L’amministrazione della proprietà terriera
La solidità del regno, almeno nei primi decenni, fu messa a dura prova dai gravi problemi economici e sociali che affliggevano la penisola. Lo stato di guerra continua, i rapporti conflittuali tra conquistatori e conquistati e le confische delle proprietà terriere prolungarono infatti la crisi economica che aveva provocato lo spopolamento
delle città e un vistoso calo della produzione
agricola, entrambi retaggio dell’esito della guerra greco-gotica.
Nel corso del VII e dell’VIII secolo, tuttavia, anche la vita economica conobbe qualche segnale di ripresa. Dopo la fondazione del regno da parte di Alboino, la nobiltà germanica, in origine dedita pressoché esclusivamente all’esercizio delle armi, si trasformò in un ceto di proprietari terrieri e agricoltori, e la società longobarda divenne essenzialmente contadina, come testimoniano molte norme dello stesso editto di Rotari.
Tra le leggi emanate dall’editto del 643, in particolare, vi erano diverse disposizioni relative alla gestione delle proprietà rurali, dalle quali emerge un modello di sfruttamento del territorio che, erede del latifondo romano e della villa rustica di epoca tardoantica, si sarebbe affermato definitivamente nei secoli successivi.
Come le ville rustiche romane, le grandi proprietà terriere longobarde erano quasi del tutto autosufficienti dal punto di vista economico e la produzione era destinata per lo più all’autoconsumo. All’interno dei possedimenti, i campi migliori erano riservati al padrone; nella sua porzione di terra erano presenti anche stalle, magazzini, mulini per la produzione della farina o frantoi per la spremitura delle olive, oltre a forni e a officine artigianali. All’interno delle ville rurali si svolgevano infatti anche piccole attività manifatturiere, come la produzione di attrezzi agricoli e di tessuti di lana, di lino e di canapa.
La parte restante della proprietà, di dimensioni più ridotte, era invece riservata a uno o più contadini, i ▶ massari. Questi vivevano in condizioni non molto dissimili da quelle dei servi, sostentandosi con i raccolti del loro podere ma lavorando anche i campi del padrone per conto di quest’ultimo.
Molto importanti, nell’economia agricola di questo periodo, erano anche le risorse rappresentate dai boschi e dai pascoli liberi che circondavano le proprietà terriere. Qui i contadini potevano cogliere i frutti selvatici e le erbe e far pascolare gli animali, senza corrispondere al padrone alcun tributo. Dai boschi si ricavava inoltre la legna utilizzata come combustibile per il riscaldamento e come materiale per la costruzione delle abitazioni e la fabbricazione di utensili e strumenti di lavoro.
Alcuni articoli dell’editto di Rotari prevedevano pene molto severe contro il danneggiamento dei boschi e norme per la salvaguardia degli animali selvatici, a testimonianza dell’importanza che i Longobardi riservavano all’economia silvo-pastorale.