Un punto di vista dimezzato
Il conflitto tra Roma e Cartagine non fu soltanto uno scontro militare, ma anche una vera e propria guerra ideologica, tale cioè da coinvolgere i valori di riferimento delle due civiltà, il loro modo di essere e, in fin dei conti, l’idea stessa del destino storico che ognuna delle due potenze assegnava a se stessa. Perciò, come tutte le guerre ideologiche, fu feroce e crudele, poiché entrambe combatterono con la consapevolezza che lo scontro non poteva concludersi se non con la distruzione definitiva dell’avversario. Non a caso Roma, la potenza vincitrice, impose la damnatio memoriae sugli sconfitti, cioè una condanna all’oblio del punto di vista del “nemico”, delle parole con cui l’avversario racconta il conflitto e le sue ragioni. Una volta conquistata definitivamente la città rivale, infatti, Roma procedette alla distruzione sistematica della documentazione cartaginese. Di quella storia, di conseguenza, conserviamo solo il racconto che ne hanno fatto i vincitori.
Il primo a scriverne era stato uno storico greco, Filino di Agrigento (III secolo a.C.), che aveva partecipato alla prima guerra punica nell’esercito della sua città (conquistata, saccheggiata e ridotta in schiavitù dai Romani). Egli raccontava i fatti dal punto di vista di Cartagine, ed era dunque fortemente critico nei confronti di Roma. La sua testimonianza sarà una fonte importante per gli storici romani Fabio Pittore, che aveva combattuto contro Annibale, Nevio e, soprattutto, Polibio, che ne contesteranno però la visione. Il punto Un punto di vista dimezzato di vista romano, per come traspare da queste fonti, ha l’obiettivo di negare ogni possibilità di convergenza tra i nemici e dimostrare che tra i due “mondi” non era possibile alcun dialogo, essendo in gioco due culture inconciliabili. Il conflitto con Cartagine viene insomma dipinto come uno scontro di civiltà: si enfatizzano le differenze economiche, sociali, politiche e ideologiche, mentre quasi si negano le analogie, formali o sostanziali, tra le istituzioni e le strutture sociali delle due città.
Gli storici romani, inoltre, nascondono le ragioni economiche e i diversi interessi sottostanti al confronto. Il punto di vista romano è tutto politico e ideologico, come mostra il pensiero di Catone il Censore quando, nel 151 a.C., invocando la distruzione di Cartagine (Ceterum censeo Carthaginem esse delendam, «Del resto penso che Cartagine debba essere distrutta»), ne individua la ragione nell’esistenza stessa della città punica, potenzialmente pericolosa: «I Cartaginesi sono ormai nostri nemici; e se qualcuno predispone tutto contro di me in modo di esser in grado di attaccarmi quando vuole, vuol dire che è ormai un nemico, anche se non ha ancora preso in mano le armi». Persino l’enfasi sulla potenza degli avversari e sulle sconfitte subite a opera del grande condottiero cartaginese Annibale (le più gravi della storia romana) serviranno ai Romani per dare maggior peso al loro valore e alla loro determinazione.