LA DENUNCIA DELLA CORRUZIONE DA PARTE DI CAIO GRACCO
Aulo Gellio (vissuto nel II secolo d.C.) era un giudice ed erudito che, in modo frammentario e disorganico, aveva raccolto in una monumentale opera informazioni, curiosità e notizie sul mondo antico. Nel brano che segue è riportata parte del discorso che Caio Gracco avrebbe tenuto nel 123 a.C. contro la legge Aufeia, che ratificava la cessione a Mitridate III, re del Ponto, della Frigia, mentre altri senatori sostenevano le pretese avanzate da Nicomede II di Bitinia. Caio, contrario a entrambi gli schieramenti, sosteneva invece che Roma dovesse amministrare direttamente le provincie, per impedire che i fenomeni di corruzione inquinassero i rapporti con i territori conquistati.
«Perché voi, Quiriti, anche se volete impiegare tutta la vostra saggezza e la vostra capacità, non troverete, per quanto cerchiate, nessuno di noi1 che si presenti qui senza un compenso. Tutti noi che parliamo in pubblico miriamo a qualche cosa e nessuno
si presenta a voi se non per il fine di guadagnarsi qualcosa. Io stesso, che parlo qui davanti a voi perché possiate accrescere le vostre rendite, perché possiate più facilmente amministrare gli interessi vostri e quelli dello Stato, non mi presento alla tribuna per niente; io però chiedo a voi non denaro ma buona reputazione e onore.
Quelli che vengono a parlare per farvi respingere questa legge2 chiedono non onore a voi ma denaro a Nicomede3; quelli che vi spingono ad approvarla, anche loro non chiedono buona reputazione a voi ma un compenso e un guadagno personali a Mitridate. Gli altri poi, di uguale nascita e di uguale classe, che stanno zitti4, sono addirittura i più accaniti, perché il compenso lo prendono da tutti e tutti ingannano.
Voi, ritenendoli lontani da ogni intrigo, accordate loro la vostra stima; e invece le legazioni inviate dai re, ritenendo che stiano zitti in favore della propria causa, offrono loro doni e somme ingenti, così come avvenne in Grecia: una volta che un attore tragico greco si vantava di aver ricevuto un talento5 per una sola rappresentazione, Dèmade, oratore sommo della sua città, gli rispose – dicono – così: «Ti sembra una cosa straordinaria aver guadagnato un talento parlando? Io, per tacere, ho ricevuto dieci talenti dal re». Nello stesso modo ora costoro ricevono compensi per il loro silenzio.”
Aulo Gellio, Dissuasio legis Aufeiae, in Noctes Atticae, in Oratorum Romanorum Fragmenta, a c. di E. Malcovati, Paravia, Torino 1976 (cit. e trad. da G.B. Conte, Letteratura latina, Le Monnier Università, Firenze 2012)
1. nessuno di noi: noi senatori e uomini politici.
2. questa legge: la legge Aufeia.
3. Nicomede: il re interessato all’abolizione della lex Aufeia.
4. che stanno zitti: coloro che non appoggiano né l’uno né l’altro, ma fanno affari con entrambi.
5. talento: moneta che circolava in Grecia.