PERCORSO L’ITALIA

1. L’ambiente fisico

L’Italia è una penisola situata nella parte meridionale del continente europeo che si protende nel mar Mediterraneo. Fino a 60 milioni di anni fa il territorio della penisola italiana era quasi completamente coperto dal mare: tra le terre emerse vi erano infatti solo poche aree della Sardegna e della Calabria attuali. Tra i 60 e i 40 milioni di anni fa, per effetto dei movimenti della crosta terrestre, cominciarono a formarsi le Alpi e gli Appennini, le maggiori catene montuose della nostra penisola. Nel corso del tempo il paesaggio dell’Italia ha subìto ulteriori cambiamenti, in seguito all’attività di vulcani e terremoti e al movimento degli antichi ghiacciai, che hanno creato valli e ampie pianure. A causa di queste trasformazioni, l’Italia presenta un paesaggio molto variegato, con una suddivisione pressoché equa tra montagne, colline e pianure.

I rilievi montuosi alpini

I confini naturali settentrionali della penisola italiana sono costituiti dalle Alpi, che si estendono per oltre 1100 km da ovest a est e che si differenziano in tre diverse aree.

  • Le Alpi occidentali presentano le vette mediamente più alte, tra le quali spiccano il monte Bianco (4810 m di altitudine), che è la vetta più alta d’Italia e d’Europa, e il Gran Paradiso (4061 m).
  • Le Alpi centrali sono in media leggermente più basse di quelle occidentali, ma verso ovest presentano comunque vette molto elevate, come il monte Rosa (4637 m) e il Cervino (4478 m).
  • Alle Alpi orientali appartengono rilievi meno elevati, come quelli delle Alpi Carniche e Giulie, e montagne con caratteristiche molto diverse da quelle del resto dell’arco alpino, le Dolomiti. Le Alpi orientali non costituiscono una catena montuosa continua, ma sono composte da massicci che si ergono isolati tra ampie valli.

La parte meridionale dell’arco alpino centrale e orientale è occupata dalla catena delle Prealpi, costituite da montagne meno elevate in quanto composte da rocce più friabili e dunque più esposte all’erosione.

Le Dolomiti, i monti pallidi

Il nome di queste montagne, conosciute anche come Monti Pallidi per la caratteristica colorazione delle rocce, deriva dal nome del naturalista francese Déodat de Dolomieu, vissuto nella seconda metà del XIX secolo, che per primo ne studiò la composizione geologica. Sono montagne prevalentemente isolate in quanto composte da rocce molto friabili e dunque soggette all’erosione. Ciò è causato dalla loro origine calcarea: le Dolomiti sono nate infatti in seguito al sollevamento dei fondali marini e si sono formate in epoche antichissime grazie ai depositi di scheletri di pesci e conchiglie di molluschi, i cui resti fossili sono ancor oggi visibili tra le loro rocce. Nel 2008 le Dolomiti sono state dichiarate Patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’eduazione, la scienza e la cultura).

 >> pagina 449 

I rilievi montuosi appenninici e le montagne di formazione vulcanica

Gli Appennini sono una catena montuosa che percorre quasi tutta la penisola da nord a sud e costituisce il crinale che separa il versante idrografico tirrenico, rivolto a ovest, da quello adriatico, verso est. Si estendono per circa 1200 km, dal colle di Cadibona, sulle coste della Liguria, fino al massiccio calabrese dell’Aspromonte. Oltre lo stretto di Messina, gli Appennini proseguono poi idealmente con le Madonie e i monti Peloritani, i rilievi più elevati della Sicilia. L’unico ghiacciaio perenne si trova sul Gran Sasso d’Italia, in Abruzzo (2912 m), che è anche la più elevata vetta appenninica. Nella stessa regione si erge la Maiella (2793 m), mentre la maggior parte delle restanti cime appenniniche supera raramente i 2000 m.
Sono invece di formazione vulcanica alcune montagne dell’Italia meridionale, come l’Etna (3323 m) in Sicilia, che è il più alto vulcano europeo, e il Vesuvio (1281 m) in Campania.

Le colline

Oltre il 40% del territorio italiano è occupato da colline, che rappresentano quindi il tipo di paesaggio più diffuso nel Paese. Sono rilievi di varia origine: oltre a quelle sorte dai movimenti tettonici, che si trovano prevalentemente a ridosso dei rilievi montuosi, esistono colline moreniche e vulcaniche.
Nell’Italia centrale i rilievi collinari sorgono ai piedi della catena appenninica, separandola dalle aree pianeggianti e dalle coste. In Toscana si estendono le colline Metallifere, di origine vulcanica e ricche di giacimenti minerari, e quelle del Chianti, di origine tettonica. Di origine vulcanica sono anche le colline laziali.
La maggior parte del territorio dell’Italia meridionale e insulare è occupata da colline, gran parte delle quali di origine tettonica, difficili da distinguere in gruppi ben definiti a causa della loro disposizione molto sparsa.

Le Murge e i trulli

I rilievi collinari delle Murge, antico termine che nei dialetti locali significa “pietre”, si estendono tra la Puglia e la Basilicata. Formati da rocce calcaree molto friabili, questi terreni sono caratterizzati, a causa della loro composizione, da fenditure del suolo chiamate “gravine”, che raggiungono notevoli profondità, in alcuni casi anche superiori ai 100 m.
Tipici della zona orientale delle Murge, e in particolare del Comune di Alberobello, nei pressi di Bari, sono i trulli, abitazioni tradizionali di pietra caratterizzate da tetti a forma di cono.

Le pianure

Circa il 25% del territorio italiano è occupato da pianure. Con l’eccezione della pianura padana, hanno un’estensione relativamente limitata e sono situate prevalentemente presso le coste.
Molte pianure italiane sono di origine alluvionale, si sono cioè formate dall’accumulo dei materiali trasportati dai fiumi, e infatti si trovano in corrispondenza delle valli dei principali bacini fluviali.
L’Italia settentrionale è in gran parte occupata dalla pianura padana. Il suo nome deriva dall’antico nome del fiume che vi scorre al centro e che ha contribuito alla sua formazione, il Po, chiamato Padus in latino. Anticamente, dove oggi si trova la pianura c’era un golfo del mar Adriatico, che nel corso di migliaia di anni è stato progressivamente interrato dall’accumulo di detriti trasportati a valle dal Po e dai suoi affluenti. La pianura padana è divisa in due parti: l’alta pianura, in prossimità dei rilievi, è formata da ghiaia e ciottoli – trasportati a valle dai fiumi che scendono dalle montagne circostanti – la cui presenza rende il terreno sul quale si sono depositati molto permeabile all’acqua; la bassa pianura è caratterizzata invece da un terreno argilloso e impermeabile, che determina la presenza di acquitrini e di pozze d’acqua, i fontanili e le risorgive, sfruttate per le coltivazioni agricole.
Altre aree pianeggianti dell’Italia settentrionale sono la pianura Veneta, creata dai fiumi che scendono dalle Alpi orientali, e il Polesine, l’area intorno alla foce del Po, che era originariamente occupata da terreni paludosi, resi poi per gran parte coltivabili grazie all’opera di bonifica effettuata dall’uomo nel corso dei secoli. Nel versante tirrenico dell’Italia centrale e meridionale sono presenti altre pianure di natura alluvionale, tra cui la Maremma in Toscana e la pianura del Sele in Campania. Nel Lazio si estende invece l’agro Romano, creato in seguito a un’imponente opera di bonifica dei terreni paludosi avvenuta nei primi decenni del Novecento, mentre più a sud incontriamo la pianura Campana, che ha un’origine vulcanica e alluvionale insieme, essendo stata formata nel corso dei millenni dal deposito di ceneri eruttate dal Vesuvio e da quello di un successivo strato di detriti fluviali.
Nel versante adriatico dell’Italia meridionale si trova la seconda pianura italiana per estensione, il tavoliere delle Puglie, creato dal sollevamento e dal successivo prosciugamento di un ampio fondale marino. Sul suo terreno si sono poi depositati i detriti dei numerosi fiumi che l’attraversano, i quali hanno reso molto fertili queste zone.
Lungo il versante ionico dell’Italia meridionale si trovano la piana di Metaponto, in Basilicata, la piana di Sibari e il Marchesato in Calabria: le prime sono di natura alluvionale, mentre l’ultima è il risultato del sollevamento di antichissimi fondali marini.
Infine, nell’Italia insulare le pianure sono molto ridotte: in Sicilia la più estesa è la piana di Catania, di origine vulcanica, in quanto i suoi terreni sono prevalentemente composti dai depositi di cenere e di lava dell’Etna, materiali che rendono queste aree molto fertili e adatte all’agricoltura; la più vasta pianura della Sardegna è invece il Campidano, di origine alluvionale.

 >> pagina 450 

I fiumi

La penisola Italiana non è attraversata da grandi corsi d’acqua, a causa dell’estensione relativamente limitata delle sue pianure e della vicinanza dei rilievi montuosi alle coste.
I fiumi hanno dunque in prevalenza un corso piuttosto breve, ma sono molto numerosi, soprattutto nell’Italia settentrionale, dove i ghiacciai perenni delle Alpi e il clima ricco di piogge alimentano le loro acque.
I fiumi alpini nascono da sorgenti situate sulle pendici delle Alpi e attraversano la pianura padana e quella veneta. Sono mediamente più lunghi dei fiumi che scorrono in altre regioni della penisola, oltre a possedere una portata d’acqua maggiore e costante nell’arco delle stagioni. Il più lungo è il Po (652 km), navigabile in alcuni tratti. Nasce dal Monviso, in Piemonte, e sfocia nel mar Adriatico, segnando, lungo il suo percorso, il confine geografico tra le regioni della Lombardia e del Veneto con l'Emilia-Romagna.
I fiumi appenninici sono più brevi e con un corso più irregolare rispetto a quelli che nascono sulle Alpi. Inoltre, poiché non sorgono da montagne ricche di ghiacciai, la loro portata d’acqua dipende dalle precipitazioni atmosferiche e dunque non è costante. Costituiscono un’eccezione all’usuale brevità dei corsi d’acqua appenninici l’Arno e il Tevere, che sono piuttosto lunghi. L’Arno nasce sul monte Falterona, in Toscana, e sfocia nel mar Tirreno presso Pisa, dove, con i suoi detriti, causa un progressivo interramento, responsabile del notevole avanzamento della linea costiera. Il Tevere è invece il terzo fiume d’Italia per lunghezza; nasce alle pendici del monte Fumaiolo, sui rilievi appenninici dell’Emilia-Romagna, e sfocia nel mar Tirreno dopo aver attraversato Roma.

Nel cuore della GEOGRAFIA

L’acqua che riemerge dal suolo: fontanili e risorgive

Le caratteristiche peculiari del terreno nelle due aree della pianura padana, l’alta e la bassa pianura, creano un fenomeno di riemersione delle acque sotterranee, chiamato risorgiva quando l’acqua emerge naturalmente creando pozze, o fontanile se la sua fuoriuscita è opera dell’uomo. La ghiaia e i ciottoli presenti nello strato superficiale del terreno dell’alta pianura permettono all’acqua piovana di scendere in profondità nel sottosuolo, finché questa incontra uno strato di argilla impermeabile, sul quale scorre fino a raggiungere la bassa pianura. Qui lo strato di argilla si trova invece quasi in superficie, così l’acqua si accumula poco sotto il livello del suolo, per poi fuoriuscire naturalmente o grazie a scavi artificiali. L’acqua dei fontanili e delle risorgive è importante per l’agricoltura, in quanto viene sfruttata per irrigare i campi mediante opportune opere di canalizzazione.

 >> pagina 451 

I laghi

L’Italia è costellata da un migliaio di laghi, che si differenziano in base alla loro formazione. I laghi di origine glaciale occupano la conca scavata anticamente dall’azione di ghiacciai poi ritiratisi; i laghi di origine vulcanica occupano crateri o caldere di vulcani ormai spenti; i laghi di origine tettonica occupano la depressione causata da uno sprofondamento naturale del terreno.
La maggior parte dei laghi italiani si trova nell’Italia settentrionale, soprattutto lungo l’arco alpino, circostanza dovuta alla presenza di ghiacciai e all’abbondanza di precipitazioni. Le aree di alta montagna delle Alpi sono costellate da piccoli laghi di origine glaciale, mentre ai piedi delle Prealpi si estendono i bacini di grandi laghi che hanno avuto origine dai movimenti di antichi ghiacciai. I principali sono: il lago Maggiore, o Verbano, posto tra la Svizzera, il Piemonte e la Lombardia, il cui immissario principale è il Ticino; il lago di Como, o Lario, interamente in territorio lombardo, il cui maggiore immissario è il fiume Adda; il lago di Garda, o Benaco, condiviso tra Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Con circa 370 km2 di estensione, il lago di Garda è il più grande d’Italia.
I laghi dell’Italia centrale e meridionale sono inferiori per numero e dimensione media rispetto a quelli dell’arco alpino. Il più grande (il quarto d’Italia dopo i tre grandi laghi prealpini, con un’estensione di circa 128 km2) è il lago Trasimeno, in Umbria. Nel Lazio si trovano vari laghi di origine vulcanica, riconoscibili per la caratteristica forma circolare degli antichi crateri da cui derivano; i maggiori sono il lago di Bolsena, di Bracciano, di Vico, di Nemi e il lago Albano. Nella Puglia settentrionale, a nord del promontorio del Gargano, si estendono i laghi costieri di Lesina e Varano, dall’aspetto simile a lagune e con fondali molto bassi.

I mari, le coste e le isole

La penisola italiana si protende, con uno sviluppo costiero di oltre 7500 km, nel mar Mediterraneo, il quale assume nomi diversi a seconda delle varie aree bagnate dalle sue acque.
A nord-ovest si trova il mar Ligure, compreso tra la Liguria, la Corsica e la costa settentrionale della Toscana. Ha una profondità massima di circa 2613 m e presenta coste alte e rocciose in Liguria, dove curvano a formare il grande golfo di Genova, e prevalentemente basse e sabbiose in Toscana.
A sud si estende il mar Tirreno, delimitato a nord dalle isole dell’arcipelago Toscano, di cui fa parte l’isola d’Elba, a ovest dalla grande isola di Sardegna, a est dalle coste occidentali dell’Italia centrale e meridionale, e a sud dalla Sicilia, l’isola più grande d’Italia e dell’intero Mediterraneo. È il più esteso tra i mari italiani e raggiunge profondità superiori ai 3600 m. Le sue coste sono basse e sabbiose nel Lazio e in Toscana e molto variegate in Campania.
Lo stretto di Messina separa il Tirreno a nord-ovest dal mar Ionio a sud-est. Quest’ultimo bagna le coste orientali della Sicilia, della Calabria e della Basilicata, oltre a quelle occidentali della Puglia, giungendo fino al canale d’Otranto; a est si estende fino alla Grecia, dove i fondali superano i 5000 m di profondità.
Il canale d’Otranto separa il mar Ionio a sud dal mar Adriatico a nord. Caratterizzato da fondali bassi, con una profondità massima di circa 1200 m, è racchiuso tra le coste orientali della penisola italiana e quelle occidentali della penisola balcanica.
Le coste adriatiche italiane sono prevalentemente basse e sabbiose, caratterizzate da lunghe spiagge.

 >> pagina 452 

2. Il clima

Il territorio italiano è soggetto a una notevole varietà di climi. Ciò è dovuto alla grande diversità morfologica della penisola italiana. I due elementi principali che influenzano il clima in Italia sono l’arco alpino, che ripara parzialmente la penisola dalle correnti fredde e dalle perturbazioni provenienti dall’Europa centrosettentrionale, e il mar Mediterraneo, le cui acque esercitano un’azione mitigatrice sulle zone costiere, proteggendole dagli estremi di caldo e di freddo. Le principali regioni climatiche corrispondono per lo più ai tre ambienti della montagna, della pianura e della costa, con un clima alpino sui monti, un clima continentale nella pianura padana e un clima mediterraneo lungo i litorali. Tuttavia, anche in queste zone esistono differenze, dovute alla morfologia del territorio e alle particolarità atmosferiche delle varie aree, per cui si è soliti considerare sei aree climatiche.

Le aree climatiche italiane

La parte dell’Italia settentrionale prossima ai confini è occupata dall’area alpina, dominata dalla presenza delle montagne. Il clima diviene più rigido man mano che si sale sui rilievi, con inverni lunghi e freddi ed estati brevi e fresche. Le precipitazioni sono abbondanti tutto l’anno, con frequenti nevicate in inverno.
A sud delle Alpi si estende l’area padana, caratterizzata da forti escursioni termiche stagionali tipiche dei climi continentali: gli inverni sono freddi e umidi, con fitte nebbie, mentre le estati calde e afose. Le precipitazioni sono abbondanti in tutte le stagioni.
L’area appenninica presenta un clima simile a quello dell’area alpina ma più mite, grazie anche alla vicinanza del mare e alla latitudine più meridionale.
L’area adriatica è costituita dalla fascia di costa affacciata sull’omonimo mare, dal Friuli alla Puglia. Ha un clima mediterraneo, però con inverni più rigidi della norma a causa dei venti freddi (come la bora) che soffiano da nord-est.
L’area ligure-tirrenica si estende lungo la costa occidentale della penisola, dalla Liguria alla Campania. Ha un clima di tipo mediterraneo, piuttosto mite per tutto l’anno, ma con precipitazioni leggermente più abbondanti, concentrate in autunno e inverno.
L’area mediterranea occupa la parte meridionale dell’Italia e le isole di Sardegna e Sicilia. Ha temperature piuttosto miti, con inverni poco freddi ed estati calde. Le precipitazioni sono molto scarse, specie d’estate. La vegetazione tipica è quella della macchia mediterranea, composta da piante che tollerano la scarsità d’acqua.

 >> pagina 453 

• SOTTO LA LENTE • AMBIENTE

La tutela dell’ambiente e i parchi naturali in Italia

L’Italia è il Paese europeo in cui vive il maggior numero di specie animali, oltre 56 000. Molte di esse, insieme all’altrettanto ricco patrimonio di specie vegetali, risiedono nelle aree protette, porzioni del territorio italiano dove l’ambiente naturale è soggetto a particolari forme di tutela da parte dello Stato e degli enti locali. Questa tutela si traduce principalmente in norme che proibiscono, o regolano in maniera molto rigida, tutta una serie di attività all’interno del loro territorio, per esempio la caccia, la pesca, l’agricoltura o le attività minerarie. Nelle aree protette sono inoltre in vigore rigide normative edilizie, che regolano il numero e la tipologia degli edifici e delle strutture che possono essere costruite sul territorio tutelato. Attualmente l’Elenco ufficiale delle aree protette (Euap) italiane conta 871 aree naturali sottoposte a tutela ambientale, la cui superficie totale corrisponde a circa l’11% dell’intero territorio nazionale. Le aree protette sono suddivise in varie tipologie a seconda della loro superficie, della loro modalità di gestione e del tipo di tutela di cui gode il loro territorio.

  • I Parchi nazionali italiani sono 24 e coprono una superficie complessiva di oltre 15 000 km2.
    Il primo Parco nazionale italiano fu il Parco nazionale del Gran Paradiso in Valle d’Aosta, istituito nel 1922, mentre il Parco nazionale più grande, che attualmente è anche l’area protetta più estesa d’Italia, è il Parco nazionale del Pollino, tra Basilicata e Calabria, con una superficie di oltre 192 km2. La sorveglianza dei Parchi nazionali è affidata al Corpo forestale dello Stato, specializzato nella tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali.
  • I Parchi regionali italiani sono 134 e occupano un totale di circa 13 000 km2; si tratta di aree terrestri, fluviali, lacustri ed eventualmente anche di tratti di mare prospicienti la costa, di notevole valore ambientale e naturalistico, che costituiscono un sistema omogeneo nell’ambito di una o più regioni adiacenti, e che per questo motivo sono stati attribuiti alle competenze regionali in materia di aree protette: ne sono esempi il Parco naturale della valle del Ticino (tra Piemonte e Lombardia) e il Parco regionale del delta del Po (tra Veneto ed Emilia-Romagna).
  • Le Riserve naturali statali e regionali italiane sono rispettivamente 147 e 365 e sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacustri o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della fauna e della flora, o che presentano uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche. Ne fanno parte, per esempio, la Riserva naturale del monte Abetone, in Toscana, e quella del lago di Lesina, in Puglia.
  • Le Aree marine protette italiane sono 27 e coprono una superficie di mare superiore ai 25 000 km2. La più importante è il Santuario dei cetacei, costituito in cooperazione con la Francia e il Principato di Monaco, che in Italia occupa ampi tratti marittimi della Liguria, della Sardegna e della Toscana, in cui vivono esemplari appartenenti a 12 specie di mammiferi marini.
  • Le altre aree protette, nazionali e regionali sono zone che non rientrano nelle precedenti classificazioni, e in Italia sono più di 170.

3. La popolazione

Attualmente la popolazione italiana conta oltre 61 milioni di persone. Si tratta di un numero ragguardevole per una superficie relativamente limitata come quella italiana, infatti la densità media della popolazione è pari a circa 195 ab/km2, quasi il triplo della densità abitativa media dell’Europa, che è di circa 68 ab/km2. La distribuzione della popolazione italiana non è uniforme, quindi alcune aree sono più popolate di altre. Sono densamente abitate le pianure, tra cui la pianura padana con l’omonima conurbazione ( p. 458), le coste, come la fascia costiera della Liguria, e le aree che circondano i principali capoluoghi di regione (come Roma, Firenze, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari). Al contrario, nelle zone occupate dai rilievi montuosi, e alle quote più elevate delle dorsali delle Alpi e degli Appennini la densità di popolazione diminuisce sensibilmente. Per fare un confronto, la Campania, con le sue fertili pianure e il notevole sviluppo delle coste, è la regione più densamente abitata del Paese, con ben 425 ab/km2, mentre all’ultimo posto c’è la Valle d’Aosta, il cui territorio è prevalentemente montuoso, con appena 39 ab/km2.

Le dinamiche demografiche: una popolazione che invecchia

Il numero e la composizione della popolazione italiana hanno subìto notevoli cambiamenti negli ultimi due secoli. Durante il XIX secolo, in concomitanza con il processo di industrializzazione che in quel periodo iniziò ad affermarsi anche in Italia, la popolazione del Paese cominciò ad aumentare con tassi di crescita sempre maggiori. Come per il resto del continente, tale aumento si verificò grazie al miglioramento delle condizioni di vita e ai progressi nel campo della medicina.
Dopo che il tasso di crescita della popolazione italiana ebbe toccato il suo massimo verso la metà del XX secolo, negli anni Sessanta dello stesso secolo iniziò una tendenza opposta, con un vistoso calo dell’incremento della popolazione dovuto alla diminuzione del tasso di natalità, che esprime il rapporto tra il numero di nascite e il numero di abitanti di un territorio e si indica solitamente con il numero di bambini nati in un anno ogni 1000 membri della popolazione. Questo fenomeno fu determinato dalla diffusione nella società di nuovi modelli di comportamento, in base ai quali le famiglie tradizionali, con prole numerosa, divennero sempre meno frequenti, per lasciare spazio, mediamente, a nuclei familiari con uno o due figli al massimo. Tale calo delle nascite è stato tuttavia accompagnato dalla contemporanea diminuzione del tasso di mortalità – analogo al tasso di natalità, si indica però con il numero di morti ogni 1000 abitanti, sempre nel periodo di un anno – e dall’aumento della speranza di vita media, cioè il numero di anni che una persona, alla nascita, può aspettarsi di vivere. La combinazione di questi tre fenomeni ha provocato un rapido invecchiamento della popolazione italiana, che è composta sempre di più da persone anziane e sempre meno da giovani ( grafico). In Italia le principali indagini sulla demografia e le caratteristiche della popolazione italiana sono affidate all’Istituto nazionale di statistica ( Sotto la lente). Secondo i rilevamenti di questo istituto, nel 2013 la speranza di vita media in Italia è stata di circa 82 anni (79 per gli uomini e 85 per le donne), uno dei dati più alti del mondo, che attesta l’elevata qualità della vita media nel nostro Paese. Nonostante questo dato positivo, il progressivo invecchiamento della popolazione è destinato a provocare problemi, sia economici (con una minoranza di giovani attivi nel mondo del lavoro costretti a mantenere una maggioranza di anziani ormai inabili per le attività produttive), sia sociali (con la previsione di una costante diminuzione della popolazione italiana complessiva). Nel 2013 il tasso di natalità della popolazione italiana è stato di 8,94, uno dei più bassi del mondo, mentre quello di mortalità è stato pari a 10. Questo significa che si tratta di un anno in cui sono morte più persone di quante sono nate, un fenomeno detto saldo naturale negativo. Di conseguenza la popolazione italiana sarebbe dovuta diminuire, ma in realtà è in continuo aumento grazie all’arrivo di immigrati provenienti da altri Paesi.

 >> pagina 454 

• SOTTO LA LENTE • STATISTICA

Il censimento e l’Istat

Per misurare le dinamiche demografiche di una popolazione gli studiosi utilizzano i dati rilevati attraverso i censimenti, indagini condotte periodicamente sulla composizione e sulle caratteristiche della popolazione di un Paese.
In Italia questo compito è affidato all’Istituto nazionale di statistica (Istat), che ogni dieci anni provvede a consegnare a tutte le famiglie italiane dei questionari, attraverso i quali vengono richieste informazioni personali su tutti i componenti dei vari nuclei familiari. Una volta elaborati a livello centrale, questi dati forniscono un quadro complessivo della popolazione italiana: confrontandolo con quelli dei decenni precedenti, si possono elaborare statistiche demografiche e previsioni sull’andamento della popolazione.

 >> pagina 455 

Una lingua, tante tradizioni

Se la popolazione italiana è costituita da tutti coloro che risiedono in Italia, quello di “popolo italiano” è un concetto più sfuggente, che coincide in parte con quelli di “etnia” e “Nazione”. Si tratta dell’insieme di tutte le persone che condividono certi tratti culturali, in particolare la stessa lingua madre. La lingua è dunque uno dei fattori fondamentali per l’identità di un popolo, quindi si possono definire italiani tutti coloro che hanno come lingua madre l’italiano. Non tutti coloro che risiedono in Italia però sono italiani, così come non tutti gli italiani risiedono in Italia. Gli abitanti del Canton Ticino, in Svizzera, possono essere definiti di nazionalità italiana, insieme alle piccole minoranze italiane presenti in Slovenia e in Croazia, e soprattutto ai milioni di italiani, con i loro discendenti, che in passato sono migrati in altri Paesi e continenti.
L’italiano, come abbiamo visto, è una lingua neolatina, così chiamata perché, insieme alle lingue di altri Paesi dell’Europa centromeridionale (come il francese, lo spagnolo, il portoghese, ma anche il rumeno), deriva dal latino. Dopo le invasioni germaniche, agli inizi del Medioevo, il latino continuò a essere utilizzato negli ambienti ecclesiastici e dalle persone dotte, ma nelle relazioni quotidiane subì notevoli trasformazioni, dando vita alle lingue volgari, cioè “popolari” (dal latino vulgus, “popolo”): pur derivando da un’identica radice comune, esse si differenziarono notevolmente tra una zona e l’altra della penisola, creando innumerevoli varianti regionali. Furono queste le origini delle lingue dialettali che ancora oggi sono parlate nelle varie regioni, accanto alla lingua italiana.
Oggi l’italiano, oltre che in Italia, è parlato anche nella Repubblica di San Marino, il piccolo Stato indipendente che si trova tra l’Emilia-Romagna e le Marche, e nella Città del Vaticano presso Roma, che è il più piccolo Stato del mondo ed è sede del papato della Chiesa cattolica.

Le minoranze linguistiche

Nonostante l’italiano sia l’idioma più usato nel Paese, nonché la lingua ufficiale dello Stato italiano, esiste in Italia un nutrito numero di individui la cui lingua madre non è l’italiano, oppure che sono bilingui, ossia parlano indifferentemente l’italiano e un’altra lingua ( carta). A parte gli stranieri residenti in Italia, che parlano le lingue diffuse nel loro Paese di nascita, in diverse regioni esistono le cosiddette “minoranze linguistiche”, comunità che parlano lingue diverse dall’italiano ma che risiedono in Italia da decenni o addirittura da secoli; la loro presenza testimonia le complesse vicende legate alla formazione dello Stato italiano e ai movimenti di popoli e comunità in Europa durante il Medioevo e l’età moderna.
Le minoranze linguistiche più numerose presenti in Italia sono la comunità francofona (che parla francese) in Valle d’Aosta e quella germanofona (che parla tedesco) nella Provincia Autonoma di Bolzano. Queste due minoranze sono ufficialmente riconosciute e tutelate dalla Costituzione italiana, che ha istituito nelle due aree il bilinguismo, cioè l’uso da parte della pubblica amministrazione di due lingue, l’italiano e la lingua parlata localmente. Nel Paese, però, esistono numerose altre minoranze linguistiche, con un numero inferiore di appartenenti. Nelle valli occidentali del Piemonte e della Valle d’Aosta, per esempio, ci sono comunità che parlano il provenzale-occitano e il franco-provenzale, lingue romanze simili al francese; in Sardegna, nella zona di Alghero, è diffuso il catalano, la lingua parlata in Catalogna, regione della Spagna; in diverse regioni dell’Italia meridionale vivono fin dal XV secolo comunità albanesi, che parlano una forma di albanese antico chiamato arbëresh; nel Salento (in Puglia) e in Calabria si trovano comunità di lingua greca, mentre in alcune valli del Trentino-Alto Adige e del Veneto si parla il ladino, una lingua romanza diffusa anche in altre regioni dell’arco alpino.

 >> pagina 456 

Le religioni

La maggioranza degli italiani (oltre il 70%) dichiara di aderire al cristianesimo cattolico, mentre le altre religioni hanno un numero di praticanti nettamente inferiore.
Sono diffuse in Italia diverse confessioni che fanno capo al cristianesimo protestante: la più notevole dal punto di vista storico è quella dei valdesi, movimento religioso nato nel Medioevo e ora diffuso soprattutto nel Piemonte occidentale. Altra religione cristiana, nata negli Stati Uniti nel XIX secolo e praticata da una consistente minoranza in Italia, è quella dei testimoni di Geova. In Italia sono inoltre presenti da molti secoli comunità che praticano l’ebraismo. Negli ultimi anni, infine, nel nostro Paese è considerevolmente aumentato il numero dei musulmani, cioè coloro che praticano l’islam, soprattutto per l’arrivo di immigrati provenienti da Paesi a maggioranza musulmana, come gli Stati dell’Africa del Nord e del Medio Oriente.

Emigrazione…

I fenomeni migratori hanno interessato in passato anche la popolazione italiana: tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo molti italiani emigrarono in America e in Australia in cerca di lavoro. Il flusso migratorio proseguì anche dopo la Seconda guerra mondiale, ma in questo caso i Paesi di destinazione dei migranti italiani erano quelli dell’Europa centrosettentrionale, la cui espansione industriale offriva opportunità di lavoro a una generazione stremata dai disastri del conflitto. La presenza di nutrite comunità italiane in molti Paesi europei e in altri continenti è una conseguenza di queste importanti ondate migratorie.
Negli anni Sessanta del XX secolo si verificò anche una migrazione interna all’Italia, con lo spostamento di milioni di persone dalle regioni meridionali, provenienti soprattutto dalle zone rurali, verso il Nord, per lavorare nelle industrie della pianura padana: questo fenomeno contribuì all’affermazione del cosiddetto “boom economico” di quel periodo, che consentì all’Italia di entrare a far parte delle potenze industriali mondiali.

… e immigrazione

Da terra di emigrazione, l’Italia è diventata, negli ultimi anni, meta di immigrazione, con centinaia di migliaia di stranieri che giungono nel Paese ogni anno, provenienti da altri Stati europei (soprattutto quelli dell’Europa orientale) e da altri continenti, in particolare dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina. Fino a pochi anni fa, il numero di stranieri residenti in Italia era molto inferiore rispetto al dato analogo di altri grandi Paesi dell’Europa occidentale. Oggi non è più così: nel 2013 gli stranieri in Italia erano oltre 4 milioni, pari quasi all’8% della popolazione totale, una cifra più che triplicata in otto anni. Nel 2016 i numeri sono aumentati e la presenza di stranieri è di circa 5 milioni. La distribuzione della popolazione straniera è concentrata soprattutto nell’area centro-settentrionale, dove le attività economiche sono maggiormente diversificate.
1 700 000 stranieri sono residenti nel Nord-Ovest della penisola, oltre 1 milione in Lombardia, attivissimo polo economico sia industriale sia commerciale, 1 200 000 nel Nord-Est, il resto distribuito nelle altre aree della penisola. La maggiore comunità straniera in Italia è quella rumena, passata da 250 000 persone nel 2005 a 1 100 000 nel 2015. Questo incremento si spiega con l’ingresso della Romania nell’Unione Europea, avvenuto nel 2007, che ha permesso ai cittadini rumeni di muoversi e stabilirsi liberamente in tutti gli Stati membri. La seconda comunità più numerosa è quella albanese (500 000 persone), mentre al terzo posto ci sono i marocchini (450 000 nel 2012), seguiti dai cinesi e dagli ucraini (circa 200 000 ciascuna). Questi numeri non tengono conto del fenomeno dell’immigrazione irregolare, cioè degli stranieri che risiedono in Italia senza permesso. La presenza di comunità di stranieri residenti in Italia ormai da molti anni ha inoltre portato in evidenza il fenomeno degli immigrati di seconda generazione, cioè coloro che sono nati in Italia ma, essendo i loro genitori stranieri, non hanno automaticamente la cittadinanza italiana. In Italia, e nella maggior parte degli altri Paesi europei, vige infatti un’interpretazione della legge sulla cittadinanza chiamata ius sanguinis (in latino “diritto di sangue”), per la quale un neonato acquisisce la cittadinanza dei genitori indipendentemente dal luogo di nascita. Per questo oggi sono quasi un milione i ragazzi sotto i 18 anni che, pur essendo nati in Italia, non sono ufficialmente cittadini italiani. Il loro numero, poi, è destinato ad aumentare, considerando che nel 2013 il 15% di tutti i bambini nati in Italia aveva genitori stranieri. Negli ultimi anni è stata avanzata da più parti la proposta di modificare la legge sulla cittadinanza adottando l’interpretazione denominata ius solis (“diritto del suolo”), in base alla quale tutti i nati sul suolo italiano diventerebbero automaticamente cittadini italiani.
La presenza e il continuo arrivo di immigrati in Italia costituisce una risorsa per il Paese: molti di loro svolgono lavori necessari ma spesso considerati troppo faticosi e “umili” dagli italiani, per esempio nel campo dell’agricoltura o dell’assistenza agli anziani. L’arrivo di immigrati aiuta inoltre a compensare il calo della natalità e l’invecchiamento della popolazione, dato che si tratta di persone mediamente più giovani e con più figli rispetto alla media della popolazione.
Quella italiana si avvia dunque a diventare una società pienamente multiculturale, in cui convivono persone di origini diverse, ma questo processo genera anche reazioni negative, che in alcuni casi degenerano in episodi di intolleranza e razzismo nei confronti di persone appartenenti a etnie, razze o religioni minoritarie.

 >> pagina 457 

4. Le città

La forma di stanziamento prevalente in Italia è quella della città, con la maggioranza della popolazione che risiede in centri urbani medi e grandi, e solo una percentuale minoritaria che vive in insediamenti rurali o in piccoli abitati. Il tasso di urbanizzazione in Italia è pari al 68%, cioè quasi 7 italiani su 10 abitano in città, un dato in linea con la media europea. Esistono però importanti differenze tra il tessuto urbano italiano e quello degli Stati vicini, dovute soprattutto alla storia dei vari territori nazionali, che ha determinato diverse modalità di insediamento.

La caratteristiche dell’urbanizzazione italiana

Il territorio italiano possiede una storia urbana assai antica. La quantità degli insediamenti presenti in epoca antica, unita alla densità della popolazione, che in passato era già molto alta rispetto a quella degli altri Paesi europei, ha portato il territorio italiano ad avere moltissime città piccole (fino a 20 000 abitanti) e medie (con un numero di abitanti compreso tra i 20 000 e i 200 000). È questa la caratteristica principale che distingue l’urbanizzazione italiana da quella del resto d’Europa, dove in genere le città sono meno numerose ma più grandi. Nelle aree metropolitane delle città più grandi, e lungo le più importanti vie di comunicazione, sono sorti vasti insediamenti e quartieri residenziali che non hanno un’identità ben definita (ossia che non possiedono la struttura e l’offerta di servizi tipiche di un centro urbano “tradizionale”); allo stesso tempo l’espansione urbana che ha caratterizzato molti piccoli centri vicini tra loro ha portato i rispettivi confini a toccarsi e a fondersi l’uno nell’altro, fino a formare un unico paesaggio urbano, a dispetto dei confini amministrativi tra i vari comuni del territorio.

 >> pagina 458 

Poche metropoli ma tante città

In Italia sono presenti poche metropoli vere e proprie: Roma e Milano, le sole città italiane con più di un milione di abitanti, e Napoli e Torino, che superano i 90  000 abitanti. Anche le aree metropolitane dei più grandi centri italiani non si avvicinano ai record europei (che superano i 10 milioni di abitanti attorno a città come Mosca, Parigi o Londra): quelle di Roma, Milano e Napoli arrivano ai 3-4 milioni di abitanti, mentre quella di Torino a poco più di 2 milioni.
Solo la conurbazione padana – cioè l’esteso sistema di città grandi, medie e piccole che da Milano si allunga a ovest fino a Torino, a est fino a Padova e Venezia e a sud-est fino a Bologna –, che gli studiosi considerano come un unico grande tessuto urbano, costituisce un fenomeno di “proporzioni europee”.
Oltre ai grandi centri e alla conurbazione, in Italia sorgono città che, sebbene di dimensioni inferiori alla media europea, hanno comunque una notevole importanza come centri economici e culturali e fungono da punto di riferimento per l’ampio territorio circostante, spesso anche perché si tratta di città capoluogo di regione.
Oltre ad avere quasi tutte origini molto antiche, le città italiane conservano molto spesso al loro interno un ricco patrimonio architettonico e artistico. Sono le tante città d’arte, che hanno avuto in passato un ruolo di primo piano nella storia europea e mondiale e che ora costituiscono alcune delle principali destinazioni turistiche italiane, attirando ogni anno milioni di visitatori da ogni parte del mondo (nel 2016 le città italiane più visitate dai turisti stranieri sono state, nell’ordine, Roma, Milano e Venezia).

Cascine, poderi e masserie

Se oltre due terzi degli italiani vive in città, poco meno di un terzo risiede ancora in insediamenti di altro tipo, accentrati o sparsi, concentrati soprattutto nelle aree agricole.
Nelle campagne il tipo di insediamento ancora oggi prevalente dipende anche dalle diverse modalità con cui nel passato era organizzata l’agricoltura. Nella pianura padana, per esempio, dove la proprietà terriera era gestita in modo da ottenere la massima resa, era richiesta una presenza costante e diffusa di abbondante manodopera. Ebbe perciò grande diffusione la struttura della cascina, una grossa fattoria disposta attorno a una corte, dove vivevano numerose famiglie contadine alle dipendenze del proprietario terriero o dell’imprenditore agrario che la gestiva; altra manodopera risiedeva in paesi, borghi e villaggi che punteggiavano la campagna. Nell’Italia centrale, invece, appezzamenti poco estesi, chiamati poderi, erano coltivati da singole famiglie contadine che abitavano in fattorie più piccole.
Nell’Italia meridionale, infine, la diffusione del latifondo, cioè di proprietà molto vaste coltivate soprattutto a cereali, con scarsi investimenti e bassa resa, richiedeva una presenza ridotta della manodopera, se non in momenti particolari del lavoro agricolo (come il raccolto); si avevano cosi fattorie di medie dimensioni, dette masserie, in cui abitavano le poche famiglie contadine alle dirette dipendenze dei proprietari, e radi ma popolosi borghi rurali, dove risiedevano i lavoratori stagionali.

 >> pagina 459 

5. L’economia della penisola italiana

L’Italia possiede oggi un’economia avanzata e diversificata, che la pone ai primi posti nelle classifiche mondiali relative alla ricchezza assoluta e al benessere dei suoi abitanti. Attualmente l’Italia è la decima potenza economica mondiale (in termini di Pil assoluto) e fa parte del G7, il gruppo dei sette Paesi più industrializzati del mondo.
Nonostante questi primati, l’Italia deve ancora affrontare problematiche che ostacolano la piena espressione delle sue potenzialità economiche e produttive. Un problema di vecchia data, che affligge l’economia e la società italiana, è il divario, in termini di sviluppo economico e benessere della popolazione, tra il Nord e il Sud del Paese. Tale divario è evidente se si esamina il Pil pro capite dell’Italia, cioè la ricchezza totale prodotta dal Paese in un anno divisa per il numero dei suoi abitanti, un dato che più di altri serve a indicare il livello medio di ricchezza e benessere di una popolazione. Nel 2012 il Pil pro capite dell’Italia è stato di circa 33 000 dollari, ma se si scompone tale dato in base alle regioni si scopre che quelle del Nord hanno un Pil pro capite di oltre 40 000 dollari, pari a quello della Germania, mentre quello delle regioni del Sud è di appena 24 000 dollari, inferiore a quello di un Paese in grave difficoltà economica come la Grecia. Un altro problema storico è il pesante debito pubblico contratto dallo Stato, che impedisce alla pubblica amministrazione di trovare le risorse per finanziare le necessarie riforme economiche. La crisi economica mondiale iniziata nel 2008, infine, non ha fatto che peggiorare la situazione, portando a un calo del Pil, cioè a una recessione economica, e a un aumento della disoccupazione.

Il settore primario: agricoltura e allevamento

L’Italia è stata per secoli un Paese rurale, che basava sull’agricoltura gran parte della propria ricchezza. Attualmente, invece, soltanto il 4% della popolazione italiana è impiegato nel settore primario, che contribuisce solo per il 2% alla creazione della ricchezza nazionale.
Le attività agricole presentano una notevole disomogeneità tra le diverse regioni, sia dal punto di vista della produttività, sia da quello dello sfruttamento dei suoli ( carta, p. 460). In generale, l’agricoltura delle regioni settentrionali ricorre maggiormente alla meccanizzazione ed è più aperta alle innovazioni tecnologiche in campo agricolo, quindi è più produttiva, mentre nel Sud sopravvivono colture lavorate con metodi tradizionali. Le difficoltà produttive sono in parte motivate anche dalla morfologia del territorio italiano, che per più di due terzi è montuoso e dunque non adatto alle coltivazioni. Nella pianura padana e nelle altre pianure più estese, come il tavoliere delle Puglie e le pianure campane, si coltivano soprattutto cereali, ortaggi e riso (quest’ultimo soprattutto nelle regioni settentrionali, dove quello delle risaie è un paesaggio agricolo molto comune in diverse zone).
Nelle pianure costiere, meno estese, soprattutto al Sud ma anche in Liguria, si coltivano ulivi, piante da frutto (come gli agrumi nelle regioni meridionali) e ortaggi. Le zone collinari sono invece dominate dai vigneti, che sono coltivati in quasi tutte le regioni italiane e alimentano una fiorente produzione vinicola: l’Italia è infatti il primo produttore mondiale di vino. Un’altra coltivazione molto diffusa nelle zone collinari, suprattutto al Centro-Sud, è quella dell’ulivo, da cui si ricava l’olio. La pianura padana e le pianure minori del Centro-Sud sono anche le zone dove è maggiormente diffuso l’allevamento di bovini e di suini, che alimentano una fiorente industria casearia e della trasformazione alimentare, i cui prodotti, soprattutto salumi e formaggi, sono conosciuti in tutto il mondo per la loro qualità.

 >> pagina 460 

Le attività estrattive e la pesca

Le restanti attività del settore primario in Italia hanno uno sviluppo molto limitato. Il sottosuolo italiano non possiede grandi giacimenti minerari, e quasi tutte le miniere un tempo presenti nel Paese hanno chiuso da decenni poiché la loro attività non era più redditizia. L’unica grande miniera ancora in attività si trova in Sardegna, nel Sulcis, dove si estrae carbone. L’Italia è dunque costretta a importare dall’estero molte materie prime necessarie al funzionamento del suo apparato industriale. Situazione analoga è quella delle risorse energetiche, tanto che la dipendenza energetica è considerata uno dei maggiori freni all’ulteriore sviluppo economico del Paese. Il fabbisogno di energia dell’Italia è soddisfatto in maggioranza dal petrolio, tuttavia i pochi impianti petroliferi nazionali, situati soprattutto in Basilicata e nell’Adriatico, rispondono solo a una minima parte di questa domanda, costringendo il Paese a importare petrolio dall’estero, in particolare da Libia, Iran, Russia e Azerbaigian. L’Italia importa dall’estero anche notevoli quantità di gas naturale, che giunge soprattutto dalla Russia attraverso i gasdotti, lunghissime condutture che attraversano tutta l’Europa centrorientale. Petrolio e gas naturale sono impiegati in grandi percentuali anche per la generazione di energia elettrica, ma è in aumento l’elettricità prodotta mediante le fonti rinnovabili, soprattutto l’energia idroelettrica, quella solare e quella eolica. Nonostante questo, la produzione nazionale di energia elettrica non riesce a soddisfare la domanda interna, quindi l’Italia è costretta a importarla, in particolare dalla Francia, che la produce mediante centrali nucleari.
Sebbene l’Italia sia circondata quasi interamente dal mare, la pesca è poco redditizia a causa della scarsa pescosità delle acque. Le uniche aree dove viene praticata a livello industriale sono nel mar Adriatico e a sud della Sicilia, dove è ancora diffusa la tradizionale pesca del tonno. È invece in espansione, in diverse regioni, la pratica dell’acquacoltura, cioè l’allevamento delle specie ittiche in condizioni controllate.

• SOTTO LA LENTE • ALIMENTAZIONE

Dop, Doc e Docg: le eccellenze alimentari italiane

Il punto di forza dell’agricoltura italiana è costituito dalle cosiddette eccellenze alimentari, prodotti di alta qualità caratterizzati dalla specificità delle materie prime, legate alla tradizione di un determinato territorio, e dall’attenzione dedicata a tutti gli aspetti della filiera produttiva. Prodotti come il parmigiano reggiano o la mozzarella di bufala campana sono alimenti conosciuti ed esportati in tutto il mondo, la cui originalità è protetta dai marchi di qualità promossi dall’Unione europea, come il marchio Dop (Denominazione di origine protetta), per tutelare questi prodotti dalle imitazioni. A testimonianza dell’importanza di questo settore, l’Italia è attualmente il Paese dell’Unione con il maggior numero di prodotti tutelati dai marchi di qualità europei, oltre 250.

 >> pagina 461 

Il settore secondario

Poco meno di un terzo dei lavoratori italiani è impiegato nel settore secondario, che comprende tutte le produzioni industriali e artigianali attive nel Paese. Nonostante l’economia italiana sia ormai passata da un modello fondato sull’industria a uno incentrato prevalentemente sui servizi – trasformazione avvenuta in coincidenza con la terza rivoluzione industriale degli ultimi decenni del XX secolo – e a dispetto della crisi economica globale, che negli ultimi anni ha messo in difficoltà le attività produttive di molti Paesi, il settore secondario genera ancora il 24% circa della ricchezza nazionale e resta dunque una delle principali risorse economiche dell’Italia.
Dal punto di vista organizzativo, il sistema industriale italiano è caratterizzato dalla compresenza di grandi aziende multinazionali (attive cioè in più Paesi) e di una vasta rete di piccole e medie imprese (che operano solo a livello locale): queste ultime, grazie alle loro ridotte dimensioni e al basso numero di lavoratori, riescono spesso ad adattarsi molto velocemente ai cambiamenti del mercato e alle trasformazioni economiche che caratterizzano i periodi di crisi o di ristrutturazione.

Il triangolo industriale

La distribuzione sul territorio delle principali industrie italiane rispecchia ancora in parte quella del periodo in cui nacque e si sviluppò nel Paese il settore secondario, tra gli inizi del XX secolo e gli anni Sessanta. In quegli anni si iniziò a parlare di triangolo industriale, un’area ad alta densità di industrie così chiamata perché aveva come vertici ideali le città di Milano, Torino e Genova. Vero e proprio motore economico del Paese in quel periodo, il triangolo industriale comprendeva complessi siderurgici, chimici e meccanici, con fabbriche di automobili come la Fiat, di pneumatici come la Pirelli, acciaierie e industrie meccaniche come l’Italsider e la Breda, e aziende attive nel settore chimico e petrolchimico come la Montedison. Furono queste imprese a richiamare gran parte dei migranti dalle regioni meridionali in cerca di lavoro nelle aziende del Nord. Il loro sviluppo economico fu favorito in quegli stessi anni dalla costruzione di importanti infrastrutture, come le prime autostrade che collegavano le principali città dell’area.
Ancora oggi il territorio del triangolo industriale, che si è allargato verso est per comprendere nuove aree della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna, è la regione italiana a più alta densità di industrie.

I distretti industriali

Una particolarità del sistema industriale italiano è la presenza dei distretti produttivi ( carta), cioè di agglomerati di imprese di varie dimensioni, all’interno di territori delimitati geograficamente, che cooperano nelle diverse fasi di un unico processo produttivo e che sono tra loro fortemente integrate. Rispetto alla realtà del triangolo industriale, i distretti presentano alcune importanti differenze: non sono rappresentati da poche e grandi aziende, che concentrano al loro interno la maggior parte della produzione, ma da un numero elevato di piccole e medie imprese, ognuna delle quali si occupa in genere di un aspetto particolare del ciclo produttivo, che viene poi completato attraverso la cooperazione tra le varie aziende comprese nel distretto; la loro integrazione è limitata all’interno di ambiti produttivi ben definiti, con imprese altamente specializzate in settori come il tessile, l’abbigliamento, la meccanica.
Attualmente in Italia ci sono circa 200 distretti industriali, distribuiti in modo piuttosto disomogeneo: sono infatti diffusi soprattutto nell’Italia centrosettentrionale e nella parte orientale della penisola, mentre sono quasi assenti nelle regioni meridionali. I principali distretti produttivi si estendono tra l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto, mentre in Toscana, nelle Marche e in Abruzzo si è evoluto un modello di integrazione produttiva più legato alle tradizioni manifatturiere e artigianali.

 >> pagina 462 

Il settore secondario nel Sud Italia

A differenza di quanto avvenuto nell’Italia settentrionale, nelle regioni meridionali la crescita del settore secondario è stata più modesta. Uno dei molti fattori storici ed economici alla base di tale sviluppo limitato è stato il fatto che il Nord del Paese beneficiò di investimenti statali fin dai primi anni dopo l’Unità d’Italia, mentre nelle regioni meridionali non furono create le infrastrutture indispensabili per favorire l’espansione delle realtà produttive. Nella seconda metà del XX secolo lo Stato ha tentato di creare nuovi poli industriali nel settore petrolchimico e siderurgico a Napoli, Brindisi, Taranto e in alcune aree della Sicilia; i risultati non sono stati però all’altezza delle aspettative, anche a causa della concorrenza delle imprese estere. Le uniche attività industriali degne di rilievo nel Sud Italia, oltre ad alcuni stabilimenti di grandi industrie (come quelli automobilistici in Campania e Basilicata), sono oggi rappresentate dai distretti dell’industria agroalimentare, dell’abbigliamento e delle calzature, che si sono affermate in Campania e in Puglia in continuità con la tradizione artigianale locale, e il distretto tecnologico di Catania, in Sicilia, denominato Etna Valley ( Sotto la lente).

• SOTTO LA LENTE • TECNOLOGIA

Il distretto tecnologico dell’Etna Valley

Fra i distretti industriali italiani più attivi e ai primi posti sul fronte dell’innovazione c’è quello dalla cosiddetta “Etna Valley”, una zona industriale di Catania, in Sicilia, dove alla fine degli anni Novanta del XX secolo alcune grandi società multinazionali che operano nel settore dell’elettronica e dell’informatica hanno stabilito i propri impianti.
Il suo nome richiama la Silicon Valley, l’area della California, negli Stati Uniti, dove hanno sede alcune tra le principali società informatiche del mondo. In questa zona, dove era già presente uno degli stabilimenti più moderni per la costruzione di microprocessori per computer, sono stati fondati, con la collaborazione dell’Università di Catania, del Cnr (il Consiglio nazionale per le ricerche) e di altre importanti aziende internazionali, centri di ricerca all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, che hanno contribuito alla nascita di oltre un migliaio di piccole aziende per la produzione di componenti utilizzati in vari settori dell’elettronica.
Dopo il successo dei primi anni, anche l’Etna Valley ha risentito della crisi economica globale, ma attualmente resta comunque uno dei distretti industriali italiani più attivi e dinamici.

Le attività artigianali

Un punto di forza del settore secondario in Italia è la presenza di numerose attività artigianali, piccole realtà produttive che raggiungono in molti casi livelli di eccellenza grazie alla creatività e al bagaglio tecnico e artistico di chi vi opera, spesso eredità di tradizioni secolari. Il risultato è un insieme di produzioni di alta qualità, conosciute ed esportate in tutto il mondo, che nel loro complesso costituiscono il cosiddetto made in Italy (“prodotto in Italia”). Tale etichetta si riferisce soprattutto alle eccellenze agroalimentari e alle creazioni dei settori della moda e del design, ma anche alla produzione di automobili di lusso, come i modelli della casa Ferrari. Altri campi in cui il made in Italy si è imposto a livello internazionale sono la produzione artigianale di mobili, la lavorazione della pelle, dei tessuti e del vetro, la produzione di strumenti musicali e la cesellatura dei gioielli.

 >> pagina 463 

Il settore terziario

L’Italia, al pari di altri Paesi industrializzati, negli ultimi decenni del XX secolo ha vissuto una trasformazione delle proprie attività economiche, passando da un’economia basata sul settore secondario, l’industria, a una fondata sul settore terziario, i servizi. Tale cambiamento è stato favorito dal progresso tecnologico, che, in seguito alla diffusione dell’automazione dei processi produttivi, ha ridotto la manodopera necessaria per le attività industriali.
Il fenomeno che ha spostato molti lavoratori nel settore terziario è stato definito terziarizzazione, e ha causato notevoli cambiamenti nella società italiana, segnando l’ingresso del Paese nella cosiddetta “era postindustriale”. Attualmente più di due terzi dei lavoratori italiani sono impiegati nel settore terziario, che nel suo complesso genera circa il 74% della ricchezza nazionale. Si tratta di dati allineati a quelli degli altri Paesi più sviluppati del mondo, dove la richiesta di servizi è molto alta. Il settore terziario non costituisce però una realtà omogenea, poiché riunisce attività economiche molto differenti. Accanto a settori tradizionali presenti in quasi tutte le economie, come quelli del commercio e dei trasporti, appartengono ai servizi anche il turismo e molti altri settori ad alto contenuto tecnologico (come quelli della ricerca scientifica, dell’informatica e delle comunicazioni, della medicina) e creativo (come i settori dell’arte, del design, dell’intrattenimento), tipici delle economie dei Paesi avanzati.

I “poli” del terziario italiano

Data la sua natura estremamente varia, con una vasta gamma di servizi di base e altri più avanzati, il settore terziario non è sviluppato in maniera uniforme sul territorio, ma si concentra in diversi poli, ciascuno contraddistinto da un differente livello di sviluppo e dalla presenza di particolari tipologie di servizi. Uno dei poli più attivi e diversificati si trova, per esempio, in corrispondenza del capoluogo della Lombardia, Milano, che ospita un’elevatissima concentrazione di servizi alle imprese, soprattutto nei settori dell’informatica, della pubblicità e della finanza, tutte attività che, per il loro elevato grado di specializzazione, vengono spesso riunite nella categoria del terziario avanzato. A Milano è molto sviluppata anche l’industria della cultura, in particolare nel campo dell’editoria (libri e giornali) e della televisione.
Nella capitale italiana, Roma, sono invece presenti le attività legate al funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni. Hanno infatti sede i principali organi politici del Paese (come il Parlamento, il Governo, i ministeri), oltre a buona parte degli uffici della burocrazia statale, la “macchina amministrativa” che si occupa della gestione e dell’organizzazione delle attività dello Stato. Talvolta queste funzioni vengono riunite in un quarto settore economico, definito quaternario, che comprende le attività di gestione e coordinamento degli enti pubblici.
Al confronto di quelli di Milano, di Roma e di quelli presenti nelle principali città dell’Italia centro-settentrionale, i poli del terziario nell’Italia meridionale sono molto meno sviluppati: le attività commerciali più praticate sono ancora quelle tradizionali, come i mercati o le antiche botteghe, e le strutture turistiche non sono ancora sufficientemente diffuse e sviluppate per sfruttare in modo adeguato le grandi potenzialità garantite dal ricco patrimonio paesaggistico e culturale di queste aree.

 >> pagina 464 

I servizi dello Stato italiano

Al comparto terziario appartengono anche tutti i servizi pubblici forniti dallo Stato e dagli enti locali, il cui funzionamento è finanziato dalle tasse pagate dai cittadini. Oltre agli organi della pubblica amministrazione, i servizi pubblici comprendono svariati settori, come la scuola, la sanità, la pubblica sicurezza (garantita dall’attività di vari organismi, tra cui la Polizia, i Carabinieri, i Vigili del Fuoco e la Protezione Civile). I servizi di assistenza sanitaria ed economica ai cittadini, tra cui le cure sanitarie gratuite, le pensioni di anzianità e invalidità e le indennità di disoccupazione, sono spesso riuniti nell’espressione inglese Welfare State, o Stato sociale, una tipologia di servizi che contraddistingue i Paesi avanzati e garantisce l’elevato livello di benessere dei cittadini.

Il turismo e i trasporti

Nel comparto terziario rientrano anche tutte le attività connesse al turismo, uno dei settori economici più sviluppati del Paese. L’Italia è infatti il quinto Paese più visitato del mondo, con quasi 50 milioni di arrivi di visitatori provenienti dall’estero ogni anno, a cui vanno aggiunti gli spostamenti dovuti al turismo interno. I luoghi di maggiore richiamo turistico sono le città d’arte, come Firenze, Roma, Venezia, le località balneari affacciate su tutti i mari che circondano la penisola, e i centri montani dove è possibile praticare gli sport invernali.
Uno dei servizi fondamentali per lo sviluppo economico di un Paese è quello dei trasporti, di cui fa parte il sistema delle infrastrutture e delle vie di comunicazione. Da questo punto di vista l’Italia è penalizzata dalla sua conformazione geografica, lunga e stretta e interrotta dalle catene montuose che rendono difficili i collegamenti interni. Per ovviare a questo inconveniente, la rete stradale italiana è una delle più sviluppate d’Europa, con quasi 6500 km di autostrade, la cui realizzazione è stata resa possibile dalla costruzione di un ingente numero di ponti e gallerie.
Più limitata, per quantità di traffico, è invece la rete ferroviaria. Circa l’80% del trasporto merci in Italia avviene su strada, e solo in minima parte (3%) su rotaia. Sul fronte del trasporto passeggeri un importante passo in avanti è stato fatto con la realizzazione, negli ultimi anni, di diverse linee ferroviarie ad alta velocità. La favorevole posizione della penisola italiana, al centro del Mediterraneo, ha permesso lo sviluppo del trasporto marittimo. I porti di Genova e La Spezia in Liguria, di Trieste nel Friuli- Venezia Giulia e di Gioia Tauro in Calabria sono tra i primi porti d’Europa per traffico di merci. Grande sviluppo ha avuto infine, negli ultimi anni, il trasporto aereo, soprattutto nel settore del trasporto passeggeri, grazie alla diffusione delle compagnie aeree a basso costo.

 >> pagina 465 

6. L’ordinamento politico e amministrativo

Lo Stato italiano è nato nel 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia, e nel 1946 si trasformò in repubblica in seguito a un referendum con il quale la maggioranza del popolo italiano votò per l’abolizione della monarchia. Il suo nome completo e ufficiale è Repubblica italiana e la legge fondamentale che la istituisce è la Costituzione della Repubblica italiana, promulgata nel 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948. La Costituzione sancisce anche i diritti e i doveri dei cittadini italiani e stabilisce la composizione e il funzionamento delle principali istituzioni dello Stato; la Costituzione infine rappresenta la principale fonte del diritto in Italia, cioè l’insieme delle leggi fondamentali da cui tutte le altre devono derivare.

L’ordinamento politico

L’Italia è una repubblica parlamentare, una forma politica che appartiene alla categoria delle democrazie rappresentative. In essa la sovranità, cioè il potere supremo all’interno del territorio di uno Stato, è nelle mani del popolo, che non lo esercita però in forma diretta (tranne in casi particolari, come i referendum), ma tramite rappresentanti, i membri del Parlamento, scelti periodicamente mediante elezioni. Il potere di cui è investito lo Stato si esercita attraverso una serie di figure e istituzioni. Le principali sono le seguenti.

  • Il Parlamento esercita il potere legislativo, cioè propone e approva le leggi dello Stato, e vota la fiducia al Governo; è composto da due camere, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, che, in base al “sistema bicamerale perfetto” in vigore in Italia, svolgono le stesse funzioni e hanno gli stessi poteri. La Camera è composta da 630 deputati e il Senato da 315 senatori. Deputati e senatori sono scelti ogni 5 anni dai cittadini mediante le elezioni politiche. Gli unici membri del Parlamento a non venire eletti sono i senatori a vita, nominati dal Presidente della Repubblica tra i cittadini che, come recita la Costituzione, hanno «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Ogni Presidente può nominare un massimo di 5 senatori a vita, e diventano automaticamente senatori a vita anche i Presidenti della Repubblica che hanno esaurito il proprio mandato. La sede della Camera dei deputati si trova a palazzo Montecitorio, mentre quella del Senato è a palazzo Madama, entrambi a Roma.
  • Il Presidente della Repubblica italiana è il capo dello Stato e il rappresentante dell’unità nazionale. È eletto dal Parlamento e dai rappresentanti delle regioni, e il suo mandato, che può essere rinnovato, dura 7 anni. In base all’esito delle elezioni politiche, assegna l’incarico per la formazione del Governo e ha il potere di sciogliere il Parlamento e di indire nuove elezioni. Promulga inoltre le leggi approvate dal Parlamento e svolge il compito di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. La sede della Presidenza della Repubblica si trova nel palazzo del Quirinale, a Roma.
  • Il Governo esercita il potere esecutivo, cioè si occupa di far applicare le leggi dello Stato e di supervisionare diverse istituzioni statali. È composto da ministri, viceministri e sottosegretari, che fanno capo al Presidente del Consiglio dei ministri, una carica equivalente al Primo Ministro di molti Stati europei. Il Presidente del Consiglio viene nominato dal Presidente della Repubblica ma, per entrare effettivamente nell’esercizio delle proprie funzioni, deve avere la “fiducia” (cioè il voto favorevole) di entrambe le Camere del Parlamento. Il Governo ha anche limitate facoltà legislative, può cioè emanare dei provvedimenti, i decreti, che però hanno una validità di soli 60 giorni e possono essere convertiti in legge soltanto con il voto favorevole del Parlamento.
  • La Magistratura è un ordine autonomo e indipendente dello Stato; esercita il potere giudiziario, cioè ha il compito di indagare sugli eventuali reati commessi sul territorio italiano (ruolo affidato ai pubblici ministeri, che svolgono il compito dell’accusa) e di giudicare chi è accusato di aver commesso tali reati (compito affidato ai giudici).
  • Il Consiglio Superiore della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica e svolge compiti di autogoverno della Magistratura, garantendo la sua libertà dalle influenze del Governo, in particolare dal ministero della Giustizia.
  • La Corte Costituzionale è il più alto organo giurisdizionale della Repubblica italiana e svolge la funzione di garante della Costituzione. Controlla cioè che le leggi, approvate dal Parlamento e promulgate dal Presidente della Repubblica, siano in accordo con la Costituzione e, in caso contrario, le dichiara incostituzionali, disponendo che vengano riesaminate dal Parlamento per essere modificate oppure abrogate, cioè cancellate. È composta da 15 giudici, eletti per un terzo ciascuno dal Presidente della Repubblica, dai due rami del Parlamento, riunito in seduta comune, e dai membri della Magistratura.
 >> pagina 466 

La suddivisione amministrativa

Oltre alle istituzioni centrali dello Stato, in Italia operano anche gli enti locali, organismi politici decentrati che si occupano di amministrare le parti di territorio in cui è suddivisa l’Italia.

  • Le Regioni sono enti locali che amministrano un territorio esteso e che godono di una relativa autonomia su alcuni temi importanti, come la gestione delle scuole, della sanità e delle strutture sanitarie (gli ospedali) e di alcune infrastrutture (come le strade principali). Hanno inoltre il potere di approvare leggi e normative, la cui validità è limitata al territorio da loro amministrato, purché queste non siano in contrasto con le leggi statali.
    Il territorio italiano è suddiviso in 20 Regioni, che a loro volta si differenziano in regioni a statuto ordinario (15) e regioni a statuto speciale (5). Queste ultime godono di maggiore autonomia in campo legislativo rispetto a quelle a statuto ordinario e dispongono di maggiori fondi per finanziare le proprie attività, in quanto trattengono a livello locale, in misura variabile da regione a regione, la maggior parte dei tributi riscossi attraverso il pagamento delle tasse da parte dei loro cittadini. Le regioni a statuto speciale sono la Valle d’Aosta (Vallée d’Aoste), il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia e il Trentino-Alto Adige. Quest’ultima è un caso speciale poiché è suddivisa in due Province Autonome che hanno sostanzialmente la competenza di una Regione: la Provincia Autonoma di Trento (che corrisponde alla regione storica del Trentino) e la Provincia Autonoma di Bolzano, che corrisponde al territorio dell’Alto Adige (chiamato Südtirol dagli abitanti di lingua tedesca).
    Gli organi di governo delle Regioni sono il Consiglio regionale (che ha funzioni legislative) e la Giunta, composta dagli assessori e dal presidente (ai quali sono affidate le funzioni esecutive). Consiglieri e presidente sono eletti dai cittadini mediante le elezioni amministrative, che si svolgono ogni 5 anni. Il Consiglio regionale della Sicilia (chiamato Assemblea regionale siciliana) è a tutti gli effetti un Parlamento autonomo e i suoi componenti hanno un ruolo analogo a quello dei deputati del Parlamento statale.
  • A eccezione della Valle d’Aosta, le Regioni sono ripartite in Province: si tratta di enti locali che hanno competenze su un territorio meno esteso e che svolgono funzioni amministrative in relazione, per esempio, alla tutela ambientale, alla valorizzazione dei beni culturali, alla viabilità e ai trasporti, all’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, ai servizi sanitari e all’istruzione scolastica secondaria di secondo grado.
    Con la legge 1212, in vigore dall’1/1/2015, le 86 Province a statuto ordinario sono state sostituite e trasformate in “enti territoriali di area vasta”. Le loro limitate funzioni di competenza riguardano la programmazione e la pianificazione del territorio in materia di ambiente, mobilità del trasporto, rete scolastica, fenomeni discriminatori in ambito occupazionale, promozione delle pari opportunità, edilizia scolastica.
    Sono stati profondamente riformati i loro organi politici direttivi: presidente del nuovo ente è il sindaco della città capoluogo, affiancato dall’assemblea dei sindaci dei comuni del territorio, con compiti propositivi, consultivi, di controllo (ma non deliberativi), e da un consiglio provinciale composto dal sindaco presidente e da un numero variabile di consiglieri. Presidente e consiglieri, non più eletti direttamente dai cittadini, esercitano il loro mandato per 4 anni e a titolo gratuito.
    La stessa legge istituisce anche, come “enti di governo”, il nuovo ente di Roma Capitale, definito da statuto speciale, e 9 Città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria) il cui territorio di competenza coincide con il territorio delle precedenti province abolite. Gli ambiti nei quali può agire riguardano la pianificazione territoriale di strutture di comunicazione, le reti di servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano, la mobilità e la viabilità, la promozione dello sviluppo economico e sociale, la promozione e il coordinamento dei sistemi di informatizzazione e digitalizzazione.
  • Ogni Provincia comprende più Comuni, che in Italia superano la cifra di 8000 (ma la tendenza degli ultimi anni è diretta a unificare i piccoli Comuni confinanti in un unico ente, per risparmiare sui costi di gestione). I principali organi di un Comune sono il Consiglio comunale (con compiti normativi e di controllo dell’amministrazione) e la Giunta, composta dal Sindaco e dagli assessori, che svolge le funzioni di organo esecutivo. Le competenze del Comune riguardano principalmente l’amministrazione delle scuole di primo grado e la gestione dell’assistenza pubblica, della polizia locale (i vigili), delle attività sportive e culturali, dei lavori pubblici e della tutela dell’ambiente.
 >> pagina 467 

L’Italia e le organizzazioni internazionali

L’Italia è un Paese membro di numerose organizzazioni intergovernative, entità internazionali che hanno lo scopo di migliorare la cooperazione fra gli Stati in svariati ambiti. L’Italia, oltre a essere stata uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea, fa parte del G7, il gruppo degli Stati più industrializzati del mondo, che si incontrano ogni anno per discutere delle prospettive di sviluppo dell’economia mondiale. L’Italia è anche membro dell’Organizzazione delle Nazioni unite (Onu), dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e della Nato (North Atlantic Treaty Organization, Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord).

VERIFICA

CONOSCENZE

1. Completa la seguente tabella, indicando le diverse caratteristiche delle principali istituzioni della Repubblica.


Istituzioni

Composizione

Principali funzioni e competenze

Parlamento

   

Governo

   

Magistratura

   

Regioni

   

ABILITÀ

2. Rispondi alle seguenti domande.


a. Quali sono le regioni in cui la disoccupazione è minore?
b. In quali zone dell’Italia si trovano le regioni con un tasso di disoccupazione più elevato?
c. Quali considerazioni puoi trarre da questi dati?

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana