Capitolo 18 - Consolidamento ed espansione della potenza di Roma

Capitolo 18 CONSOLIDAMENTO ED ESPANSIONE DELLA POTENZA DI ROMA

i concetti chiave
  • Alle origini della riforma agraria: la spartizione delle nuove terre come motivo di conflitto tra plebei e patrizi e il sistema della centuriazione
  • Dall’ager publicus alla creazione di latifondi
  • La rete commerciale del Mediterraneo e il nuovo ruolo di Roma
  • La lotta tra Roma e Cartagine: due opposte visioni dello sviluppo politico e commerciale
  • La prima guerra punica: la costruzione di una flotta romana, la conquista della Sicilia, il sistema delle province
  • La seconda guerra punica: la spedizione di Annibale e la minaccia della sua presenza in Italia, la riscossa di Roma grazie a Scipione l’Africano, la sconfitta di Cartagine a Zama
  • I contrasti interni a Roma, le nuove classi emergenti e i vantaggi della guerra espansionistica
  • La terza guerra punica: la distruzione di Cartagine e il controllo di Roma sul Mediterraneo
  • La cultura greca si diffonde a Roma: il mito dei “conquistatori conquistati”

L’AMBIENTE E LE RISORSE

La terra, fonte di ogni ricchezza

Il legame con la terra era profondamente radicato nella cultura e nella mentalità romane: diversamente da quasi tutti i popoli dell’antichità, che prosperarono grazie al commercio, alle attività artigianali, allo sviluppo delle città come sedi di mercati, insediamenti abitativi, sedi del potere, per i Romani la fonte originaria della ricchezza resterà a lungo legata al possesso fondiario.
La proprietà di un terreno, per quanto piccolo e insufficiente ad accumulare grandi ricchezze, era essenziale al mantenimento della famiglia; la vita in campagna consentiva inoltre di stabilire relazioni con i vicini, e quindi di far parte di una comunità. Infine, la piccola proprietà fondiaria permetteva di reperire le risorse per pagare le armi necessarie all’arruolamento nell’esercito. Essere contadino significava insomma poter partecipare alla guerra, ed essere soldato era la condizione, come abbiamo visto, per esercitare i diritti di cittadinanza.
La terra non era solo la fonte di sostentamento per la maggioranza della popolazione: era la ragione stessa dell’essere Romani. Per questo motivo le conquiste territoriali furono per Roma importanti non solo sotto l’aspetto economico, ma anche sotto il profilo culturale.

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Lo sfruttamento delle terre: agricoltura e pastorizia

Fino a quando le condizioni generali (fertilità dei terreni, disponibilità di manodopera) furono favorevoli, si mantenne stabile l’equilibrio tra bocche da sfamare e prodotti della terra; tuttavia, già nel IV secolo a.C. le terre cominciarono a scarseggiare: si praticava infatti essenzialmente una  agricoltura estensiva. Questa richiedeva grandi quantità di terreni, che nel Lazio e nell’Italia centrale erano però limitati da ampie zone paludose, terreni calcarei, boschi e montagne. Inoltre, la produttività dei campi era piuttosto scarsa, anche a causa di tecniche agricole poco efficaci che fornivano  rese limitate, ed era sufficiente una situazione meteorologica sfavorevole (una gelata al limite della stagione o un periodo di siccità) per causare enormi danni alle comunità contadine. D’altronde, già in epoca monarchica, grazie all’immigrazione, il numero degli abitanti era cresciuto più delle risorse disponibili, rendendo sempre più necessario il ricorso alle guerre di conquista.
Oltre che per l’agricoltura – e anzi, in origine, più che per l’agricoltura –, la terra era utilizzata dai Romani per la pastorizia, caratterizzata da un diverso sfruttamento del territorio: necessita di vasti spazi incolti e fertili, perché le greggi devono spostarsi di frequente alla ricerca di erbe fresche, e, sebbene gli investimenti necessari all’allevamento non rendano nell’immediato, richiede tuttavia poca manodopera e una cura relativamente limitata. La sua rilevanza economica – almeno fino al III secolo a.C. – è dimostrata anche dal fatto che molte parole latine di uso comune derivano proprio da quest’ambito: il termine pecus (“bestiame”) è all’origine del vocabolo pecunia (“denaro”), mentre la proprietà di capi di bestiame (capites) costituiva la fonte del capitale, cioè del patrimonio.

La formazione dell’ager publicus e la suddivisione delle terre

I due diversi modi di sfruttare la terra – l’agricoltura, essenziale per il mantenimento di un ceto di piccoli contadini, e la pastorizia, privilegiata dalle grandi proprietà nobiliari – erano inevitabilmente destinati a entrare in rotta di collisione e a essere fonte di conflitti sociali, come accadde dal III secolo a.C. in poi.
Grazie alle acquisizioni territoriali seguite alle guerre, dal IV secolo a.C. il territorio di Roma era cresciuto enormemente. All’inizio le terre conquistate entrarono nel patrimonio collettivo (ager Romanus o ager publicus), sfruttato principalmente per gli allevamenti, ma con il tempo fu necessario suddividere questo patrimonio, soprattutto dopo l’annessione delle fertili pianure laziali e campane. I piccoli contadini e i patrizi si contesero a lungo la possibilità di sfruttare le nuove terre: la scelta per l’una o l’altra destinazione portò a conflitti anche molto duri, e la riforma agraria – cioè il tentativo di sancire per legge una ridistribuzione della terra – divenne un obiettivo fondamentale per una fascia consistente della plebe.
Si sperimentarono diversi criteri di assegnazione delle terre, e nel corso del IV secolo a.C. si elaborò il sistema della centuriazione, che consisteva nella suddivisione dei territori in lotti uguali, in modo che tutti disponessero di una porzione di terra sufficiente al sostentamento della famiglia e di un sovrappiù da destinare, per lo più come tassa, al mantenimento della popolazione urbana di Roma. Le tasse agricole – che prima si pagavano in capi di bestiame e ora prevalentemente in prodotti agricoli (in Africa del Nord, per esempio, attraverso cospicue quantità di olio) – assunsero un ruolo sempre più importante con il procedere delle acquisizioni territoriali e con l’aumento della popolazione urbana.

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La centuriazione romana

Per suddividere e assegnare i lotti di terreno ai cittadini romani o ai coloni i Romani e prima di loro gli Etruschi usavano uno strumento chiamato groma (termine derivante dal greco gnómon, “squadra”, “regolo”) che, utilizzando aste e fili a piombo, permetteva agli agrimensori di tracciare linee rette e perpendicolari tra loro. Le terre erano divise in settori di forma quadrata, a loro volta frazionati in 100 lotti rettangolari – da cui il termine “centuriazione” – delle dimensioni di due iugeri ciascuno (mezzo ettaro, all’incirca metà di un moderno campo da calcio).
Ancora oggi i terreni agricoli di vaste aree della pianura padana hanno mantenuto la regolarità delle suddivisioni stabilite dalla centuriazione romana, come è possibile notare dalle foto aree di queste zone.

Il miglioramento della produttività agricola

Mentre annetteva nuove terre, Roma cercava di migliorare la produttività agricola e intensificare lo sfruttamento dei terreni. Nuove coltivazioni vennero trapiantate in zone diverse (furono i Romani, per esempio, a diffondere le colture del sedano, dell’aglio, della carota, del cavolo, della mela, della ciliegia e della prugna, tra le altre); le produzioni vennero integrate e diversificate (il grano e la vite si affiancarono alle varietà grezze di frumento, farro e legumi); attraverso una mirata selezione artificiale fu anche migliorata la qualità dei semi (è il caso del frumento raffinato, per esempio). Con la diffusione delle colture granarie, verso la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. cominciò ad affermarsi, al posto della tradizionale zuppa d’avena, l’uso del pane, che divenne presto un alimento fondamentale nella dieta romana. Anche le tecniche agricole migliorarono nel tempo, fino a consentire tre arature (in primavera, estate e autunno), praticate con un aratro leggero dotato di vomere di ferro (diffuso in Italia dai Celti), che consentiva un’efficace preparazione del terreno. Nell’allevamento si introdussero invece nuove razze bovine ed equine e si iniziò a privilegiare le qualità di bestiame più utili a produrre lana, latte e altri derivati.

La formazione dei latifondi e le villae patrizie

Le prime conquiste territoriali favorirono i patrizi, perché una parte consistente delle terre poste in vendita dallo Stato veniva comprata dalle famiglie gentilizie, che forzavano i vincoli imposti dalle leggi Licinie-Sestie nella spartizione dell’ager publicus acquistando (non sempre legalmente) lotti dai piccoli proprietari o acquisendoli attraverso l’ usucapione.
L’accaparramento nobiliare dei terreni portò alla nascita dei primi latifondi, che le guerre del IV e III secolo a.C. accrebbero ulteriormente: l’ager romanus, prima circoscritto e limitato, si espanse fino a quintuplicarsi, crescendo più in fretta della popolazione, che cominciava a diminuire anche a causa delle guerre. Molte terre restarono quindi abbandonate e incolte, divenendo preda delle famiglie patrizie più ricche, che disponevano della manodopera necessaria a coltivarle: dapprima i clientes e poi, sempre più spesso, gli schiavi. Proprio la necessità di avere a disposizione manodopera a bassissimo costo fu tra le ragioni che spinsero Roma a intraprendere, a partire dal III secolo a.C., guerre di conquista sempre più aggressive.
Mentre si diffondeva, il latifondo acquistava una fisionomia caratteristica, che in territorio italico si conserverà per secoli. Il suo centro gestionale e amministrativo era la villa rustica, un complesso di edifici che ospitava la comunità di agricoltori e gli schiavi impiegati nella coltivazione dei campi, alle dirette dipendenze del proprietario terriero. Da un punto di vista logistico e organizzativo le villae possono essere paragonate a moderne fattorie: ampi cortili interni ospitavano vasche per far abbeverare gli animali, allevati per la produzione di carne e come bestie da tiro; gli edifici, costruiti in mattoni, erano dotati di magazzini, stalle e abitazioni per gli schiavi.
Come vedremo, lo sviluppo del latifondo e la più ampia disponibilità di schiavi accelerarono la crisi della piccola proprietà contadina, già provata dalle frequenti e prolungate leve militari. Ma le conseguenze dell’espansione del latifondo furono rilevanti anche sul piano della trasformazione del territorio, tanto che alla fine del II secolo a.C. le caratteristiche del paesaggio italico risultavano profondamente diverse da quelle delle origini.

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La presenza umana nel territorio

I miglioramenti dell’agricoltura portarono alla crescita dei centri urbani (Roma in primo luogo, ma anche Tivoli, Preneste, Capua) e quindi all’intensificazione della circolazione delle merci. Per far affluire in città il grano dai territori più lontani era necessario un sistema di comunicazione viaria il più possibile efficiente e sicuro: Roma comprese presto l’importanza di questo elemento e promosse la costruzione di ponti e strade che garantirono lo sviluppo dei commerci e, di conseguenza, il controllo del territorio, gli scambi culturali e una maggiore integrazione delle popolazioni.
Fu perfezionato anche il sistema di controllo delle acque: il drenaggio delle paludi divenne una pratica frequente, mentre l’agricoltura irrigua fu sostenuta dalla costruzione di numerosi acquedotti che convogliavano le acque dell’entroterra appenninico verso le pianure e le cisterne delle principali città. Gli acquedotti, infatti, garantivano anche l’ approvvigionamento idrico dei centri urbani.
Strade, ponti, acquedotti e terreni coltivati disegnarono una nuova fisionomia del territorio, con una più evidente presenza umana. Il sistema viario, inoltre, facilitò la mobilità dei ceti dirigenti e quindi una maggiore integrazione culturale: a Roma potevano ora giungere facilmente Tarantini ed Etruschi, Piceni e Siciliani; gli abitanti di Roma, dal canto loro, si diffusero in tutta la penisola.

La costruzione degli acquedotti

La realizzazione degli acquedotti romani era molto complessa e fondeva le conoscenze tecniche impiegate per la costruzione dei ponti e quelle impiegate fin dall’età arcaica per la canalizzazione delle acque, attraverso l’impermeabilizzazione delle condutture.
Per decine di chilometri, dalle sorgenti appenniniche fino ai campi e alle città, l’acqua scorreva su canali sopraelevati, sostenuti da imponenti strutture ad arcate. In questo modo, gli ingegneri e gli architetti romani riuscivano a oltrepassare i rilievi del territorio appenninico mantenendo costante la pendenza dei condotti e consentendo quindi il deflusso dell’acqua verso le pianure.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana