3 - L’età di Mario e Silla e le guerre civili

Unità 8 L’ECUMENE ROMANA >> Capitolo 19 – Roma tra crisi e riforme

3. L’età di Mario e Silla e le guerre civili

Dopo il fallimento delle riforme agrarie, le divisioni interne alla classe dirigente romana si esacerbarono ulteriormente. Così, dall’inizio del I secolo a.C. Roma fu sconvolta da un lungo periodo di guerre civili che, infine, portarono alla crisi delle istituzioni repubblicane. Gli ottimati, autori della sanguinosa repressione del movimento che aveva appoggiato i Gracchi, dominavano ormai la vita politica ed economica, ma i popolari, sostenuti dai piccoli contadini, dalla plebe urbana e dai cavalieri, riuscirono a riprendere l’iniziativa politica grazie alla determinazione e alla spregiudicatezza di un nuovo protagonista della scena politica e militare: Caio Mario.

L’ascesa di Mario: la guerra contro Giugurta e la sconfitta di Cimbri e Tèutoni

Legato probabilmente alla famiglia nobile dei Metelli, Caio Mario (157-86 a.C.) non apparteneva all’aristocrazia romana. Di origine italica (era nato ad Arpino, nel Lazio), era un homo novus: prima di lui, nessun membro della sua famiglia era mai riuscito a entrare nel senato ( Testimonianze della storia, p. 376). Nonostante questo, egli riuscì a raggiungere le cariche più alte della repubblica: le sue straordinarie abilità di comandante e i suoi successi militari gli consentirono una sorprendente carriera politica e l’ascesa ai vertici dello Stato.
La sua prima importante campagna fu la guerra contro Giugurta, re della Numidia. Roma aveva inviato l’esercito in Africa nel 111 a.C., in seguito alla distruzione della città di Cirta (nell’attuale Algeria) a opera dei Numidi, durante la quale numerosi mercanti romani erano stati uccisi e avevano subìto la confisca dei beni; con la spedizione militare, il senato intendeva ripristinare la propria influenza strategica e commerciale sulla regione. Giugurta, tuttavia, era riuscito a corrompere i generali romani e a mantenere la propria indipendenza.
Poiché la campagna militare si protraeva fiaccamente – fatto che alimentava i sospetti sulla corruzione dei generali che la guidavano – nel 109 a.C. il senato affidò il comando di una nuova spedizione a un personaggio autorevole, noto per la sua integrità morale, il console Quinto Cecilio Metello. Fu in qualità di suo luogotenente che Mario si distinse per la prima volta per le capacità strategiche e militari.
Nel 107 a.C. Mario, grazie alla fama dei suoi successi sui campi di battaglia, ottenne l’elezione a console, sostenuto dai popolari e dai cavalieri. Questi ultimi, contro l’opinione degli ottimati, riuscirono a far proseguire la guerra contro Giugurta, motivata esclusivamente dalla tutela dei loro interessi commerciali nella regione. Mario prese così il posto di Metello (suscitandone un profondo rancore) nel comando delle operazioni, e nel 104 a.C. sconfisse definitivamente i Numidi, facendo prigioniero Giugurta e imponendo loro un governo alleato dei Romani.
Ma l’impresa che procurò a Mario la gloria maggiore fu la campagna contro i Cimbri e i Teutoni. Queste tribù nomadi di origine germanica si erano allontanate dalle loro terre d’origine (la penisola dello Jutland) in cerca di nuovi territori in cui insediarsi, probabilmente a seguito dell’incremento demografico che aveva compromesso l’equilibrio tra popolazione e risorse. Per lungo tempo avevano compiuto scorribande sui territori di Roma, i cui tentativi di fermare la loro avanzata erano stati duramente frustrati dalle gravissime sconfitte subite a Noreia (presso l’odierna Klagenfurt, in Austria) nel 113 a.C., e ad Arausio, nella Gallia Narbonese, nel 105 a.C. Nessun generale di origine nobiliare sembrava in grado di opporsi efficacemente alla minaccia germanica che si indirizzava verso la penisola. Così, l’anno successivo il senato si rivolse a Mario, reduce dalle recenti imprese compiute in Africa ed eletto nuovamente console. Dopo aver riorganizzato l’esercito, nel 102 a.C. Mario vinse i Teutoni in Provenza, presso Aquae Sextiae (l’odierna Aix-en-Provence), e nel 101 a.C. sconfisse i Cimbri, nel frattempo penetrati in Italia, ai Campi Raudii (presso Vercelli). Queste prestigiose vittorie, oltre ad allontanare per lungo tempo da Roma e dalla penisola la minaccia di una nuova invasione, assicurarono a Mario un grande prestigio popolare e il sostegno di buona parte della classe dirigente romana.

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La riforma dell’esercito e le sue conseguenze

I successi militari furono ottenuti da Mario anche grazie alla forza di un esercito completamente riorganizzato. Egli trasformò la tradizionale leva obbligatoria basata sul censo (esistente fin dai tempi del re Servio Tullio) in un arruolamento volontario, aperto anche ai proletari (finora esclusi dall’esercito – salvo casi eccezionali – in quanto nullatenenti) e agli Italici. Questo radicale cambiamento consentì di reclutare un numero assai maggiore di soldati, compensando la diminuzione dei legionari dovuta alla crisi economica che aveva colpito i piccoli proprietari terrieri.
Lo stipendio, inoltre, venne elevato, e l’equipaggiamento fu da allora in poi procurato dallo Stato. Veniva così definitivamente meno il problema di conciliare le attività economiche con il servizio militare: la paga era sufficiente per vivere, mentre il mantenimento dell’esercito, che gravava sulle casse dello Stato, era assicurato dal lavoro degli schiavi e dai tributi provenienti dalle province.
Il nuovo ordinamento dell’esercito rispondeva agli interessi di tutti i ceti sociali: i nullatenenti avevano la possibilità di sfuggire alla miseria entrando nelle legioni, mentre i ricchi possidenti potevano evitare il servizio militare più facilmente, poiché abbondavano le richieste di arruolamento tra i plebei. La riforma prevedeva inoltre l’assegnazione di una parte delle terre conquistate ai veterani (i soldati esclusi dal servizio attivo per limiti d’età), garantendo loro la sicurezza economica nella vecchiaia.
I cambiamenti riguardarono anche la composizione delle legioni e la loro disposizione sul campo di battaglia. Alla vecchia suddivisione in velites, principes, hastati e triarii ( p. 316) subentrò una distinzione tra fanteria pesante (composta da soldati armati tutti nello stesso modo) e fanteria leggera (costituita da truppe ausiliarie). Le legioni, formate ognuna da 6000 uomini, furono organizzate in dieci coorti (suddivise in tre manipoli di 200 soldati ciascuno) che potevano operare in autonomia, assicurando una maggiore agilità negli spostamenti delle truppe.
La riforma dell’esercito voluta da Mario determinò un cambiamento epocale nella vita politica e militare della repubblica. Con la creazione di un esercito di professionisti, il servizio militare non venne più considerato un dovere civile dei cittadini romani, com’era avvenuto fino ad allora, ma un’opportunità per arricchirsi con i bottini di guerra. Le legioni si trasformarono sostanzialmente in un esercito di mercenari, interessati alla paga e alle ricompense economiche che le nuove conquiste garantivano. Allettati dalle elargizioni di denaro e di terre, infatti, i soldati erano disposti a seguire i loro comandanti in qualsiasi impresa, anche contro le leggi della repubblica. Il potere personale dei capi militari, che riponevano nella carriera militare le speranze di soddisfare le loro ambizioni politiche, aumentò notevolmente, contribuendo al grave indebolimento delle istituzioni repubblicane. Si crearono inoltre condizioni favorevoli a una politica di costante espansionismo territoriale, volta a soddisfare le brame di potere dei generali e la fame di terre e di ricchezze delle loro milizie. Questa situazione acuì i contrasti tra l’aristocrazia dei grandi proprietari terrieri, gli ottimati, contrari a investire risorse dello Stato in dispendiose spedizioni militari, e popolari e cavalieri, interessati a espandere i traffici commerciali e gli affari legati alla concessione degli appalti nelle nuove province.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana