L’ascesa di Ottaviano e la guerra di Modena
Le due fazioni cercarono un accordo che non facesse precipitare la situazione ed evitasse il caos sociale e istituzionale. La mediazione prevedeva da una parte l’amnistia per gli assassini di Cesare, dall’altra la conferma di tutti i provvedimenti da lui emanati. Uno dei più convinti assertori della necessità di giungere a una pacificazione, anche allo scopo di fermare l’ascesa di Marco Antonio – che considerava il maggiore pericolo per lo Stato –, fu Cicerone. I cesariani, però, attendevano solo l’occasione propizia per ribaltare la situazione. Con un’abile mossa propagandistica, Antonio, che si era fatto consegnare tutta la documentazione del dittatore presentandosi come il suo più credibile erede, lesse pubblicamente il testamento di Cesare. Con sorpresa dello stesso Antonio, in assenza di eredi diretti Cesare nominava suo successore il pronipote, il diciannovenne Caio Ottavio, adottato come figlio nel 45 a.C. (la nonna del giovane, Giulia minore, era sorella di Cesare).
Il documento conteneva inoltre, tra le ultime volontà del defunto, l’ordine di elargire a ogni cittadino romano una somma notevole (circa 300 sesterzi). Questo particolare, che confermava la magnanimità di Cesare agli occhi della plebe, esacerbò la rabbia della popolazione che si abbandonò ad azioni violente contro i congiurati e le loro proprietà. Bruto e Cassio furono costretti a fuggire in Grecia, dove riorganizzarono le proprie forze in vista dello scontro con i sostenitori di Cesare. In questo clima il senato, ormai in gran parte asservito al partito dei cesariani, assegnò il comando dell’esercito a questi ultimi, che potevano perciò contare anche sulla forza delle legioni.
Invece di unirsi per combattere gli avversari, però, i cesariani entrarono in conflitto per spartirsi il potere. Marco Antonio rifiutò di consegnare l’eredità di Cesare, come previsto dal testamento, a Caio Ottavio. Questi, dal canto suo, assunse il nome di Caio
Giulio Cesare Ottaviano per accreditare presso l’esercito e la popolazione la legittimità della sua successione al dittatore, e improntò la propria azione politica all’ottenimento di un consenso il più possibile ampio. Attraverso donazioni di denaro e la promessa di riforme sociali egli si guadagnò il supporto politico della plebe di Roma e degli Italici.
Per stringere a sé i più fedeli seguaci di Cesare e i suoi veterani, inoltre, accusò di tradimento i cesariani che avevano accettato l’amnistia degli assassini del suo padre adottivo, che giurò solennemente di vendicare. Di fronte alla sua determinazione, il senato si risolse ad assicurargli il sostegno, con una conseguente alleanza che spinse Antonio in un angolo. Egli infatti era stato nominato governatore della Macedonia, ma le legioni stanziate in quella regione passarono dalla parte dei ribelli cesaricidi, guidati da Bruto e Cassio, privandolo così del sostegno militare. A Roma, nel frattempo, Cicerone lo attaccò in modo molto veemente in senato, dove pronunciò le orazioni chiamate Filippiche (in riferimento a quelle che l’oratore ateniese Demostene, alla metà del IV secolo a.C., aveva rivolto contro il re macedone Filippo II). Su consiglio dello stesso Cicerone, il senato nominò Ottaviano senatore e gli affidò la carica di propretore, riconoscendo così la legittimità dell’esercito privato che egli si era procurato con le proprie disponibilità economiche.
Antonio si rese conto di non avere vie d’uscita. Proclamò pubblicamente la rinuncia all’incarico di governatore della Macedonia, in modo da poter essere eletto come comandante della Gallia cisalpina in sostituzione di Decimo Bruto Albino (uno dei congiurati), e trovarsi così più vicino a Roma. Quest’ultimo si rifiutò però di cedere il comando della provincia e si rifugiò nella città di Modena.
Antonio assediò la città durante la cosiddetta “guerra di Modena”
(43 a.C.), ma il senato lo dichiarò nemico pubblico e inviò contro di lui le legioni regolari, alle quali si unì l’esercito raccolto da Ottaviano. Egli fuggì allora nella Gallia Narbonese, in attesa di rinforzi che avrebbero dovuto arrivare da Marco Emilio Lepido, l’altro principale esponente della fazione cesariana.