4 - Teodosio e la fine dell’unità dell’impero

Unità 10 IL TARDOANTICO E L’ALTO MEDIOEVO >> Capitolo 26 – La divisione dell’impero

L’ascesa politica di Giuliano

Per evitare che alla sua morte ritornasse l’instabilità politica che aveva caratterizzato l’inizio del suo regno, Costanzo II nominò come suo successore Giuliano, suo parente non diretto, nominandolo Cesare e assegnandogli il comando delle Gallie. Nell’amministrare queste province, Giuliano dimostrò ottime capacità, soprattutto nella lotta contro la corruzione dei funzionari imperiali. Sotto la sua guida le Gallie furono dotate di nuove opere difensive presso le frontiere e nei centri abitati, con benefici per la sicurezza della popolazione e dei commerci.
Giuliano si distinse anche per le sue doti di soldato e di comandante militare, riuscendo a respingere numerose invasioni lungo la frontiera del Reno. Questi successi gli valsero tra l’altro il consenso della popolazione e delle truppe stanziate nelle Gallie. Così, quando nel 360 Costanzo II chiese a Giuliano l’invio di alcuni contingenti per la sua campagna militare contro i Sasanidi, in Oriente, le legioni della Gallia si ribellarono e acclamarono Giuliano imperatore. L’anno seguente Costanzo II decise allora di muovere le sue truppe contro di lui, ma morì per una malattia mentre era ancora in Asia minore.

L’imperatore “Apostata”

Nel 361, quindi, l’impero passò a tutti gli effetti nelle mani di Giuliano (361-363). Sebbene fosse stato educato, per ordine di Costanzo II, secondo i princìpi del cristianesimo ariano, grazie all’incontro con il retore pagano Libanio di nascosto si era nutrito di cultura ellenistica e di filosofia greca, convertendosi segretamente al paganesimo attorno ai vent’anni. Così durante il suo governo egli promosse il ritorno alla cultura greco-romana classica e ai culti pagani, ormai in gran parte abbandonati dalla classe dirigente. Per questo motivo egli sarebbe passato alla storia con il nome di Giuliano l’Apostata (ossia “rinnegatore” della fede cristiana).
Contrariamente a quanto affermarono i suoi detrattori, soprattutto negli ambienti cristiani, con Giuliano non vi furono persecuzioni, poiché egli mantenne la libertà di culto per tutti gli abitanti dell’impero. L’ostilità dei cristiani derivava dal fatto che proprio questa libertà favoriva la ripresa delle eresie condannate dalla Chiesa e osteggiate dai Padri della Chiesa e dai difensori dell’ortodossia.
Il risentimento dei cristiani divenne ancora più evidente in seguito all’abolizione di alcuni privilegi economici che gli imperatori precedenti avevano concesso ai seguaci del cristianesimo. Poiché ormai i cristiani rappresentavano una parte considerevole della popolazione dell’impero, questi provvedimenti danneggiarono molto la popolarità dell’imperatore, del resto già piuttosto ridotta, dal momento che le sue riforme a favore del paganesimo interessavano soltanto un numero ristretto di intellettuali legati a circoli culturali nostalgici dell’età classica.
L’attività di governo di Giuliano fu a largo raggio: oltre a riformare l’insegnamento, cercò di combattere la diffusa corruzione, promosse riforme economiche e tentò di rendere più rapido l’iter giudiziario dei processi, la cui eccessiva lunghezza consentiva il proliferare di illeciti.

L’ultima impresa di Giuliano contro i Sasanidi

Nel 363 Giuliano intraprese una nuova campagna militare contro i Sasanidi, con l’intento di creare nuovi sbocchi commerciali tra il Mediterraneo e l’Estremo Oriente. Tra le motivazioni della sua spedizione ebbe peso anche l’idea di guidare una missione civilizzatrice, in nome della cultura greco-romana, contro i discendenti degli eterni nemici orientali, i Persiani. La guerra in Oriente non sortì però l’effetto sperato, e l’imperatore morì in seguito alle ferite ricevute in battaglia. Dopo la morte di Giuliano il tentativo di restaurare i culti pagani fu rapidamente accantonato. I cristiani ottennero subito il ripristino dei privilegi economici e sociali di cui avevano goduto in epoca precedente e tutte le riforme religiose promosse da Giuliano furono cancellate dal suo successore, Gioviano (363-364).

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Le minacce ai confini imperiali

Alla morte di Gioviano, nel 364, le truppe acclamarono imperatore Valentiniano I (364- 375). La difficoltà di controllare i vasti territori dell’impero, sempre più frammentato e insidiato su vari fronti dai nemici esterni, indusse il nuovo imperatore a tornare alla scelta di suddividere il potere. Egli nominò come Augusto d’Oriente il fratello Valente, mentre mantenne per sé il comando della parte occidentale dell’impero, associando al trono, nel 367, il figlio Graziano. Quando nel 375 Valentiniano I morì durante una campagna militare in Europa orientale, Graziano gli subentrò come Augusto d’Occidente (375-383).
In questo periodo l’impero fu colpito da un consistente attacco dei popoli germanici, spinti a penetrare nei territori romani dalla pressione esercitata alle loro spalle dagli Unni, popolo nomade dedito alla guerra e alle razzie proveniente dalle steppe siberiane. Le risorse militari ed economiche dello Stato erano però insufficienti a fronteggiare tutti i nemici che premevano ai confini; fu pertanto necessaria l’attuazione di una nuova strategia difensiva. Gli imperatori sottoscrissero accordi diplomatici con le popolazioni che da tempo erano entrate nell’area di influenza dell’impero, permettendo alle tribù germaniche di penetrare pacificamente all’interno dei confini in cambio del sostegno militare contro i nuovi invasori. Valente permise dunque ai Visigoti di stanziarsi nella Mesia, una regione dei Balcani. A causa delle violenze perpetrate ai loro danni dai funzionari imperiali preposti al governo di quei territori, però, i Visigoti si ribellarono e affrontarono l’esercito imperiale ad Adrianopoli nel 378. Lo scontro si risolse con una sconfitta dei Romani e la morte di Valente.

passato&presente

Le regole nella storia: l’ortodossia

Sarebbe sbagliato immaginare un cristianesimo perfettamente codificato come sistema di pensiero e di comportamenti fin dall’inizio. Questo culto ha vissuto una complessa evoluzione, ancora oggi in corso. Così il cristianesimo dell’età di Costantino, cioè quello che venne ufficialmente riconosciuto, era già per alcuni aspetti mutato rispetto a quello praticato in Palestina nei primi anni. Uno degli aspetti più importanti del culto riguardò la codificazione di un insieme di dottrine e di princìpi che potessero definire l’identità della nuova religione. Spesso si trattò di una lunga discussione teologica e politica per imporre a tutti i princìpi riconosciuti dalla Chiesa di Roma e dall’autorità ecclesiastica papale, anche mediante assemblee di tutti i vescovi, i concilii.
Il termine “ortodossia”, che indica appunto tale dottrina “ufficiale”, deriva dal greco orthós, “giusto”, e dóxa, “opinione”, “credenza”, e si contrappone a “eterodossia” (da éteros, “diverso”; spesso il termine eresia verrà utilizzato come sinonimo di eterodossia). In seguito, l’ortodossia assunse un più esplicito valore di opposizione alle eresie e alle tendenze scismatiche che accompagnavano l’evoluzione e la diffusione della nuova religione.
Ancora oggi l’ortodossia indica l’adesione alla “retta credenza” stabilita dalla Chiesa e, per estensione, il conformarsi ai princìpi di una dottrina, anche non religiosa. Il termine, infatti, è stato via via applicato anche alla politica e all’ideologia, dove ortodossia è intesa come sistema di idee e di regole condivise dai seguaci di una fede politica, i quali sono tenuti a osservarle e a diffonderle (ne è un esempio fra i tanti il caso del comunismo sovietico tra il 1917 e il 1991).
In ambito religioso, con il termine “ortodossi” vengono poi indicati anche i fedeli delle Chiese cristiane dell’Europa orientale, tra le quali le più importanti sono la Chiesa russa e quella greca, separatesi dal cattolicesimo romano in seguito allo scisma religioso dell’anno 1054. La Chiesa ortodossa, che riconosce come massima autorità ecclesiastica il patriarca di Costantinopoli, non segue alcune norme liturgiche del cattolicesimo, come il celibato ecclesiastico obbligatorio e l’uso del pane azzimo per l’eucaristia.

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4. Teodosio e la fine dell’unità dell’impero

Graziano nominò come Augusto d’Oriente Teodosio I (379-395), figlio di un funzionario imperiale di origine iberica, il quale aveva velocemente scalato i gradini della gerarchia militare. Temendo l’avanzata dei Visigoti verso Costantinopoli, Teodosio concluse nuovi accordi di pace, concedendo loro di stanziarsi nei Balcani e di creare uno Stato indipendente e autonomo all’interno dell’impero.

L’editto di Tessalonica

Nel contempo, Graziano e Teodosio cercarono di restituire allo Stato compattezza e solidità. Al fine di unificare l’impero dal punto di vista religioso e di evitare l’insorgere di contese e tensioni civili provocate dalle dispute dottrinali, essi scelsero di sostenere la fede cristiana, ampliando i benefici a favore dei suoi seguaci e abolendo la tolleranza religiosa nei confronti degli altri culti. Con l’editto di Tessalonica (380) il cristianesimo fu proclamato religione ufficiale dell’impero e unico culto consentito.
La situazione religiosa dell’impero, in cui pochi secoli prima si era consumata la repressione dei cristiani da parte degli imperatori, era ormai del tutto ribaltata. In questo periodo iniziò infatti una dura persecuzione dei pagani, che furono esclusi da tutti gli incarichi nell’amministrazione pubblica e dalle gerarchie dell’esercito, subendo la confisca dei beni.

Teodosio: l’unione di autorità politica e religiosa

Teodosio intendeva consolidare la legittimità del proprio potere personale attraverso il rafforzamento della Chiesa, la cui unità era ancora minacciata dalle dispute dottrinali e dalle eresie. Perciò, seguendo le orme di Costantino, intervenne personalmente nelle controversie religiose. Nel 381 convocò il concilio di Costantinopoli, che ristabilì alcuni  dogmi dottrinali sulla Trinità (come la  consustanzialità dello Spirito Santo con il Padre e il Figlio) e condannò nuovamente l’arianesimo e altre eresie. Nella stessa occasione furono delimitate le competenze territoriali delle province ecclesiastiche e furono proibite le interferenze nelle altre diocesi. Costantinopoli fu dichiarata “Nuova Roma” e il suo patriarca fu elevato al secondo posto nell’ordine gerarchico della Chiesa, subito dopo il vescovo di Roma, il papa.
Sul piano militare, Teodosio si concentrò nella guerra contro il regno sasanide in Persia, ma mentre egli era impegnato in questa difficile campagna, Magno Massimo sconfisse e uccise Graziano e fu acclamato Augusto dalle legioni stanziate in Britannia. Il suo tentativo ebbe comunque vita breve; nel 387, conclusa la campagna in Oriente, Teodosio I lo sconfisse ad Aquileia, divenendo l’unico imperatore e concentrando nelle proprie mani sia l’autorità politica sia quella religiosa.

Terre, mari, idee - volume 2
Terre, mari, idee - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille