Unità 8 L’ECUMENE ROMANA >> Capitolo 20 – Verso la fine della repubblica

TESTIMONIANZE DELLA STORIA

LA GUERRA CONTRO MITRIDATE

Marco Tullio Cicerone, intellettuale, politico, scrittore, senatore, sarà una delle figure più eminenti della storia romana nei vent’anni tra il 63 e il 43 a.C. Al momento di pronunciare questa orazione, la Pro lege Manilia (dal nome del tribuno della plebe, Caio Manilio, che aveva proposto di estendere i poteri di Pompeo anche al comando della guerra contro Mitridate) o De imperio Gnaei Pompei del 66 a.C., Cicerone è ormai un avvocato noto a Roma; è stato questore, è pretore ed è appena entrato in senato. Per la prima volta prende la parola davanti al popolo romano per dare appoggio alla proposta di affidare a Pompeo, che ha liquidato la minaccia dei pirati nel Mediterraneo, anche i pieni poteri (imperium) nella guerra contro Mitridate re del Ponto. La motivazione ufficiale della guerra è quella di contrastare l’arroganza di un re “ribelle” – il più inquieto e pericoloso – al confine orientale. Con lucidità Cicerone svela però le ragioni di fondo dell’intervento militare: salvare gli interessi economici della classe equestre e dei pubblicani, che avevano prestato denaro alle città e a molti proprietari terrieri di Anatolia, Armenia, Siria e Grecia, prestiti utilizzati quasi sempre per pagare i tributi a Roma. La ribellione di Mitridate rappresentava insomma una vera e propria minaccia di insolvenza dei debiti, e muovere guerra contro di lui significava difendere le rendite fiscali ed evitare in questo modo un crollo finanziario.

[Coinvolti nella guerra] Sono anzitutto i pubblicani, tutte persone assai rispettabili e facoltose che hanno trasferito in quella provincia i loro interessi e i loro capitali, e proprio ai loro affari e ai loro patrimoni dovreste [voi Senatori], anche prescindendo dall’interesse pubblico,1 rivolgere le vostre cure; se infatti abbiamo sempre considerato le entrate tributarie come il fulcro dello Stato, allora diremo senza tema di essere smentiti che quella classe che ne ha la gestione2 è il sostegno delle altre classi. Vi sono poi cittadini appartenenti alle altre classi che, pieni d’attività ed iniziativa, hanno i loro affari in Asia, parte dedicandosi ad essi personalmente – e a voi corre l’obbligo di provvedere alla loro sicurezza, benché lontani –, parte investendo in quella provincia grossi capitali.3 […] La rovina di molti dei nostri concittadini coinvolge inevitabilmente quella dello Stato.
Ha infatti scarsissimo peso la considerazione che a noi, se lasciamo andare in rovina i pubblicani, è sempre possibile recuperare, in seguito ad una nuova vittoria, il gettito fiscale; ché da una parte gli attuali appaltatori non avranno più i mezzi, a causa della rovina subita, per assicurarsi l’appalto delle imposte,4 dall’altra non ci saranno altri a voler concorrere all’aggiudicazione per timore della rovina. Dobbiamo inoltre tenere ben fissa la mente, se non altro perché la sventura ci è stata maestra, alla lezione venutaci sempre dall’Asia e sempre da Mitridate all’inizio di questa guerra: quando in Asia moltissimi uomini d’affari perdettero ingenti capitali, a Roma – lo sappiamo bene – la sospensione dei pagamenti alle relative scadenze determinò il crollo del credito, poiché, quando in una città sono in molti a perdere capitali ed averi, è inevitabile che si tirino indietro nella stessa rovina parecchi altri. […] Il credito e il movimento di capitali, il cui centro è costituito da Roma, e propriamente dal foro, sono strettissimamente connessi con i fondi stanziati in Asia; non ci potrebbe essere un crollo senza il contemporaneo crollo, sotto la spinta di quella rovina, delle nostre finanze.


Cicerone, De imperio Gnei Pompei Oratio, trad. di G. Bellardi, in Le Orazioni di M.T. Cicerone, vol. II, Utet, Torino 1981

PER FISSARE I CONCETTI
  • Cicerone evidenzia con chiarezza le ragioni economiche della politica romana verso le province orientali: sintetizzale.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana