di povertà, essi vivevano con quanto producevano le terre appartenenti al monastero.
Il monastero più importante fu fondato nel 529 a Montecassino (nel Lazio) da san Benedetto da Norcia (circa 480-547), figura fondamentale del monachesimo occidentale. Verso la metà del VI secolo egli elaborò la Regola che porta il suo nome e raccoglie un insieme di norme volte a disciplinare la vita comunitaria dei confratelli. La formula che più di tutte simboleggia e sintetizza la vita monacale praticata e teorizzata da Benedetto è l’espressione latina ora et labora (“prega e lavora”): la vita all’interno dei monasteri benedettini alternava infatti preghiera e attività manuali. Le giornate dei monaci iniziavano all’alba, quando essi si riunivano nella cappella per recitare le preghiere del mattino; quindi si dedicavano ai lavori nei campi, nelle stalle, nelle botteghe, nelle cucine o nelle biblioteche. Le loro attività venivano interrotte solo per brevi e frugali pasti, a base di cereali e di ortaggi, che dovevano essere consumati in assoluto silenzio. Nel pomeriggio si alternavano ancora momenti di lavoro ad altri di preghiera, fino alla cena e alle orazioni serali che concludevano la giornata.

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I monasteri: microcosmi di attività economiche e trasmissione culturale

Se la vita dei monaci era caratterizzata dalla povertà e dalla rinuncia ai beni materiali, ciò non toglie che i monasteri diventarono i centri economici più vitali della società europea altomedievale. I primi monasteri, costruiti sui ruderi delle ville rurali abbandonate in seguito alle distruzioni provocate dalle invasioni germaniche, ereditarono la funzione economica che queste strutture avevano svolto nell’età tardoantica.
I monaci lavoravano le terre intorno ai monasteri; i campi fornivano inizialmente i prodotti necessari soltanto per il loro sostentamento, ma nel corso del tempo, grazie ad acquisizioni, lasciti e donazioni, i possedimenti terrieri si ampliarono gradualmente. La maggior parte dei monasteri divenne del tutto autosufficiente o addirittura in grado di produrre eccedenze da immettere nei mercati locali. L’opera dei monaci fu importantissima anche per i lavori di bonifica e di dissodamento delle aree che, dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente, erano state occupate da foreste e paludi.
Il ruolo economico dei monasteri non si esplicò comunque soltanto in ambito agricolo. In ogni centro, attorno alla chiesa – che costituiva il cuore della comunità – sorgevano magazzini, stalle per gli animali e botteghe artigianali.
Infine, nella società europea altomedievale il monachesimo ricoprì un rilevante ruolo culturale. Non solo i monasteri rimasero a lungo gli unici luoghi in cui venisse praticata qualche forma di insegnamento scolastico, ma, attraverso la conservazione di un prezioso patrimonio di testi classici, i monaci garantirono anche la trasmissione della cultura greco-romana alle generazioni successive, senza la quale l’identità culturale europea non avrebbe avuto l’evoluzione che conosciamo.
L’attività di copiatura dei testi antichi veniva svolta dai monaci amanuensi, che trascrivevano “a mano” gli antichi volumi nei tipici codici medievali. Gli amanuensi spesso non conoscevano la lingua dei testi che copiavano; nondimeno, il loro paziente lavoro ha permesso la conservazione dei testi originali e, in molti casi, ha prodotto vere e proprie opere d’arte grazie alla presenza di raffinate miniature con cui i monaci usavano ornare le pagine. Grazie alle biblioteche monastiche, dunque, numerose opere classiche – ma anche molti testi religiosi prodotti nei primi secoli della diffusione del cristianesimo – si sono salvate dalla distruzione del tempo e sono giunte fino a noi.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille