TESTIMONIANZE DELLA STORIA
FURIO CAMILLO SI RIVOLGE AI ROMANI
In questo brano Tito Livio riporta il leggendario discorso tenuto ai Romani dal console Furio Camillo all’indomani della partenza dei Galli da Roma, nel 390 a.C., in un momento tragico per la città: Camillo parla, non senza qualche esagerazione, di Roma come di «un cumulo di cenere», di vecchi che piangono i figli morti, di madri sole vaganti sulle mura. Per convincere il popolo romano a respingere il proposito di abbandonare la città, Camillo esalta con parole e immagini toccanti la bellezza dei luoghi in cui è sorta, le favorevoli condizioni ambientali, gli affetti che vi ha lasciato.
“Se per motivi dolosi o per circostanze fortuite scoppiasse un incendio a Veio e le fiamme portate dal vento dovessero, come facilmente succede, divorare buona parte dell’abitato, emigreremo di lì a Fidene1 o a Gabi2 o in un’altra qualsiasi città? Siamo dunque così poco attaccati al suolo della nostra patria e a questa terra che chiamiamo madre, e il nostro amore verso la patria si riduce alle travi e ai tetti? E ve lo confesso in tutta sincerità – anche se non fa bene richiamare alla memoria il male che mi avete fatto –, ma quando ero lontano, ogni volta che andavo col pensiero alla mia terra, mi venivano in mente tutte queste cose: i colli, le campagne, il Tevere, la regione familiare alla vista e questo cielo sotto il quale ero nato e cresciuto. E vorrei, o Quiriti,3 che queste cose vi spingessero adesso, per il loro potere affettivo, a rimanere nella vostra terra, piuttosto che tormentarvi in futuro col desiderio nostalgico, quando le avrete abbandonate. Non senza una ragione gli dèi e gli uomini scelsero questo luogo per fondare la città: colli più che salubri, un fiume4 adatto per trasportare il frumento dalle regioni dell’entroterra e per ricevere i prodotti da quelle costiere, un mare vicino quanto basta per goderne i vantaggi e nel contempo non esposto, per eccesso di contiguità, al pericolo di flotte nemiche, una posizione nel centro dell’Italia, insomma un luogo destinato esclusivamente allo sviluppo della città.”
Tito Livio, Storia di Roma, V, 54, trad. di C. Vitali, Zanichelli, Bologna 1989
1. Fidene: la prima città, alleata di Veio, conquistata da Roma.
2. Gabi: era un’altra città del
Latium, oggi scomparsa, sulla strada che collegava Roma a
Praeneste (oggi Palestrina).
3. Quiriti: era il nome che per lungo tempo si era attribuito il popolo romano: populus Romanus
Quiritium, cioè “il popolo romano membro delle curie”, sintetizzato nell’acronimo SPQR,
Senatus Populus Quirites
Romani, che dopo le conquiste della plebe comincia a essere letto invece come Senatus Populusque
Romanus (“il senato e il popolo romano”), entrando in questo modo nell’uso comune.
4. fiume: il Tevere (che a Veio o a Fidene non ci sarebbe).
PER FISSARE I CONCETTI
- Sottolinea sia le qualità concrete sia le espressioni affettive con cui Furio Camillo loda Roma.
- Da quali dettagli si deduce il trauma subìto dai Romani in seguito a questa invasione?