PERCORSO I SETTORI ECONOMICI

IL TEMA

1. Il settore primario

Le attività produttive sono tradizionalmente suddivise in tre grandi settori: il settore primario, al quale appartengono l’agricoltura, l’allevamento, la pesca, la caccia e le attività estrattive; il settore secondario, che comprende le produzioni industriali; il settore terziario, che riguarda i servizi offerti alla comunità.

L’agricoltura tradizionale

Le attività del settore primario riguardano prevalentemente lo sfruttamento delle risorse naturali; l’agricoltura, in particolare, per vari millenni a partire dal 9000 a.C. circa, è stata la principale fonte di sostentamento dell’umanità.
Fino a pochi secoli fa essa era caratterizzata principalmente dalle pratiche del lavoro manuale e della rotazione ciclica delle colture. L’attività agricola basata sull’utilizzo prevalente di questi sistemi è definita agricoltura di sussistenza, poiché il raccolto nella maggior parte dei casi è destinato all’autoconsumo e non permette di accumulare scorte alimentari da impiegare come merce di scambio. L’agricoltura di sussistenza, ancora oggi presente in molte parti del mondo dove mancano strumenti e strategie di coltivazione nuovi, può essere suddivisa in:

  • agricoltura primitiva, tuttora praticata, insieme alla pastorizia, da popolazioni nomadi dell’Africa e della Cina settentrionale;
  • agricoltura pluviale, diffusa nell’Asia sudorientale, che sfrutta la disponibilità di grandi quantità di acqua piovana nelle stagioni delle piogge per usufruire al massimo della capacità produttiva dei terreni;
  • agricoltura secca, che viene praticata soprattutto in Africa e in Asia centrale dove, nonostante l’aridità dei terreni causata dalla scarsità di piogge e la bassa resa agricola, si ottengono produzioni sufficienti a sfamare una buona quantità di individui poiché le coltivazioni sono estese su vaste porzioni di territorio.

L’agricoltura commerciale

A partire dalla rivoluzione industriale, tra il XVIII e il XIX secolo, si sono diffusi metodi di coltivazione nuovi e più produttivi, che prevedono l’utilizzo di macchine agricole, di impianti per l’irrigazione, di prodotti chimici (come i concimi e gli antiparassitari) e di nuove varietà ibride; questa innovazione dei sistemi agricoli è stata chiamata rivoluzione verde. La maggiore produttività dei terreni e la conseguente maggiore disponibilità di prodotti hanno visto il prevalere dell’agricoltura commerciale, che ha come obiettivo l’incremento costante della produzione per avere a disposizione una quantità sempre più elevata di merci da destinare alla vendita. L’uso di sistemi più innovativi presuppone ingenti investimenti di capitali: per questo motivo l’agricoltura commerciale si è sviluppata soprattutto nei Paesi economicamente più avanzati. Essa comprende:

  • l’agricoltura intensiva, tipica dei Paesi europei, che interessa generalmente superfici abbastanza ridotte ed è caratterizzata da una produttività molto elevata;
  • l’agricoltura estensiva, caratteristica delle vaste praterie americane, che ottiene grandi quantità di prodotti agricoli sfruttando l’ampia estensione dei terreni coltivati con mezzi tecnologici moderni;
  • l’agricoltura di piantagione, tipica dei Paesi tropicali dell’America centromeridionale, dell’Africa e dell’Asia, che si fonda su una produzione specializzata nella coltivazione di un solo tipo di pianta (per esempio caffè, tè, banane, cotone) per mezzo di strumenti agricoli moderni. Questo sistema è definito monocoltura ed è destinato esclusivamente all’ esportazione, mentre la produzione per il consumo locale resta vincolata a forme tradizionali di agricoltura di sussistenza.
 >> pagina 441 

Le altre attività del primario

Al settore primario appartengono anche altri tipi di attività tradizionali. Tra queste rientrano l’allevamento di bestiame, la pesca, la caccia e le attività estrattive dei minerali dal sottosuolo.
L’allevamento, oltre a fornire risorse alimentari, serve a produrre materie prime, come pelle e lana. Per far fronte alla maggiore domanda di carne, negli ultimi secoli i processi produttivi si sono evoluti e ammodernati. In alcune aree, però, permangono ancora forme più arretrate di allevamento, come la pastorizia nomade.
La pesca, sia di acqua dolce sia di acqua salata, in alcuni Paesi dell’Africa subsahariana e dell’Asia orientale costituisce la base dell’apporto proteico nella dieta della popolazione. La Cina, che ne detiene il primato, produce ogni anno circa 16 milioni di tonnellate di pescato, quasi interamente destinato al consumo interno. Vi sono invece alcuni Paesi industrializzati, come il Giappone, la Norvegia e gli Stati Uniti, nei quali lo sfruttamento delle risorse ittiche è destinato prevalentemente all’esportazione.
L’estrazione dei minerali, sottoposti poi a trasformazione in varie produzioni industriali e manifatturiere, è rimasta fiorente solo in alcune aree del mondo, come il continente americano e la Russia, in quanto ricche di giacimenti minerari; al contrario, Europa occidentale e Giappone sono le zone meno dotate di queste risorse.

 >> pagina 442 

IL PROBLEMA

2. Gli attuali squilibri del settore primario

La meccanizzazione dell’agricoltura, con l’impiego di strumenti sempre più complessi ed efficienti, ha consentito di ridurre sensibilmente i tempi delle attività agricole e il numero di lavoratori addetti al settore primario: attualmente nei Paesi più progrediti la percentuale dei lavoratori agricoli varia dal 2 all’8% sul totale della popolazione attiva, mentre nelle aree più povere dell’Asia e dell’Africa resta ancora al di sopra del 50%.
I cambiamenti nel comparto produttivo agricolo comportano anche problemi ambientali causati dall’uso sempre più massiccio di concimi e antiparassitari e di carburanti per le macchine agricole, che inquinano i suoli, le acque e i cibi di cui ci nutriamo.

La politica delle industrie multinazionali

Anche la diffusione delle monocolture comporta diverse conseguenze: se da un lato questo sistema di coltivazione garantisce un’alta redditività, dall’altro assicura notevoli guadagni soltanto alle compagnie multinazionali (così chiamate perché controllano le produzioni in vari Stati del mondo), le quali stabiliscono le quote di produzione e impongono prezzi di vendita molto bassi che non permettono ai Paesi produttori di progredire. I Paesi in cui è praticata l’agricoltura di piantagione sono così costretti ad accettare politiche produttive e mercantili penalizzanti. Per esempio, il fatto che i prodotti coltivati a monocoltura siano indirizzati esclusivamente al mercato estero rischia spesso di privare i Paesi produttori di un’importante fonte di sostentamento alimentare. Infine, i costi di queste merci sono vincolati alle fluttuazioni dei mercati internazionali, quindi un eventuale improvviso crollo dei loro prezzi provocherebbe una grave crisi economica nei Paesi produttori.

Due estremi: cibo in eccesso e carestie

Le caratteristiche produttive ed economiche dei sistemi agricoli attuali sono tra i fattori responsabili dei gravi squilibri nel sostentamento alimentare della popolazione mondiale, poiché contribuiscono a una distribuzione non equa delle risorse del pianeta: una minoranza di individui, residente nei Paesi economicamente più avanzati, consuma in media il 40% in più del proprio fabbisogno giornaliero, con eccessi alimentari che possono anche provocare gravi problemi di salute.
Con l’attuale capacità produttiva agricola della Terra, infatti, sarebbe possibile nutrire circa 12 miliardi di persone, fornendo loro il fabbisogno energetico sufficiente per vivere in salute. Poiché la popolazione mondiale si aggira intorno ai 7 miliardi di individui, sembrerebbe dunque semplice poter sconfiggere il problema della fame nel mondo. Invece, attualmente, muoiono ogni anno per malnutrizione e denutrizione circa 30 milioni di individui.
Un’altra causa della crescente insufficienza alimentare è rappresentata dalle carestie, che possono essere congiunturali e strutturali.
Le carestie congiunturali sono provocate da fenomeni naturali temporanei come alluvioni o siccità, che danneggiano la capacità produttiva e l’economia dei Paesi e determinano un’improvvisa insufficienza di risorse alimentari; questo tipo di carestia colpisce soprattutto le regioni delle aree tropicali. Le carestie strutturali, invece, determinano una cronica mancanza di cibo: nei Paesi più economicamente arretrati la scarsità di risorse alimentari si aggrava in modo progressivo a causa dell’inarrestabile crescita demografica, impedendo così alle popolazioni locali di uscire dal vortice della fame. Le carestie congiunturali si possono contrastare attraverso gli interventi umanitari: se ne occupano alcune organizzazioni internazionali, tra cui la Fao (Food and Agriculture Organization), un’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Le carestie strutturali sono invece molto più difficili da combattere, poiché nel loro caso non si tratta di gestire emergenze, ma di creare le condizioni per lo sviluppo economico delle nazioni più povere, attraverso la costruzione di infrastrutture, come pozzi e canali per l’irrigazione, e l’utilizzo di strumenti tecnologici, come i macchinari agricoli, che richiedono però enormi investimenti. L’obiettivo è permettere a ogni Nazione di raggiungere l’autosufficienza alimentare, senza dover più ricorrere ad aiuti esterni per sfamare la propria popolazione.

Nel cuore della GEOGRAFIA

Le biotecnologie e gli Ogm

Negli ultimi decenni si è cercata una nuova strada per sopperire alla mancanza di risorse alimentari attraverso le biotecnologie: manipolando in laboratorio la struttura genetica degli organismi viventi, gli scienziati hanno creato artificialmente nuove specie di vegetali con valori nutrizionali molto più elevati, allo scopo di ridurre la fame nel mondo. Gli alimenti prodotti con queste ricerche, tra cui vi sono nuovi tipi di ortaggi o di frutti, sono definiti organismi geneticamente modificati (Ogm). Questi non deperiscono e sono immuni dai parassiti presenti in natura; garantiscono perciò una resa produttiva più elevata delle coltivazioni agricole tradizionali e limitano l’impiego di sostanze chimiche nei campi.
Riguardo all’introduzione di queste novità tecnologiche, però, ci sono alcune perplessità: in primo luogo la loro diffusione potrebbe creare squilibri irrimediabili negli ecosistemi, provocando l’estinzione di altre specie naturali; inoltre, la loro assunzione potrebbe risultare in futuro nociva per la salute degli esseri umani.

 >> pagina 443 

IL TEMA

3. Il settore secondario

Al settore secondario appartengono tutte le attività di trasformazione delle materie prime agricole, animali, minerarie e forestali in merci semilavorate (destinate a ulteriori lavorazioni) o finite (pronte per il consumo) destinate al mercato. Ne fanno parte l’industria – di cui sono esempi la fabbricazione di macchine e di strumenti tecnologici d’avanguardia e il confezionamento degli alimenti –, la produzione di fonti energetiche, l’edilizia e l’artigianato.

La prima rivoluzione industriale

La prima rivoluzione industriale prese avvio in Inghilterra alla fine del XVIII secolo, dove, in seguito all’introduzione delle macchine a vapore alimentate dall’energia del carbone, si diffuse l’impiego dei telai meccanici; fu così che la produzione manifatturiera artigianale di tessuti venne sostituita da quella meccanizzata nelle fabbriche, che consentiva di produrre una quantità maggiore di merci in tempi molto più ridotti. Nei primi decenni del XIX secolo la rivoluzione industriale coinvolse anche il settore siderurgico, diffondendosi in altri Stati europei, come Belgio, Francia, Germania e Italia settentrionale, e negli Stati Uniti; contemporaneamente l’impiego delle macchine a vapore si estese al settore dei trasporti, con l’invenzione delle prime locomotive e dei battelli a vapore.

 >> pagina 444 

La seconda rivoluzione industriale

Alla fine del XIX secolo ebbe inizio la seconda rivoluzione industriale, grazie alle innovazioni tecnologiche favorite dall’introduzione di nuove fonti di energia, come il petrolio e l’elettricità, alle innovazioni scientifiche in diversi campi e all’invenzione del motore a scoppio, che diedero un nuovo impulso alle attività industriali. Si svilupparono così nuovi settori industriali (tra i quali l’elettromeccanico, il chimico e il farmaceutico) che si diffusero progressivamente soprattutto nelle regioni del mondo più avanzate a livello economico. In particolare l’espansione industriale favorì le aree vicine ai giacimenti di ferro, come l’Europa centrale e la parte nordorientale degli Stati Uniti, perché per rendere più redditizia la produttività nelle fabbriche erano necessari grandi investimenti di capitali e la disponibilità di ingenti quantità di materie prime.

La terza rivoluzione industriale

Nella seconda metà del XX secolo si verificò un ulteriore sviluppo del settore secondario, con la diffusione su vasta scala di nuove merci. L’espansione industriale fu sostenuta dal consumo di massa di elettrodomestici e di automobili.
Negli anni Settanta la crisi energetica provocata dall’aumento del prezzo del petrolio da parte dei Paesi produttori, con il conseguente innalzamento dei costi dei trasporti, causò una flessione nella produttività industriale. Negli ultimi decenni del XX secolo, invece, una nuova fase di espansione è stata favorita dalle innovazioni tecnologiche nei settori dell’informatica (computer) e delle telecomunicazioni (Internet e telefonia mobile), che rivestono un ruolo strategico nel mondo attuale sia dal punto di vista economico sia a livello sociale.

Le gerarchie industriali

Le trasformazioni che hanno accompagnato la diffusione su larga scala delle attività industriali hanno influito profondamente sull’evoluzione dell’economia e della società globale, contribuendo a creare un sistema industriale organizzato a livello gerarchico, all’interno del quale gli Stati sono suddivisi in gruppi eterogenei, la cui composizione è soggetta anche alle continue fluttuazioni delle economie nazionali. Il fattore determinante di tale suddivisione è il Pil, cioè il prodotto interno lordo, che stabilisce il livello di ricchezza delle nazioni in base al calcolo del valore totale dei beni e dei servizi prodotti annualmente da un Paese.
I Paesi economicamente più forti, definiti a industrializzazione matura, per il fatto che da molto tempo sono stati interessati dal processo di espansione delle attività industriali, rientrano nel cosiddetto G8, costituito dai governi delle otto principali potenze economiche della Terra: Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada e Russia (ques'ultima attualmente sospesa dal Gruppo, infatti si parla di G7).
Appartengono ai Paesi di nuova industrializzazione, Nic (Newly Industrialized Countries), quelli che, dagli anni Sessanta in poi, si sono dotati di un produttivo apparato industriale raggiungendo un importante livello di sviluppo economico. Quasi tutti hanno beneficiato degli ingenti investimenti stranieri, favoriti dal decentramento produttivo, ma poi hanno continuato in autonomia dedicandosi soprattutto alla produzione di beni per l’esportazione. Tra questi Paesi si distinguono: Brasile, Russia (ora inserita anche nel G8), India, Cina e Sudafrica.
Infine vi sono i Paesi meno avanzati, scarsamente industrializzati, in cui si sono sviluppati soprattutto gli apparati produttivi dei settori siderurgico, meccanico e tessile, che necessitano di un elevato impiego di manodopera.

 >> pagina 445 

IL PROBLEMA

4. Tra crisi e ristrutturazione

La diffusione delle attività industriali nei Paesi emergenti ha fatto aumentare la concorrenza a livello di mercato globale e la necessità di produrre merci tecnologicamente sempre più sofisticate a prezzi inferiori ha spinto molte industrie a una profonda ristrutturazione, che ha coinvolto i metodi di produzione e le scelte commerciali. Le strategie adottate dai complessi industriali per riemergere dalla crisi e recuperare competitività sono state molteplici. In alcuni casi, soprattutto nei Paesi a industrializzazione matura, si è fatto un massiccio ricorso all’ automazione, con la creazione di impianti all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, per la realizzazione di merci a elevato valore commerciale. Una strategia opposta, intenzionata a ripetere i successi della delocalizzazione, ha invece puntato sul decentramento degli impianti di gran parte della produzione a basso impiego di tecnologia nei Paesi emergenti, dove i costi dell’energia e della manodopera sono più ridotti, consentendo così di recuperare cospicui margini di competitività.
Ulteriori strategie utilizzate dai maggiori complessi industriali per recuperare competitività sono rappresentate dagli investimenti finanziari, che comportano lo spostamento di ingenti capitali da una parte all’altra del mondo. Purtroppo questa modalità di gestione economica è spesso caratterizzata da forme di speculazione finanziaria, che danneggiano le economie dei Paesi emergenti, e da pratiche illegali. Tra le aree in cui attualmente le multinazionali effettuano la maggior parte dei loro investimenti, infatti, vi sono i cosiddetti paradisi fiscali, che attirano i capitali esteri grazie a una legislazione meno restrittiva, propensa ad assecondare gli illeciti penali.

IL TEMA

5. Il settore terziario

Negli ultimi decenni un numero elevato di lavoratori si è trasferito dagli impieghi nelle attività primarie e secondarie al comparto dei servizi (banche, assicurazioni, sanità, pubblica amministrazione), della distribuzione delle merci (trasporti e commercio), del turismo, della cultura e delle comunicazioni (istruzione, spettacolo e mezzi di informazione). Queste attività rientrano nel settore terziario, che ha conosciuto una notevole crescita negli ultimi anni grazie all’invenzione di nuovi strumenti tecnologicamente molto avanzati, come le applicazioni elettroniche e informatiche. Secondo alcune interpretazioni economiche e sociologiche, infatti, la diffusione inarrestabile dell’informatica, che ha totalmente rivoluzionato la nostra vita, ha favorito un’evoluzione delle attività del settore terziario. In base a queste considerazioni noi staremmo vivendo la quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dal settore quaternario, al quale appartengono le attività più avanzate del terziario, come la ricerca e lo sviluppo nel campo dell’Information technology.

Il boom dell’elettronica

Lo sviluppo dell’elettronica, iniziato nella seconda metà del XX secolo, aveva contribuito all’affermazione della terza rivoluzione industriale. A partire dagli anni Settanta i computer si sono diffusi come prodotto di massa e hanno rappresentato un’innovazione fondamentale per l’automazione dei processi produttivi delle fabbriche. L’impiego sempre più massiccio di questi mezzi ha portato alla nascita di nuovi lavori legati al campo dell’informatica, con aziende specializzate nello sviluppo dei programmi per computer (software), che ancora oggi costituisce uno dei settori occupazionali più remunerativi e con maggiori potenzialità di espansione.

 >> pagina 446 

La rivoluzione dei trasporti

Il terziario ha ricevuto un forte impulso dall’evoluzione tecnologica dei trasporti, che hanno rivoluzionato le relazioni commerciali, espandendo le aree di mercato e riducendo sempre di più i tempi di trasferimento delle merci.
Gran parte dei prodotti trasportati oggi nel mondo viaggia all’interno di container, enormi contenitori metallici che rappresentano gli strumenti fondamentali della intermodalità. Poiché i container hanno misure standardizzate, il passaggio da uno all’altro nei cosiddetti interporti risulta agevolato dalla meccanizzazione delle operazioni di carico e scarico; in tal modo è possibile collegare ogni zona del mondo attraverso l’integrazione delle vie di comunicazione marittime, terrestri e fluviali, ottimizzando le modalità di stoccaggio e i tempi di trasporto.
La maggior parte degli scambi internazionali di merci (superiore ai due terzi del valore globale) avviene attraverso il trasporto marittimo, con i porti di Rotterdam (in Olanda) e di Singapore (nel Sud-Est asiatico) che detengono il primato del volume di traffico; la via più rapida tra i sistemi di trasferimento resta comunque il trasporto aereo, che però comporta costi molto più elevati. Grazie all’espansione dei traffici globali, alla fine del XX secolo il trasporto aereo delle merci aveva raggiunto il 30% del totale degli scambi internazionali ma, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, ha subìto una notevole flessione che ha provocato, in alcuni casi, il fallimento di molte compagnie aeree.

I commerci globali

I commerci hanno conosciuto un incremento notevole negli ultimi decenni: la liberalizzazione degli scambi tra i diversi Paesi del mondo, un tempo limitati da rigide norme protezionistiche che regolavano le importazioni, e il progresso tecnologico dei mezzi di trasporto hanno favorito l’espansione degli scambi commerciali a livello planetario. La crescita esponenziale del fatturato globale di questo settore è stata addirittura superiore a quella della ricchezza generata da tutte le restanti attività produttive: negli ultimi decenni del XX secolo, infatti, il valore del commercio mondiale è cresciuto di oltre 20 volte, mentre il Pil globale solo di 8 volte. Un impulso forte a questo rilevante incremento delle attività commerciali, alla fine del XX secolo, è stato dato dal passaggio all’economia di mercato degli ex regimi comunisti dell’Est Europa e della Cina, che hanno abbandonato le politiche protezionistiche negli scambi con l’estero, aprendo di fatto nuovi mercati.

IL PROBLEMA

6. Gli squilibri commerciali

La poderosa espansione del commercio globale ha comportato, però, anche l’insorgere di notevoli squilibri. Più della metà dei flussi commerciali globali riguarda l’importazione e l’esportazione di prodotti industriali ed è controllata da un numero limitato di Paesi: l’80% delle esportazioni mondiali di manufatti e di attività del settore terziario, per esempio nel campo dei servizi, dello spettacolo e della comunicazione, è controllata dai Paesi più industrializzati, mentre i Paesi in via di sviluppo, in cui si concentrano i tre quarti della popolazione della Terra, gestiscono solo un terzo dei commerci globali, risultando dunque pesantemente penalizzati. Gli scambi di merci, inoltre, gravitano attorno a pochi poli commerciali: le transazioni più importanti riguardano l’America settentrionale, l’Europa e l’Estremo Oriente (in particolare la Cina); l’America meridionale, invece, mantiene intense relazioni commerciali con gli Stati Uniti; l’Africa infine privilegia gli scambi con i Paesi europei.
Da questi dati emerge con chiarezza che l’espansione delle relazioni commerciali ha favorito soprattutto i Paesi più industrializzati, avvantaggiati dalla commercializzazione dei prodotti tecnologici, mentre le dinamiche dei prezzi hanno penalizzato ancora di più le Nazioni economicamente deboli, produttrici di materie prime. La crisi economica, infatti, ha costretto i Paesi ricchi a ridurre le importazioni di beni dall’estero, provocando una diminuzione globale della domanda di materie prime agricole e minerarie e la conseguente riduzione dei loro prezzi. Ciò ha reso ancora meno remunerative le esportazioni dei Paesi poveri e ha ridotto ulteriormente la loro competitività commerciale. Questa situazione è stata definita scambio ineguale ed è riassumibile nello schema a fianco.
Dei Paesi in via di sviluppo solo l’India e la Cina sono riusciti a imporsi a livello globale grazie all’esportazione di manufatti, che riguardano principalmente i settori dell’abbigliamento e dei componenti elettronici: la loro crescita economica si è basata sull’enorme disponibilità di manodopera, che ha consentito di mantenere prezzi contenuti e dunque molto concorrenziali.

 >> pagina 447 

VERIFICA

CONOSCENZE

1. Collega le attività al settore economico corrispondente.


1. primario
2. secondario
3. terziario
4. quaternario
a. agricoltura intensiva
b. turismo
c. agricoltura secca
d. artigianato
e. edilizia
f. commercio
g. pesca
h. ricerca nel settore telematico
i. cultura

ABILITÀ

2. Rispondi alle seguenti domande.


a. Quali sono le caratteristiche principali di ciascuna rivoluzione industriale? Per ognuna elenca tre attività.
b. Quali sono le conseguenze degli scambi ineguali e quali Paesi danneggiano?

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana