3 - Le istituzioni in età monarchica

Unità 7 L’ITALIA DELLE ORIGINI >> Capitolo 16 – Le origini di Roma e la prima età repubblicana

3. Le istituzioni in età monarchica

Il senato e i comizi curiati

In epoca monarchica il re di Roma (rex) comandava l’esercito, amministrava la giustizia ed era sia la suprema carica politica, sia la somma autorità religiosa. Come nelle città-Stato etrusche, il suo potere non era però ereditario: i re venivano eletti dai membri delle gentes, e la loro autorità era perciò fortemente condizionata da un’aristocrazia che, grazie alla ricchezza economica, manteneva un ruolo di primo piano nella società romana. Secondo la tradizione, come si è visto, fu lo stesso Romolo a istituire un senato, cioè un’assemblea composta da capifamiglia (patres) aristocratici, con il compito di assistere il re nelle decisioni da prendere. Con il tempo, il senato divenne l’organo principale dello Stato, con il potere di approvare le leggi che riguardavano la vita collettiva e individuale, i rapporti economici e le questioni religiose.
Le leggi proposte dal re e dal senato dovevano però passare all’approvazione delle assemblee popolari, i comizi curiati, modellate sull’organizzazione dell’esercito. Essendo formate dai membri delle curie, che raccoglievano solo la popolazione gentilizia, alle assemblee partecipavano soltanto i patrizi, mentre i plebei ne erano esclusi.

Le prime riforme a favore dei plebei

Nel VI secolo a.C., nell’esercito romano era stata introdotta la formazione oplitica, sul modello delle póleis della Magna Grecia ( Capitolo 8), e un più esteso arruolamento militare, favorito anche dalla presenza di immigrati da Lazio ed Etruria. Servio Tullio aveva portato il numero dei soldati a 6000 fanti e 600 cavalieri, divisi in 60 centurie di 100 soldati e 10 cavalieri ciascuna, coinvolgendo tutti coloro che, patrizi o plebei, erano in grado di pagarsi un’armatura o un cavallo. Si trattò di una riforma importante, perché il criterio del censo (cioè della ricchezza individuale) fu per la prima volta più rilevante della nascita, e i plebei più ricchi poterono cominciare a entrare nell’esercito.
L’esigenza di un esercito più forte si accordò in questa fase con la richiesta dei plebei e degli immigrati di vedersi attribuiti maggiori diritti. Così, a seguito di forti pressioni, la plebe ottenne da Servio Tullio il riconoscimento della cittadinanza romana, ma senza il diritto di accesso a cariche politiche e religiose. Una grave contraddizione: i plebei, indispensabili alla guerra, non potevano però influire sulle decisioni più importanti.
La riforma di Servio Tullio ebbe anche un’altra conseguenza: tolse ragion d’essere alle antiche suddivisioni amministrative basate sulle tribù gentilizie, su cui erano state organizzate in principio le legioni. La città venne quindi divisa in nuove tribù territoriali (4 urbane e 16 rustiche, comprendenti le campagne intorno a Roma). Si trattò di un’altra “rivoluzione”, che implicava il riconoscimento dei diritti di cittadinanza a chiunque abitasse in città, indipendentemente dalle origini o dalla ricchezza. Nei comizi curiati potevano ora entrare individui non appartenenti alle famiglie patrizie o alle loro clientele, e così crebbe di fatto il peso della plebe nell’esercito e nelle assemblee politiche. Non è escluso che questa sia stata una delle ragioni che spinsero i patrizi a destituire i sovrani etruschi, nel tentativo di riaffermare il proprio potere. In ogni caso, l’emergere della plebe e le sue rivendicazioni saranno causa di gravi conflitti nella prima età repubblicana.

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• SOTTO LA LENTE • LETTERATURA

Epigrafi, fasti e nefasti: i primi testi scritti in lingua latina

Le prime forme di scrittura rinvenute a Roma risalgono all’epoca monarchica. Si tratta di epigrafi, cioè iscrizioni incise nel marmo o nel bronzo. Il fatto che i primi testi scritti siano giunti a noi su materiale resistente non deve stupire: condizioni ambientali sfavorevoli hanno impedito la conservazione di testi scritti su supporti come il papiro. Quello che ci è pervenuto, comunque, ci racconta di una Roma culturalmente vivace e “multietnica”: in città si parlava e si scriveva latino, osco, etrusco, ma anche greco (e forse fenicio).

Il lapis niger
Uno dei testi più antichi in lingua latina finora ritrovati è inciso sui quattro lati di un cippo (un tronco di pilastro recante iscrizioni dedicate a defunti o a personaggi importanti) rinvenuto nel Foro romano, ai piedi del colle Palatino. Poiché fu trovato sotto un piano coperto da lastre di marmo scuro, il cippo fu definito lapis niger (“pietra nera”). L’iscrizione, scritta in un alfabeto latino molto antico, rielaborazione dell’etrusco, risale agli inizi del VI secolo a.C. ed è di difficile interpretazione, oltre che incompleta, dal momento che il blocco di pietra è danneggiato. Il testo riporta forse una prescrizione religiosa che vieta l’accesso a un’area sacra (secondo alcune interpretazioni la tomba del mitico re Romolo).

Genealogie, fasti e nefasti
Tra le prime testimonianze di scrittura latina ci sono anche le registrazioni di genealogie e memorie di famiglia, a significare l’importanza della scrittura per le famiglie nobili che intendevano celebrare gli antenati, consolidando la memoria di un passato nobile, e i cosiddetti “fasti” e “nefasti”, una sorta di calendario pubblico che indicava i giorni in cui era possibile trattare affari civili, commerciali e giudiziari e in cui si potevano convocare i comizi (239 giorni all’anno su 365, fasti), e quelli che invece dovevano essere riservati alle pratiche religiose, considerati non propizi all’esercizio degli affari (nefasti).

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana