1 - Il Mediterraneo, nuova frontiera di conquista

Unità 8 L’ECUMENE ROMANA >> Capitolo 18 – Consolidamento ed espansione della potenza di Roma

1. Il Mediterraneo, nuova frontiera di conquista

Nel III secolo a.C. Roma visse una straordinaria stagione di trasformazione economica e culturale che la portò a guardare con più sicurezza anche fuori dai confini della penisola. Il Mediterraneo, che a lungo aveva rappresentato una barriera naturale difficile da superare, era ormai un obiettivo alla portata dei marinai romani, che attraverso i contatti con gli Etruschi e i coloni greci dell’Italia meridionale avevano assorbito nel proprio patrimonio di conoscenze le più avanzate tecniche nautiche. La guerra contro Taranto aveva del resto dimostrato che, dopo essersi rivelati superiori a tutte le altre popolazioni italiche sulla terraferma, i Romani potevano contendere le rotte marittime a civiltà che da molti secoli basavano la propria espansione economica sul dominio dei mari.
Il mare divenne per Roma una straordinaria opportunità di sviluppo economico e commerciale, trasformando la città in una potenza mercantile dinamica e ricca, capace di trarre dai commerci marittimi entrate finanziarie elevate, utili a mantenere una politica di tipo imperialistico. In pochi decenni, il Mediterraneo diventerà il mare nostrum dei Romani, una sorta di ecumene – comprendente buona parte del mondo allora conosciuto – controllata dalla loro flotta.

Le aree di influenza del Mediterraneo

In quale quadro avvenne questa grande trasformazione? All’inizio del III secolo a.C. il Mediterraneo offriva uno scenario geopolitico completamente diverso da quello incontrato al tempo dei Greci. Era un mare solcato da molte navi mercantili di varia provenienza e da poche navi da guerra; al suo interno vigeva un sostanziale equilibrio di forze, con le varie potenze regionali che si tenevano lontane da guerre impegnative. I principali attori, oltre a Roma, erano almeno cinque, con le loro rispettive aree di influenza.

  • Sul Mediterraneo orientale si affacciavano i tre regni nati dalle ceneri dell’impero di Alessandro: il regno di Macedonia, che con gli alleati estendeva la propria influenza su gran parte della Grecia e sull’Egeo; il regno dei Seleucidi, in Asia, in parte erede dell’impero di Alessandro e dei Parti, con l’appendice del regno di Pergamo; il regno dei Tolomei in Egitto. Sebbene nessuno di questi fosse florido e minaccioso come un tempo, si trattava pur sempre di realtà ragguardevoli, con le quali Roma aveva però scarsi rapporti.
  • Sul Mediterraneo occidentale si affacciava la potente Massàlia (l’attuale Marsiglia), un tempo colonia greca e ora città commerciale ricca e dinamica, che controllava anche una striscia di terra verso la Spagna e commerciava in tutto il Mediterraneo materie prime come il rame e l’argento.
  • A sud, sulle coste dell’Africa, dominava Cartagine, città di antica fondazione fenicia, forse allora la più ricca e di certo la più raffinata e culturalmente vivace del Mediterraneo. Non dovendo contrastare serie minacce provenienti dalla terraferma (grazie alla presenza del deserto del Sahara), Cartagine aveva riversato tutte le energie nell’espansione commerciale e, sul modello fenicio, nella fondazione di colonie, tra cui Mozia, Lilibeo (l’attuale Marsala), Panormo (Palermo) e Caralis (Cagliari).

In tale scenario, Roma rappresentava un’anomalia. Nel III secolo a.C. era sicuramente la città più potente, più organizzata, con l’esercito meglio addestrato e una politica estera aggressiva. Ma lo sviluppo commerciale inizialmente ridotto ne faceva una città marginale rispetto ai grandi traffici marittimi, con conseguenze anche sul piano culturale. A Roma la lingua latina scritta non era ancora diffusa, non si praticava il teatro, l’architettura monumentale era poco sviluppata; persino le tombe delle famiglie patrizie erano modeste, essendo la frugalità uno stile di vita condiviso da patrizi e plebei.
Eppure, proprio in questo periodo il ruolo di Roma cominciò a cambiare. Pur riconoscendo la supremazia delle potenze navali – militari e commerciali – straniere, la città iniziò a imporre alcune condizioni al passaggio delle loro navi e a occupare basi strategiche lungo le coste dell’Italia meridionale, da cui avrebbe potuto intercettare le rotte più frequentate e porre le premesse del successivo dominio dei mari. La consapevolezza del suo peso regionale crebbe con il crescere delle richieste di alleanza politica e militare ricevute dapprima dalle città più piccole, e poi dalle stesse potenze che si spartivano il controllo dei traffici del Mediterraneo. Dopo la vittoria su Pirro a Benevento, Roma attrasse su di sé l’interesse di tutti gli Italici: chi voleva migrare, si indirizzava a Roma, e i commerci, che prima facevano capo alle terre etrusche, a Capua e alle ricche città della Sicilia, si dirigevano ora verso Roma, cui nel contempo giungevano le ingenti risorse (prodotti agricoli e artigianali, schiavi, materie prime) frutto delle conquiste italiche.

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Due potenze in rotta di collisione

La scoperta di numerosi relitti di navi ha dimostrato che l’intensità degli scambi commerciali via mare era davvero sorprendente: vicino a Roma sono stati trovati relitti provenienti da Marsiglia e vicino a Marsiglia resti di navi giunte dalla Tunisia; vicino a Cadice relitti in arrivo dalla Sicilia e vicino alle coste della Corsica quelle in arrivo da Cadice. Una rete di porti, anche di transito, garantiva la continuità degli interscambi.
I principali traffici che attraversavano il Mediterraneo nel III secolo a.C. riguardavano in primo luogo i cereali, provenienti dall’Egitto e dalle coste del mar Nero. Anche dalle città della Magna Grecia venivano esportate grandi quantità di grano, oltre che di olio; dalla Grecia continentale e insulare partivano olio, vino e raffinate ceramiche. Dai territori macedoni, ricchi di risorse naturali, erano esportate alcune importanti materie prime, come il legname necessario alla costruzione delle navi. Le merci più pregiate – pietre preziose, avorio, spezie e profumi – giungevano invece dal Vicino Oriente. Florido in tutto il Mediterraneo era inoltre il commercio degli schiavi.
Autentici padroni degli scambi marittimi erano i Cartaginesi. Dalle loro colonie esportavano prodotti alimentari (olio, datteri, prodotti ittici) e, dalle miniere della Spagna e della Sardegna, argento e piombo, da scambiare con i tessuti pregiati, gli oggetti artigianali in vetro, le ceramiche e i metalli preziosi provenienti dall’Oriente. Le navi cartaginesi, risultato delle abilità artigianali sviluppate nei secoli dalla civiltà fenicia, erano in grado di raggiungere anche le coste meridionali delle isole britanniche, dalle quali riportavano verso il Mediterraneo lo stagno necessario alla produzione degli oggetti in bronzo. I mercanti cartaginesi traevano inoltre grandi vantaggi dagli scambi con l’entroterra africano: le carovane dei nomadi che attraversavano i deserti della Numidia portavano oro, argento, pietre preziose e avorio, che i Cartaginesi immettevano come prodotti pregiati nel mercato mediterraneo.
In una prima fase, Roma entrò in questo circuito commerciale soprattutto grazie allo scambio della sua produzione agricola, ma divenne presto diretta concorrente di Cartagine: la maggiore potenza militare (di terra) e la maggiore potenza commerciale (sul mare) si avvicinavano pericolosamente.

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TESTIMONIANZE DELLA STORIA

IL DINAMISMO MERCANTILE DI CARTAGINE

L’importanza che le attività marittime e commerciali avevano per i Cartaginesi è testimoniata anche dalla conformazione del porto cittadino. Esso era costituito da due diversi bacini, custoditi da mura difensive; essendo disposti uno di seguito all’altro, vi si accedeva da un’unica entrata. Il primo accoglieva le navi mercantili, mentre quello più interno era riservato alla flotta da guerra ed era dotato di un cantiere per le riparazioni. 
In questo brano dello storico greco Appiano di Alessandria, vissuto tra il I e il II secolo d.C., sono descritte le strutture portuali della città.



“Cartagine era dotata di due porti, che comunicavano l’uno con l’altro e avevano una sola entrata dal mare, larga circa 21 metri, che poteva essere chiusa con catene di ferro. Il primo porto era per le navi mercantili, e vi si potevano trovare macchine di ogni sorta per lo scarico e il servizio delle navi. Il secondo porto era riservato alle navi da guerra. Al suo interno c’era un’isola e grandi banchine erano state disposte a intervalli sia intorno al porto, sia intorno all’isola. Le rive erano piene di cantieri con una capacità per 220 navi e vi erano magazzini per le attrezzature. […] Sull’isola si trovava la sede dell’ammiragliato, che si levava a un’altezza considerevole. Dalla sede, sopra il porto mercantile, si poteva sorvegliare il mare aperto, mentre coloro che giungevano dal mare non potevano vedere chiaramente ciò che accadeva nel porto. Nemmeno i mercanti che giungevano potevano vedere i bacini interni, perché un doppio muro li circondava, e c’erano cancelli attraverso i quali le navi mercantili potevano passare dal primo porto alla città, senza attraversare i cantieri.”


Appiano, Storia di Roma, VIII, 96, Idee nuove, Roma 2004


PER FISSARE I CONCETTI
  • Perché i Cartaginesi avevano previsto di poter chiudere il porto con catene?
  • Dove si trovava la sede dell’ammiragliato? Perché?
  • Per quale motivo era strategicamente fondamentale tenere sotto controllo quello che avveniva in mare aperto?

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana