2 - La società longobarda

Unità 11 TRA ORIENTE E OCCIDENTE >> Capitolo 29 – I Longobardi nella penisola e l’affermazione della Chiesa

2. La società longobarda

Il re era al vertice della società longobarda ed era proprietario della maggior parte delle terre. Egli affidava l’amministrazione dei propri possedimenti ai suoi funzionari, i gastaldi, incaricati di controllare l’operato dei duchi, che, come abbiamo visto, esercitavano il proprio potere in autonomia da quello centrale.
La società longobarda era caratterizzata da una divisione in classi che ricalcava in parte la sua composizione etnica.

  • La nobiltà guerriera di origine germanica era costituita dagli arimanni, “uomini liberi”, proprietari terrieri dotati di pieni diritti; essi partecipavano alle assemblee politiche convocate dal re per prendere decisioni sulle guerre da intraprendere o sugli accordi diplomatici da stipulare.
  • A un gradino più basso della scala sociale si trovavano gli aldi, giuridicamente liberi ma di fatto dipendenti dai nobili: erano contadini poveri o piccoli allevatori che, in cambio della protezione armata offerta dagli arimanni, cedevano loro parte dei raccolti agricoli o dei prodotti dell’allevamento.
  • Al livello più basso della gerarchia sociale si trovavano infine i discendenti della popolazione italica sottomessa, impiegati per lo più come servi nei possedimenti terrieri dei nobili longobardi.

L’amministrazione della proprietà terriera

La solidità del regno, almeno nei primi decenni, fu messa a dura prova dai gravi problemi economici e sociali che affliggevano la penisola. Lo stato di guerra continua, i rapporti conflittuali tra conquistatori e conquistati e le confische delle proprietà terriere prolungarono infatti la crisi economica che aveva provocato lo spopolamento delle città e un vistoso calo della produzione agricola, entrambi retaggio dell’esito della guerra greco-gotica.
Nel corso del VII e dell’VIII secolo, tuttavia, anche la vita economica conobbe qualche segnale di ripresa. Dopo la fondazione del regno da parte di Alboino, la nobiltà germanica, in origine dedita pressoché esclusivamente all’esercizio delle armi, si trasformò in un ceto di proprietari terrieri e agricoltori, e la società longobarda divenne essenzialmente contadina, come testimoniano molte norme dello stesso editto di Rotari.
Tra le leggi emanate dall’editto del 643, in particolare, vi erano diverse disposizioni relative alla gestione delle proprietà rurali, dalle quali emerge un modello di sfruttamento del territorio che, erede del latifondo romano e della villa rustica di epoca tardoantica, si sarebbe affermato definitivamente nei secoli successivi.
Come le ville rustiche romane, le grandi proprietà terriere longobarde erano quasi del tutto autosufficienti dal punto di vista economico e la produzione era destinata per lo più all’autoconsumo. All’interno dei possedimenti, i campi migliori erano riservati al padrone; nella sua porzione di terra erano presenti anche stalle, magazzini, mulini per la produzione della farina o frantoi per la spremitura delle olive, oltre a forni e a officine artigianali. All’interno delle ville rurali si svolgevano infatti anche piccole attività manifatturiere, come la produzione di attrezzi agricoli e di tessuti di lana, di lino e di canapa.
La parte restante della proprietà, di dimensioni più ridotte, era invece riservata a uno o più contadini, i  massari. Questi vivevano in condizioni non molto dissimili da quelle dei servi, sostentandosi con i raccolti del loro podere ma lavorando anche i campi del padrone per conto di quest’ultimo.
Molto importanti, nell’economia agricola di questo periodo, erano anche le risorse rappresentate dai boschi e dai pascoli liberi che circondavano le proprietà terriere. Qui i contadini potevano cogliere i frutti selvatici e le erbe e far pascolare gli animali, senza corrispondere al padrone alcun tributo. Dai boschi si ricavava inoltre la legna utilizzata come combustibile per il riscaldamento e come materiale per la costruzione delle abitazioni e la fabbricazione di utensili e strumenti di lavoro.
Alcuni articoli dell’editto di Rotari prevedevano pene molto severe contro il danneggiamento dei boschi e norme per la salvaguardia degli animali selvatici, a testimonianza dell’importanza che i Longobardi riservavano all’economia silvo-pastorale.

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La città e i rapporti con la campagna

Sebbene fondamentalmente agricola, la vita economica del regno longobardo non era limitata esclusivamente al sistema chiuso delle proprietà rurali. La crisi e lo spopolamento che avevano colpito le città della penisola dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente e la guerra greco-gotica non causarono la fine della civiltà urbana nel territorio che ne era stato il cuore, l’Italia; le città, al contrario, riuscirono in qualche misura a far sentire la propria influenza e il proprio ascendente. Anche i luoghi dove i duchi longobardi si erano stabiliti si andavano trasformando rapidamente in insediamenti abitativi più affollati, in nuove città. Si dava così vita a un interessante interscambio tra i centri urbani e le campagne: se le città dipendevano dalle campagne per gli approvvigionamenti alimentari, per molte attività di tipo artigianale era vero il contrario, erano ancora le campagne a dover dipendere dalla produzione di manufatti che avveniva nei contesti urbani. Le botteghe e i laboratori di fabbri, falegnami, vasai e altri artigiani erano gestiti soprattutto dalla popolazione di origine romana, ma con il tempo si sviluppò anche un artigianato a opera dei Longobardi, esperti soprattutto nella lavorazione del legno e dei metalli (che sarebbe giunta anche a produzioni di grande valore artistico).
A soffrire maggiormente in questo lungo periodo furono i commerci, poiché la produzione era per lo più destinata all’autoconsumo o limitata ai mercati in cui si scambiavano i prodotti locali. I traffici di lunga distanza furono assenti, nell’ambito di un contesto sociale e produttivo assai lontano dai fasti dell’economia che la penisola aveva conosciuto ai tempi della Roma imperiale.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille