3. La guerra contro Pirro e la conquista dell’Italia meridionale
Le mire espansionistiche di Roma si rivolsero dunque verso le uniche grandi città indipendenti dal suo dominio: le ricche e potenti Taranto (fondata dagli Spartani) e Siracusa (fondata dai Corinzi).
Con la principale antagonista, Taranto, che dominava il golfo dello Ionio, Roma era giunta nel 302 a.C. a un patto di spartizione delle
aree di influenza, secondo il quale non avrebbe dovuto superare con le proprie navi capo Lacinio (l’attuale capo Colonna), vicino a Crotone. Ma non tutte le città coinvolte erano d’accordo: Turi, spinta da famiglie aristocratiche filoromane in lotta contro i democratici filotarantini, chiese la “protezione” di Roma contro le tribù lucane che devastavano i suoi territori. L’intervento romano fu visto come una violazione dell’accordo, e l’apparizione nel golfo di Taranto, nel 282 a.C., di una piccola flotta romana – allestita per la prima volta nella sua storia proprio in questa occasione – fu interpretata come una vera provocazione.
Fu la scintilla che diede avvio al conflitto. Taranto attaccò la flotta e marciò contro Turi, conquistandola e scacciando la guarnigione romana. Contestualmente chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro (regione occidentale della Grecia), il quale, reduce da un fallito tentativo di impadronirsi del regno di Macedonia, intervenne nel conflitto sperando di allargare il suo dominio. La forza militare di Pirro si basava sulla tradizionale falange macedone, cui si affiancava in battaglia l’impiego degli elefanti, utili a scompaginare l’esercito nemico e a trasportare i soldati (che potevano così colpire i nemici dall’alto). Gli elefanti provocarono in effetti lo scompiglio tra i legionari romani, terrorizzati alla vista di quegli animali sconosciuti, e Pirro vinse la battaglia di Eraclea (nell’odierna Basilicata) nel 280 a.C. Approfittando del momento di difficoltà di Roma, le colonie greche, i Sanniti e gli altri popoli dell’Italia meridionale si allearono con Pirro in funzione antiromana. La coalizione sconfisse di nuovo i Romani nella battaglia di Ascoli Satriano (Puglia), nel 279 a.C., ma la vittoria costò gravissime perdite all’esercito greco (tanto che nel linguaggio comune l’espressione “vittoria di Pirro” indica ancora oggi un successo ottenuto a caro prezzo).
Il re epirota, nonostante le vittorie, non riusciva tuttavia a concludere la guerra: egli scoprì in Roma un nemico indomabile, mentre i Tarantini e le altre città greche cominciarono a temerlo come un possibile tiranno e ritirarono il loro appoggio. Poiché il suo potere vacillava ormai anche in patria e tra i suoi soldati cresceva il malcontento per la lunga lontananza da casa e per le alte perdite, con una mossa da abile condottiero, nel 278 a.C. Pirro non si fece sfuggire l’occasione di cambiare i suoi obiettivi, accogliendo la richiesta
d’aiuto avanzata da Siracusa, minacciata dai Cartaginesi. Tuttavia, sconfitto anche dalla flotta di Cartagine, nel 276 a.C., dovette fare ritorno sulla penisola, dove riprese la guerra contro Roma con un esercito ormai malridotto. Nel 275 a.C. fu sconfitto a Maleventum (che i Romani da allora rinominarono Benevento) e costretto a tornare in patria.
L’esito dello scontro dimostra che, al di là delle sconfitte e delle perdite umane, la supremazia dei Romani sugli avversari era ormai schiacciante. Dopo che furono sottomesse facilmente le popolazioni che ancora si opponevano all’egemonia romana, nel 270 a.C. anche Taranto si arrese: dall’Appennino tosco-emiliano allo Stretto di Sicilia, tutta la
penisola era nelle mani di Roma.
Rispetto ai primi secoli della storia di Roma, lo scenario geopolitico era del tutto cambiato. Gli stessi contemporanei compresero che le conseguenze della vittoria romana andavano oltre quanto era accaduto sul campo di battaglia. Lo storico Timeo di Tauromenio (il primo ad aver scritto una storia del Mediterraneo) in particolare fu molto colpito dalla formidabile crescita di questa “potenza” finora ignorata: Roma, scrisse, avrebbe sostituito i Greci nella lotta contro Cartagine.
Dal canto loro, i Romani compirono un vero e proprio salto di prospettiva: da un lato, pur essendo originariamente terricoli, si affacciarono prepotentemente sul Mediterraneo; dall’altro, assunsero nuove responsabilità verso le terre conquistate, divenendo naturali “protettori” di Campani e Italici.
Da questo momento la lingua degli Italici divenne il latino di Roma. Ma lo scambio, in un certo senso, fu reciproco: il termine Italia, che designava inizialmente un piccolo popolo della Calabria, poi tutta la Calabria e infine la Magna Grecia, cominciò a diffondersi per indicare l’intera penisola, fino alla pianura padana.